Il rapporto tra banche d’affari e tecnologia blockchain ha talvolta assunto risvolti controversi. Se osserviamo l’atteggiamento dei grandi istituti di credito noteremo ad esempio che le più grandi banche di Wall Street hanno in gran parte evitato di investire direttamente in criptovalute. Eppure, sin da quando la blockchain ha fatto per la prima volta il suo ingresso a Wall Street intorno al 2015, la tecnologia sottostante la crittografia è stata propagandata dai suoi sostenitori come la panacea per tutti i mali della struttura del mercato.
Del resto, i vantaggi insiti nella diffusione della tecnologia blockchain all’interno del sistema finanziario erano evidenti già allora. Tra i molteplici benefici, si era giustamente messo in evidenza anche come la tecnologia blockchain avrebbe consentito di rendere i meccanismi di regolamento titoli pressoché istantanei, più economici e quasi infallibili. Ciò a sua volta avrebbe permesso di far ritenere obsolete le tradizionali commissioni di intermediazione e di negoziazione applicate dagli intermediari finanziari, ma soprattutto avrebbe comportato per le banche d’investimento un risparmio quantificabile in circa $ 12 miliardi all’anno in costi connessi all’infrastruttura tecnologica.
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Blockchain e grandi banche, la situazione
Sulla scorta di queste considerazioni, banche d’affari e società di gestione di mercati borsistici hanno iniziato a guardare con sempre maggior interesse alla tecnologia blockchain, dando vita a joint venture, consorzi e progetti strategici, spesso supportati da investimenti milionari, volti a rivoluzionare le obsolete infrastrutture tecnologiche che caratterizzavano l’operatività dell’intero sistema finanziario. È un dato di fatto che oggigiorno molti colossi di Wall Street stiano lavorando per integrare la blockchain, la tecnologia alla base della crittografia, nel trading e in altri business affini. Goldman Sachs, ad esempio, sta già negoziando alcune obbligazioni e altri titoli di debito per i propri clienti su reti infrastrutturali basate su tecnologia blockchain come Ethereum, e la banca d’affari statunitense sta anche costruendo una propria piattaforma di trading basata su blockchain. JPMorgan Chase invece già dispone di una piattaforma di trading proprietaria denominata Onyx.
Va notato che le infrastrutture tecnologiche basate su blockchain che molti colossi di Wall Street stanno per adottare differiscono dalle infrastrutture tecnologiche che alimentano bitcoin ed altre criptovalute. Mentre comune ad entrambe le infrastrutture è la presenza di un programma software che utilizza un sistema di registrazione aperto, una sorta di libro mastro centrale, per tenere traccia delle risorse e registrare le transazioni e le informazioni sulla proprietà di tali risorse, con ogni partecipante che opera sullo stesso libro mastro centrale, i sistemi basati su tecnologia blockchain utilizzati dalle banche d’affari di Wall Street rappresentano delle vere e proprie reti autorizzate, il che significa che una parte centrale, come una banca o un consorzio di banche, può decidere autonomamente chi è autorizzato ad accedere.
Le conseguenze
Il risultato pratico è che oggi poche banche vogliono correre il rischio di essere tagliate fuori dai potenziali vantaggi connessi all’utilizzo della tecnologia blockchain, con la conseguenza che i colossi bancari americani sono impegnati in una corsa agli armamenti per costruire piattaforme concorrenti. La stessa Goldman Sachs ad esempio, può contare su una divisione interna che gestisce le nuove tecnologie e gli asset digitali composta da circa 70 dipendenti a tempo pieno specializzati in settori come l’ingegneria, la compliance, gli affari legali e governativi. L’iniziale scetticismo con cui molti dei principali banchieri di Wall Street avevano guardato a bitcoin ed altre cripto valute, considerate poco più di una moda, è dunque scomparso.
Oggi Goldman Sachs ed altre banche d’affari si affannano nel mettere in evidenza come l’utilizzo della blockchain nelle piattaforme di trading dovrebbe consentire di ridurre il rischio associato al coinvolgimento nelle negoziazioni di titoli di partner commerciali, consentendo dunque di mitigare gli effetti negativi o distorsivi connessi al cosiddetto rischio di controparte. Parimenti, i sostenitori della tecnologia blockchain affermano che le nuove infrastrutture tecnologiche potrebbe rendere più facile per gli emittenti tracciare chi possiede le loro azioni o altre attività, agevolando le attività di record keeping che molta importanza hanno nel sistema finanziario.
