Autoritarismo digitale

Iran, sorvegliare e reprimere: il digitale contro le proteste di massa

Non solo controllo delle comunicazioni digitali: l’Iran sta attuando la sua strategia di repressione e sorveglianza del dissenso anche attraverso droni sempre più sofisticati, che sono poi utilizzati per ampliare la rilevanza strategica e stringere accordi con Paesi come la Russia, che li avrebbe già impiegati in Ucraina

Pubblicato il 24 Ott 2022

Davide Agnello

Analyst, Hermes Bay

Martina Rossi

Hermes Bay

russia droni

A seguito della morte della giovane Mahsa Amini, avvenuta in circostanze sospette in seguito all’arresto a Teheran da parte della polizia religiosa, sono scaturite in Iran una serie di manifestazioni che hanno portato a un inasprimento delle misure di sicurezza attuate dalle autorità.

Per reprimere le proteste, queste ultime si avvalgono non solo degli strumenti “tradizionali” – poliziotti in borghese, proiettili veri e gas lacrimogeni, che hanno provocato la morte di centinaia di persone – ma anche di un vero e proprio arsenale di strumenti di sorveglianza e controllo delle persone e delle comunicazioni digitali, tra i quali spiccano droni sempre più sofisticati.

L’Iran starebbe puntando sulla vendita di questi strumenti non solo per sedare le proteste, ma anche per allargare la propria rilevanza strategica a livello globale e per rafforzare i rapporti commerciali con la Russia.

Iranian-supplied kamikaze drones usher in new era of warfare in Ukraine

Iranian-supplied kamikaze drones usher in new era of warfare in Ukraine

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Iran, proteste e repressione: scatta l’autoritarismo digitale

Nell’ultimo periodo, ad esempio, le autorità iraniane starebbero attuando controlli a tappeto nelle strade cittadine attraverso l’invio di agenti in borghese, i quali si mescolerebbero alla popolazione e aggredirebbero i manifestanti e tutti coloro sospettati di appoggiare le proteste. Una testimonianza di una studentessa, riportata dal quotidiano internazionale, sottolineerebbe ulteriormente l’infiltrazione delle forze dell’ordine tra i cittadini.

La giovane, che si era unita alle proteste nella città meridionale di Shiraz, dichiara di essere stata bloccata da un’auto non identificabile dopo aver scattato delle foto ad un veicolo della polizia non contrassegnato. Come emerso in un articolo del Wall Street Journal, diverse persone sarebbero state anche fotografate e riprese in video da persone non identificabili come agenti della polizia, probabilmente al fine di essere successivamente identificate ed arrestate.

L’Iran, negli ultimi dieci anni, si sarebbe altresì concentrato sulla implementazione di un modello di autoritarismo digitale, fornendo al Governo centrale un insieme di strumenti per poter controllare il flusso di dati online e offline. Quasi tutte le piattaforme sono state bloccate e le autorità avrebbero spinto i cittadini ad usare le app autoctone che aumentano il rischio di sorveglianza data l’ampia raccolta di dati e le scarse misure di sicurezza che prevedono.

Alcune autorità avrebbero chiesto che questi divieti rimanessero in vigore in maniera permanente, tanto che sarebbe stata proposta una legge sulla protezione degli utenti che imporrebbe requisiti aggiuntivi ai social media stranieri per potersi conformare alle misure governative. Molte di queste leggi, inoltre, includono dure sanzioni online per chi non le rispetta e, con lo scoppio delle proteste, il Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica (IRGC), ramo dell’esercito iraniano, ha invitato a perseguire coloro che non rispettano tali limiti.

Il riconoscimento facciale per identificare le donne che non indossano l’hijab

Amir Rashidi, Direttore dei diritti digitali e della sicurezza presso il Miaan Group, un’organizzazione che fornisce competenze legali e tecniche, ricerca e sostegno alle organizzazioni che si occupano di diritti umani in Iran e nella regione MENA, ha raccontato come il Governo stia implementando sempre più tecnologie, come il riconoscimento facciale attraverso l’installazione di telecamere in luoghi pubblici, per incrementare il proprio controllo sulla popolazione. Di fatto, durante la pandemia, l’allora Ministro della Salute Saeed Namaki aveva annunciato che, in collaborazione con la polizia stradale, erano state collocate delle telecamere nelle strade per fotografare le persone che non indossavano correttamente le mascherine; recentemente, secondo quanto riportato dal Scientific American, un funzionario iraniano ha affermato che tale tecnologia è stata applicata per fotografare ed identificare le donne che non indossano l’hijab.

Repressione digitale, mano invisibile degli Stati autoritari nel mondo

I droni e gli altri strumenti per reprimere le proteste e controllare le comunicazioni

L’obiettivo principale del Governo sarebbe quello di creare una rete locale all’intero della quale le informazioni vengono controllate e bloccate se non in linea con le autorità; questa rete, definita National Information Network (NIN), sarebbe letteralmente una intranet che fornisce diversi servizi all’interno del Paese senza che filtrino informazioni esterne.

Questo sistema bloccherebbe tutti i social media e le app di messagistica e identificherebbe gli utenti in base ai loro numeri di telefono e l’ID. Attraverso tecniche di “deviazione” le autorità bloccherebbero le trasmissioni non approvate e reindirizzerebbero i cittadini a “destinazioni false”.

