In che modo l’inasprimento delle tensioni tra Usa e Cina influenzerà l’andamento delle politiche di contrasto ai cambiamenti climatici? I canali diplomatici non si sono del tutto interrotti ma la conferenza COP27, che si terrà in Egitto a novembre, si avvicina rapidamente e i segnali attuali suggeriscono che è altamente improbabile che si ripeta l’esito positivo dello scorso anno.
Indice degli argomenti
L’impegno delle due potenze nella lotta ai cambiamenti climatici
Gli Stati Uniti e la Cina hanno riconosciuto la gravità e l’urgenza della crisi climatica. Si sono quindi impegnati ad affrontarlo attraverso le rispettive azioni accelerate nel decennio critico degli anni 2020, nonché attraverso la cooperazione nei processi multilaterali, compreso il processo dell’UNFCCC, per evitare impatti catastrofici. (U.S.-China Joint Glasgow Declaration on Enhancing Climate Action in the 2020s media note, office of the spokesperson november 10, 2021)
Le due nazioni hanno indicato che avrebbero lavorato dal punto di vista delle tecnologie innovative: quelle relative all’utilizzo di energie rinnovabili, del risparmio energetico, dei sistemi innovativi di accumulo. Sulle pratiche illegali di deforestazione, su politiche per l’istituzione di standard di riduzione delle emissioni, su politiche per la decarbonizzazione. Sempre nell’ambito dell’accordo, Usa e Cina hanno deciso di istituire un “gruppo di lavoro sul miglioramento dell’azione per il clima negli anni 2020″ e di incontrarsi all’inizio del 2022 per affrontare le emissioni di metano.
Questo accadeva pochi mesi fa ma sembra di parlare di un passato lontano nel tempo.
La frattura nei rapporti Usa-Cina e le conseguenze sulle questioni ambientali
Infatti, la Cina ha dichiarato che avrebbe interrotto in toto la cooperazione con gli Stati Uniti su una serie di questioni chiave tra cui il cambiamento climatico, gli sforzi contro la droga e i colloqui militari, mentre le relazioni tra le due superpotenze precipitano sull’isola di Taiwan. Pechino ha quindi reagito furiosamente alla visita della presidente della Camera degli Stati Uniti Nancy Pelosi nell’isola, che rivendica come suo territorio e ha promesso di riconquistare, se necessario, con la forza (China scraps climate and military co-operation with US over Pelosi Taiwan visit, Le Monde 5 agosto 2022).
Va detto che le questioni ambientali hanno rappresentato sempre più un’area di reciproco interesse per Stati Uniti e Cina e una potenziale strada per il rafforzamento delle relazioni bilaterali (What does the US – China relationship mean for climate change?, Vision of Humanity).
Il ministro dell’ambiente cinese Huang Runqiu ha visitato gli Stati Uniti a luglio, a seguito di un accordo a sorpresa tra Stati Uniti e Cina per rafforzare la collaborazione sul clima alla Conferenza sul clima delle Nazioni Unite COP26 nell’agosto dello scorso anno. Runqiu è stato il primo funzionario di alto livello a fare una visita pubblica a Washington durante la presidenza di Biden, e c’era un senso di ottimismo sul fatto che ciò potesse significare una nuova ondata di collaborazione sulle questioni climatiche. L’escalation nel Mar Cinese Meridionale sembra aver ripagato quell’idea, con una sospensione quasi totale del reciproco impegno sul clima.
Inoltre, i funzionari statunitensi e cinesi avrebbero dovuto incontrarsi nell’ambito di un gruppo di lavoro sul clima a settembre, dopo mesi di preparazione. Questo gruppo avrebbe dovuto discutere un’ampia gamma di argomenti, tra cui la deforestazione, l’energia rinnovabile e pulita, nonché la riduzione delle emissioni. Questi incontri sono stati sospesi dal governo cinese in risposta alla visita di Pelosi. Indipendentemente dal fatto che la situazione si stia attenuando, è altamente improbabile che le tensioni si riducano a sufficienza affinché questi colloqui possano andare avanti come previsto.
Cambiamenti climatici: mitigarli o adattarsi? Proposte e strumenti giuridici per orientarsi
La conferenza COP27, che si terrà in Egitto a novembre, si avvicina rapidamente. I colloqui bilaterali del gruppo di lavoro hanno rappresentato l’ultima opportunità per Stati Uniti e Cina di stabilire un approccio unificato prima della conferenza.
