Un tempo era il “passaparola”, oggi invece si parla di “influencer marketing”, un fenomeno che ebbe inizio all’incirca nel 1990, quando internet iniziò ad essere impiegato come mezzo pubblicitario, affiancandosi a strumenti classici quali la televisione, la stampa e la radio, e quando nacque la figura del testimonial.
L’avvento successivo dei social network ha poi rapidamente ridefinito il modo in cui gli individui si relazionano tra di loro. Questo ha creato un nuovo concetto di comunicazione, che da unidirezionale è diventata interattiva: l’utente finale, infatti, non è più passivo, ma coinvolto direttamente.
Ciò ha sicuramente mutato il panorama pubblicitario, creando un nuovo mercato e una vera e propria professione, quella del cosiddetto influencer: ma quali sono le regole del gioco e i risvolti della medaglia?
Cosa è l’influencer marketing e come cambia il concetto di pubblicità
L’influencer marketing è una nuova forma di marketing basata sull’influenza che alcuni soggetti esercitano sul potere d’acquisto di altri attraverso l’utilizzo prevalente di social.
L’influencer marketing si basa poi sulla contrattazione, da parte di una azienda, di particolari contenuti sui canali di una persona con potere persuasivo, riconosciuto da una community specifica.
Si tratta di una persona con un certo seguito in uno specifico settore (fondamentale infatti diventa il numero dei follower e di interazioni ottenute dal post) che riceve il compito di posizionare nel mercato un prodotto di quel marchio attraverso i suoi canali social, che diventano una vera e propria vetrina virtuale. In genere è una persona, nota o meno nota, ma che si racconta e condivide la sua quotidianità attraverso i Social Network.
A fronte di un compenso e/o prodotti, il brand – sfruttando la visibilità di cui godono determinati personaggi del web – si assicura dunque maggiori chance di ottenere più clienti potenziali.
L’influencer marketing è efficace grazie alla credibilità che si ripone in queste persone, che hanno saputo con il tempo guadagnare autorevolezza con contenuti chiari e coinvolgenti.
Nasce di conseguenza la figura dell’influencer, che si fa sempre più strada sino a diventare una vera e propria professione e, come tale, richiedente tempo, preparazione, energie, e magari anche un investimento iniziale per riuscire a differenziarsi e ad emergere nel settore. Non solo. L’influencer deve anche avere un definito regime fiscale, in modo da regolarizzare i propri compensi.
Cambia così il panorama pubblicitario, che necessitava e necessita di una nuova rivisitazione e un aggiornamento, anche dal punto di vista della regolamentazione.
I “consigli per gli acquisti” degli influencer: i paletti dell’Autodisciplina pubblicitaria
In particolare, era necessario intervenire anche in considerazione della nuova capacità di influencer, testimonial e opinion leader di instaurare un rapporto continuo e diretto con i propri followers, in cui però “scelte private su acquisti” (e dunque preferenze, perfettamente legittime) e “consigli per gli acquisti” (leggasi, pubblicità dietro compenso) incominciavano ad avere un confine sempre più sottile, fino quasi a scomparire.
Così anche il nostro ordinamento giuridico incominciò ad occuparsene, e se pur non disciplinando espressamente il fenomeno – oggi tuttavia vanta una disciplina, per lo più frastagliata e lacunosa.
Tra i riferimenti normativi applicabili al settore, oltre al Codice civile in tema di concorrenza sleale, si hanno infatti il Codice del Consumo (d.lgs. 206/2005), il d. lgs. 206/2005 sulle pratiche commerciali sleali e il d.lgs. n. 145 del 2007, specialmente sulle tematiche riguardanti la pubblicità ingannevole e aggressiva, nonché il Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale, giunto alla sua 68ª edizione, in vigore dal 9 febbraio 2021 (La 1ª edizione del Codice risale al 12 maggio 1966).
In particolare, un intervento fondamentale fu realizzato nel 2016, quando l’Autodisciplina pubblicitaria ha emanato la “Digital Chart”, una prima azione alla richiesta dei consumatori e del mercato di rendere “trasparente” la comunicazione commerciale digitale.
La Digital Chart ha infatti fornito indicazioni specifiche per consentire, da un lato, agli utenti di riconoscere sempre i contenuti promozionali rispetto a quelli di altro tipo e, dall’altro, agli operatori di realizzare contenuti trasparenti e corretti per non incorrere in sanzioni. Dal 29 aprile 2019 queste linee guida sono poi diventate delle vere e proprie regole da rispettare, inserite in un apposito Regolamento parte integrante del Codice di Autodisciplina Pubblicitaria, e al cui rispetto sono tenuti tutti coloro che direttamente o indirettamente aderiscono al sistema autodisciplinare. Il Regolamento Digital Chart indica dunque per ognuna delle più diffuse forme di comunicazione commerciale digitale, ad esempio, quali diciture e hashtag è necessario adottare.
Le Linee guida e regole interpretative per gli influencer della Camera Nazionale della Moda
Lodevoli di menzione sono poi gli interventi tesi ad autodisciplinarsi: nell’ambito specifico del settore moda, doveroso segnalare anche l’iniziativa della Camera Nazionale della Moda Italiana (“CNMI”), che ha emanato le “Linee guida e regole interpretative per gli influencer”: seppur non vincolanti, secondo Buzzole, azienda che si occupa di influencer marketing e che conduce analisi anche sui settori che più hanno usato gli hashtag della trasparenza, il comparto moda risulta l’industria più attenta. Al pari, interessante anche il Codice Etico DCC per i digital content creator – applicabile anche agli influencer – creato dall’associazione Instagramers Italia, che riconosce e rappresenta gli appassionati e i professionisti specializzati nella produzione di contenuti digitali e che nel proprio regolamento – applicabile agli iscritti – ha indicato una specifica modalità per la divulgazione di tutti i post sponsorizzati, tramite cui un influencer può “taggare” la partnership nella parte superiore del post.