Un altro strumento impiegato dalle forze di sicurezza per reprimere le proteste sarebbero i droni. Le forze iraniane ne farebbero già largo uso per monitorare le minacce interne, come i gruppi ribelli curdi nel nord del Paese e i confini con l’Afghanistan e il Pakistan.

Secondo quanto dichiarato da alcuni manifestanti e dalle stesse autorità, questi dispositivi sarebbero utilizzati in tutto il Paese per identificare i volti dei manifestanti per poi arrestarli. A Zahedan, nella provincia sud-orientale del Sistan e Baluchestan, due residenti hanno detto di aver visto droni sorvolare la città a partire dal 30 settembre, giorno in cui sarebbero state uccise circa 100 persone tra civili e manifestanti. Inoltre, una recente testimonianza di Ali Darvari, fratello Hossein Darvari, attivista per la libertà tecnologica e della rete nel paese, evidenzierebbe come la polizia avrebbe sorvegliato per settimane la sua abitazione a Teheran con dei droni prima di arrestare il fratello.

Come l’Iran mira a rafforzarsi attraverso la vendita di droni

Negli ultimi anni l’Iran avrebbe compiuto progressi nella progettazione e nella produzione di droni militari e avrebbe intensificato il loro trasferimento ai suoi alleati regionali, come gli Houthi nello Yemen o i gruppi attivi nella Striscia di Gaza. Tuttavia, la Repubblica Islamica avrebbe iniziato a commerciare i suoi velivoli anche al di fuori della propria sfera di influenza. In base ai resoconti dei media statali, delle immagini satellitari e degli esperti di difesa statunitensi, Teheran starebbe cercando di aumentare la propria rilevanza strategica a livello globale tramite la vendita di droni sempre più sofisticati, anche a Paesi soggetti a sanzioni. Malgrado le restrizioni finanziarie statunitensi, la vendita di droni avrebbe fornito all’Iran un’importante fonte di reddito e di influenza politica.

La progettazione di questi armamenti sarebbe cominciata durante la guerra contro l’Iraq negli anni ’80. Nonostante le sanzioni imposte al Paese per i suoi programmi nucleari e missilistici, l’Iran sarebbe riuscito a produrre e a vendere una vasta gamma di droni, utilizzati sia per la sorveglianza che per l’attacco. Secondo Seth Frantzman, analista israeliano della difesa ed esperto di droni, il fatto che i velivoli iraniani siano stati avvistati in contesti bellici dimostrerebbe come un numero crescente di Stati consideri questi strumenti come essenziali all’interno di scenari di guerra.

Nell’agosto 2021, sono state diffuse delle foto ritraenti il Primo Ministro etiope Abiy Ahmed in visita in una base aerea, affiancato da funzionari militari e dell’intelligence. Sullo sfondo, degli investigatori avrebbero identificato un drone iraniano, il modello Mohajer-6, il quale sarebbe impiegato dall’esercito etiope nel conflitto contro i ribelli del Fronte Popolare di Liberazione del Tigray (TPLF).

A febbraio, il Ministro della Difesa israeliano Benny Gantz ha dichiarato che il medesimo drone sarebbe stato venduto anche al Venezuela. La cooperazione con Caracas sarebbe iniziata con la vendita del Mohajer-2 nel 2007, anno in cui è stato imposto all’Iran l’embargo sulle armi da parte delle Nazioni Unite.

Infine, nel mese di maggio, il Generale Mohammad Bagheri, Comandante in Capo delle Forze Armate della Repubblica Islamica dell’Iran, ha presenziato in Tagikistan all’inaugurazione di una fabbrica per la costruzione di droni Ababil-2.

Sempre secondo Frantzman, i droni iraniani sarebbero ancora ai margini del mercato globale e verrebbero acquistati principalmente da Paesi a basso reddito o soggetti a sanzioni che non possono acquistarli altrove. L’Iran deve anche affrontare la forte concorrenza di potenze militari come la Turchia, il cui drone Bayraktar TB2 è stato acquistato da vari Paesi come l’Azerbaigian, il Pakistan e recentemente l’Ucraina.

Tuttavia, l’embargo ONU nei confronti di Teheran è decaduto nel 2020, nonostante le proteste degli Stati Uniti. Con la fine di questa limitazione, l’Iran potrebbe aumentare le esportazioni dei propri droni e acquisire un ruolo globale sempre più centrale nello sviluppo di questa tecnologia.

I droni al centro dei rapporti commerciali con la Russia

Uno dei Paesi che avrebbe già impiegato in combattimento apparecchi di fabbricazione iraniana sarebbe la Russia, in particolare nel bombardamento che ha interessato varie città ucraine il 10 ottobre. La fornitura avrebbe avuto inizio a luglio, su richiesta di Mosca, in seguito alle difficoltà incontrate sul campo. Inoltre, secondo la Casa Bianca, gli iraniani avrebbero inviato consiglieri militari in Crimea per addestrare le forze russe sull’uso di questi velivoli.

Secondo quanto riportato dal Wall Street Journal, Teheran, tramite questo rapporto commerciale, mirerebbe a rafforzare la sua cooperazione con il Cremlino, cimentata con l’intervento in Siria, e a colpire gli Stati Uniti al di fuori del Medio Oriente.

Inoltre, l’Iran premerebbe il Cremlino per avere maggiore accesso ai suoi armamenti, soprattutto ai caccia di ultima generazione Su-35, necessari per l’ammodernamento della sua aeronautica.

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