A valle di questa rottura i canali diplomatici in realtà non si sono interrotti del tutto di recente anche John Kerry ha esortato un rilancio delle attività di collaborazione su questi temi; infatti, Kerry ha elogiato gli sforzi della Cina nell’affrontare il riscaldamento globale e ha esortato Pechino a riprendere i colloqui sospesi su questo tema. Sul cambiamento climatico, Kerry ha affermato che la Cina “in generale, ha superato i suoi impegni”. “La Cina è il più grande produttore mondiale di rinnovabili. Sono anche il più grande distributore di energie rinnovabili al mondo”, ha detto Kerry, riferendosi alle energie rinnovabili. Kerry, che ha servito come segretario di stato sotto il presidente Barack Obama, ha esortato il presidente cinese Xi Jinping a riavviare i colloqui sul clima con gli Stati Uniti, dicendo che era “fiducioso” che i paesi possano “tornare insieme” prima della COP27 di novembre delle Nazioni Unite vertice sul clima nella località egiziana di Sharm el-Sheikh. “La crisi climatica non è una questione bilaterale, è globale e nessun paese può fare la differenza più grande lavorando insieme di Cina e Stati Uniti”, ha detto Kerry. (Climate Envoy John Kerry Seeks Restart to US Emissions Talks With China, Inside Climate News).
Le prospettive in vista della Conferenza delle parti (Cop 27) delle Nazioni Unite in Egitto
A metà novembre 2022, si terrà la nuova edizione della Conferenza delle parti (Cop 27) delle Nazioni Unite in Egitto e lo stato dei rapporti fra Cina e Usa potrebbe fare tutta la differenza.
Le prospettive a breve termine della politica climatica sono rese ancora più incerte dall’incrocio di due scadenze “elettorali” cruciali: il 20° Congresso del Partito Comunista cinese, atteso a novembre in data ancora da ufficializzare, durante il quale il presidente Xi Jinping dovrebbe cercare di farsi affidare un terzo mandato senza precedenti come leader supremo; e le elezioni di medio termine americane l’8 novembre, che potrebbero consegnare agli Usa e al mondo un Congresso con più rappresentanti repubblicani, spesso meno favorevoli alle energie rinnovabili e all’azione climatica. Cina-Usa: perché non è vera crisi e l’azione sul clima potrebbe non risentirne più di tanto, Lorenzo Vallecchi, Qualenergia.it).
A questo punto non resta che vedere quanto le due Nazioni che più gas serra emettono stanno facendo secondo le proprie strategie nazionali.
Fonte (China has a grand carbon neutrality target but where is the plan? Bruegel)
Gli investimenti Usa per la tecnologia climatica e l’energia pulita
Secondo un nuovo rapporto, la spesa del governo statunitense per la tecnologia climatica e l’energia pulita sarà più che triplicata nei prossimi 10 anni in base a tre leggi introdotte di recente.
L’Infrastructure Investment and Jobs Act, il CHIPS and Science Act e l’Inflation Reduction Act includono oltre 500 miliardi di dollari di spesa per il clima. (Three laws will triple US climate change spending over the next decade, World Economics Forum)
L’Infrastructure Investment and Jobs Act prevede una spesa di 98 miliardi di dollari nel prossimo decennio in progetti che mostrano esempi funzionanti di tecnologia per l’energia pulita. La normativa sosterrà anche gli investimenti in infrastrutture connesse all’energia pulita, come catene di approvvigionamento, stoccaggio e trasporti.
Il CHIPS and Science Act, include 54 miliardi di dollari di investimenti legati al clima che sosterranno la ricerca energetica e la commercializzazione di varie tecnologie.
Una terza legge, l‘Inflation Reduction Act, prevede investimenti per 362 miliardi di dollari nel clima e nell’energia pulita attraverso sgravi fiscali che incoraggeranno l’adozione e l’integrazione di queste tecnologie. Quest’ultima è il più grande investimento in materia di clima mai effettuato dagli Stati Uniti. L’Inflation reduction act, passato prima al Senato e poi alla Camera, è un investimento sul clima che non ha eguali nella storia degli Stati Uniti. Il pacchetto di spesa è di 374 miliardi di dollari con cui Biden mira a inserire il turbo alla transizione energetica della più grande economia mondiale.
Per l’amministrazione Biden si tratta comunque di un risultato importante: l’Inflation reduction act arriva dopo una serie di compromessi politici. Si tratta infatti di una versione ridotta del “Build back better act”, l’iniziale e ambiziosissimo piano di misure proposto da Biden ma mai approvato, che valeva 3.500 miliardi di dollari.