Il caso di Goldman Sachs
L’anno scorso, Goldman Sachs ha organizzato un’emissione obbligazionaria con durata biennale da 100 milioni di dollari per la Banca europea per gli investimenti che è stata registrata in Francia e gestita sulla rete Ethereum. Normalmente, il collocamento di obbligazioni del genere richiede cinque giorni di borsa aperta per essere completato, mentre in questa circostanza, grazie all’utilizzo della tecnologia blockchain, si è risolto in appena un’ora. Questo comporta la possibilità di disporre liberamente di denaro che altrimenti potrebbe essere vincolato per giorni tra le controparti ma anche una notevole riduzione del cosiddetto rischio di controparte, ovverosia la possibilità che una delle controparti di una negoziazione incorra in un evento di default prima del positivo completamento della transazione.
Gli ultimi anni sono stati dunque caratterizzati da sforzi sempre più intensi ad opera delle banche e delle borse per implementare nuovi progetti infrastrutturali legati all’utilizzo della tecnologia blockchain. La maggior parte di questi progetti blockchain aziendali sono stati annunciati con grande enfasi.
Il progetto di ASX
Il progetto forse di più alto profilo o ambizioso è quello di ASX, il principale operatore di borsa valori australiano, per sostituire il suo principale sistema di elaborazione post-negoziazione con la tecnologia blockchain. Un vero e proprio colpo per la nascente industria blockchain, ma soprattutto per la startup selezionata tra 400 candidati per sviluppare la tecnologia, Digital Asset Holdings, la società guidata da un veterano del settore delle applicazioni fondate sull’utilizzo della tecnologia blockchain. Con il sostegno azionario di ASX e quello di alti nomi della finanza di Wall Street tra cui la stessa Goldman Sachs, JPMorgan e CME Group, la startup sembrava avere tutti gli ingredienti giusti per realizzare un sogno che ancora nel 2016, data di inizio del progetto, sembrava molto audace. Molti grossi nomi dell’industria finanziaria avevano battezzato l’operazione come il primo vero progetto commerciale su larga scala di creazione di una infrastruttura tecnologica basata sulla tecnologia blockchain.
A più di sei anni di distanza dal lancio del progetto, dopo una serie di ritardi, cambi di governance e investimenti successivi dell’ordine di diversi milioni di dollari, non è ancora chiaro dove stia andando quel progetto o se, peggio, questo si stia trasformando in una vera e propria odissea.
ASX ha dichiarato di recente che non si aspetta che il passaggio alla sostituzione della tecnologia, già ritardato due volte quest’anno, possa essere “live” prima della fine del 2024. Nel frattempo, anche senza blockchain, le azioni australiane continuano a essere scambiate, magari non velocemente come la tecnologia blockchain avrebbe consentito, ma comunque in maniera tale da consentire al mercato di continuare a svolgere la sua attività. Nel frattempo, molti si domandano se questa sostituzione tecnologica da 250 milioni di dollari valga ancora la pena di essere perseguita,
Probabilmente, i prossimi 18 mesi ci sveleranno se quello di ASX possa essere annoverato come il primo positivo case study riguardante l’applicazione della tecnologia blockchain ad una infrastruttura tecnologica borsistica o come un progetto fallimentare che sarà meglio dimenticare in fretta.
La situazione in Italia
Interessante notare come a livello europeo l’Italia sia il paese pioniere nell’utilizzo della tecnologia blockchain ad opera delle banche, con il progetto “Spunta DLT” sviluppato dall’Associazione Bancaria Italiana nel 2020, che coinvolge una rete di più di 100 banche. Nello specifico, il sistema permette di intercettare automaticamente le transazioni non corrispondenti utilizzando un algoritmo condiviso, standardizzando il forum di comunicazione e consentendo una chiara rendicontazione delle transazioni tra le parti interessate. Inoltre, l’utilizzo di Spunta consente di effettuare registrazioni delle operazioni di riconciliazione su base giornaliera anziché mensile. Non solo: Spunta permette alle banche italiane di partecipare a studi di una eventuale moneta digitale.
Ma Spunta non è rimasta un’idea isolata nel contesto; Banca Sella ha infatti lanciato nel contempo Fabrick, la nuova piattaforma di Open Banking, mentre il progetto promosso da Cetif dell’Università Cattolica di Milano con Cherrychain mira alla digitalizzazione dell’ onboarding e del know your customer (le tecniche di classificazione della clientela) con la tecnologia legata alla blockchain. Altri importanti istituti di credito nazionali hanno messo in atto importanti iniziative e progetti in ambito blockchain.
Come sempre, sarà fondamentale che l’adozione da parte degli intermediari di innovazioni tecnologiche improntate a maggiore efficienza non prescinda da requisiti di affidabilità e sicurezza che concorrano a mantenere la fiducia del pubblico e garantire la tutela dell’utenza, con nuovi servizi o prodotti che dovranno essere in grado di assicurare relazioni corrette fra la clientela e gli intermediari.