La normativa disciplinerà in particolare trasporti e produzione elettrica. La legge infatti include 60 miliardi di dollari da investire nella crescita delle infrastrutture legate all’energia rinnovabile, in particolare nella produzione di pannelli solari e turbine eoliche. Infine, include diversi crediti d’imposta rivolti a quei cittadini che sceglieranno i veicoli elettrici e renderanno le proprie case più efficienti dal punto di vista energetico. (Gli Stati Uniti approvano la più importante legge sul clima della loro storia, Lifegate)
La posizione della Cina
Nonostante la Cina sia il più grande emettitore mondiale di anidride carbonica, solo il 23,3% della popolazione ha visto il cambiamento climatico come una delle principali minacce nei prossimi 20 anni secondo il Lloyds Register Foundation World Risk Poll del 2019; questo è meno della metà del valore della media globale. Tuttavia, nonostante i bassi livelli di percezione del rischio, i problemi climatici stanno diventando sempre più impattanti in Cina. Le esperienze legate alle piogge e alla siccità sono state l’indice con il maggiore aumento nel sondaggio mondiale sui rischi del 2021, con l’8% in più di persone che hanno subito o hanno assistito a gravi danni causati dal maltempo rispetto al 2019. La Cina ha registrato oltre 3,9 milioni di sfollati a causa di disastri nel 2020, e questo numero è aumentato a oltre 6 milioni nel 2021, in parte a causa delle devastanti inondazioni nell’Henan. (What does the US – China relationship mean for climate change? Vision of Humanity)
Nel 2016, la Cina ha presentato il suo contributo determinato a livello nazionale (NDC) ai sensi dell’accordo di Parigi, in cui si impegnava a raggiungere il picco delle emissioni di carbonio entro il 2030. In vista della conferenza COP26 delle Nazioni Unite sul clima nel novembre 2021, la Cina ha presentato il suo NDC aggiornato, ribadendo il suo precedente obiettivo di ridurre il picco delle emissioni e la conferma ufficiale del nuovo obiettivo di diventare carbon neutral entro il 2060. Tuttavia, alcuni studi suggeriscono che la Cina potrebbe e dovrebbe raggiungere il picco molto prima per aumentare la probabilità di raggiungere il suo obiettivo di neutralità entro il 2060. Per garantire l’attuazione dei suoi impegni sul clima, nel maggio 2021 la Cina ha istituito un nuovo “piccolo gruppo leader” per fornire -coordinamento a livello tra diversi dipartimenti e governi locali su strategie, politiche e piani climatici. Il quadro della politica climatica “1+N” è di particolare importanza, in quanto stabilisce principi e piani d’azione generali per diversi settori e aree politiche.
Come continuazione dei progressi già compiuti dalla Cina, piuttosto che un’accelerazione, questi obiettivi preliminari hanno sollevato dubbi sulla fattibilità della Cina di raggiungere il picco delle emissioni prima del 2030 e di garantire la neutralità del carbonio entro il 2060. I continui investimenti della Cina nel carbone, la componente principale del mix energetico della contea, hanno rafforzato questi dubbi (Figura 2)
Fonte (China has a grand carbon neutrality target but where is the plan? Bruegel)
Conclusioni
Invece di ridurre la sua dipendenza dal carbone, la Cina ha messo in funzione 38 gigawatt (GW) di nuova capacità elettrica a carbone nel 2020, pari all’intera capacità di generazione di energia a carbone attualmente installata in Germania. Mentre si potrebbe sostenere che la pandemia ha reso il 2020 un anno difficile per la Cina per concentrarsi sul clima, resta da vedere quando e come la Cina rivelerà come intende raggiungere il picco delle emissioni entro il 2030 e raggiungere la neutralità del carbonio entro il 2060.
In conclusione, possiamo affermare che nonostante la criticità attuale dei rapporti fra le due superpotenze USA e Cina il tema del cambiamento climatico e dello sviluppo di tecnologie rinnovabili rientra nella grande competizione geo-strategica in corso nella quale nessuno dei due Paesi vuole restare troppo indietro. La speranza è quindi che a breve, anche per interessi nazionali, si riavviino le attività di cooperazione internazionali fra i due Stati e si possa assistere ad un rilancio delle politiche di riduzione di emissioni dei gas serra a livello mondiale.