L’intervento dell’Antitrust
È stato poi importante anche un altro intervento. Per sollecitare la massima trasparenza e chiarezza sull’eventuale contenuto pubblicitario dei post pubblicati, così come previsto dal Codice del Consumo, anche l’Autorità Antitrust, con la collaborazione del Nucleo speciale Antitrust della Guardia di Finanza, è intervenuta nel 2017, inviando lettere di moral suasion ad alcuni dei principali influencer e alle società titolari dei marchi visualizzati senza l’indicazione evidente della possibile natura promozionale della comunicazione. Nelle proprie lettere, l’Autorità ha evidenziato come il divieto di pubblicità occulta deve essere applicato anche con riferimento alle comunicazioni diffuse tramite i social network, non potendo gli influencer lasciar credere di agire in modo spontaneo e disinteressato se, in realtà, stanno promuovendo un marchio.
L’Autorità ha pertanto chiesto, in relazione a tutti i contenuti diffusi mediante social media a scopo pubblicitario, di inserire avvertenze, quali, a titolo esemplificativo e alternativo, #pubblicità, #sponsorizzato, #advertising, #inserzioneapagamento, o, nel caso di fornitura del bene ancorché a titolo gratuito, #prodottofornitoda; diciture alle quali far sempre seguire il nome del marchio, conformandosi così il più possibile alle prescrizioni del Codice del Consumo, fornendo adeguate indicazioni atte a rivelare la reale natura del messaggio, laddove esso derivi da un rapporto di committenza e abbia una finalità commerciale (anche basato sulla fornitura gratuita di prodotti).
Cosa bisogna sapere se si vuole fare l’influencer
Dopo questa breve panoramica sull’inquadramento dell’influencer marketing nel nostro ordinamento, andiamo a esaminare tutti i concetti che bisogna conoscere se si vuole intraprendere questa professione.
Pratica commerciale scorretta e pubblicità ingannevole
La pratica commerciale è scorretta quando, in contrasto con il principio della diligenza professionale, falsa o è idonea a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico del consumatore medio. Il Codice del consumo distingue le pratiche commerciali ingannevoli (articoli 21-23 del Codice del consumo) e aggressive (articoli 24-26 del Codice del consumo).
Le prime falsano il processo decisionale del consumatore, portandolo in errore, ad esempio, sul prezzo, le caratteristiche del prodotto, i rischi connessi all’utilizzo del medesimo.
Se l’impresa agisce con molestie, coercizione o altre forme di indebito condizionamento, il suo comportamento è considerato aggressivo.
Vi è altresì un altro comportamento sanzionabile, consistente ad esempio nella pubblicità ingannevole commessa ai danni di altre imprese che vengono lese in quanto concorrenti. Succede quando un’impresa promuove i propri beni o servizi mettendoli a confronto con quelli dei concorrenti in modo scorretto o provocando discredito al concorrente.
Queste pratiche possono essere attuate anche dagli influencer. Nel momento in cui questi ultimi, infatti, non specificano chiaramente la natura promozionale di un proprio contenuto, spacciandolo per mera informazione, pongono in essere una pratica commerciale scorretta in violazione degli articoli 22 e 23 del Codice del Consumo. Si può configurare anche pratica aggressiva laddove inducano il proprio pubblico a pensare che senza l’utilizzo di quello specifico prodotto non si possa appartenere ad un tipo di community, generando così una certa pressione psicologica sui follower. Altre volte gli influencer, al fine di promuovere prodotti dietetici o integratori, ad esempio, si spingono a dare istruzioni anche dal punto di vista sanitario o scientifico, senza alcuna preparazione al riguardo, esponendosi al rischio di creare danni anche dal punto fisico ai propri follower.
A tal proposito si ricorda che l’art. 8 Decreto Legislativo 2 agosto 2007, n. 145 prevede che “L’Autorità (Garante della Concorrenza e del Mercato) può disporre con provvedimento motivato la sospensione provvisoria della pubblicità ingannevole e comparativa illecita in caso di particolare urgenza. In ogni caso, comunica l’apertura dell’istruttoria al professionista… “e – una volta accertato l’illecito – “con il provvedimento che vieta la diffusione della pubblicità, l’Autorità dispone l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000,00 euro a 500.000,00 euro, tenuto conto della gravità e della durata della violazione. Nel caso di pubblicità che possono comportare un pericolo per la salute o la sicurezza, nonché’ suscettibili di raggiungere, direttamente o indirettamente, minori o adolescenti, la sanzione non può essere inferiore a 50.000,00 euro”.
La tutela dei marchi
Il marchio indica un qualunque segno suscettibile di essere rappresentato graficamente, idoneo a distinguere i prodotti o i servizi di un’impresa da quelli delle altre. A livello normativo è regolato dagli articoli 2569 – 2574 del Codice civile nonché il codice della proprietà industriale (articoli 7 – 28 del D.lgs. 10 febbraio 2005, n. 30 e successive modifiche).
Gli influencer che utilizzano un proprio marchio devono sapere che per tutelare quest’ultimo è fondamentale registrarlo all’ Ufficio Italiano Brevetti e Marchi ed è inoltre suggerito di inserire i disclaimer contenente gli avvertimenti legali e le condizioni d’uso sul proprio sito web. Questo non significa che altre persone non possano utilizzare il marchio, ma che lo possono fare solo previa autorizzazione, per mezzo di contratti (la licenza di marchio) che disciplinino le modalità dell’uso del marchio su internet da parte del terzo autorizzato.
Si ricorda che l’art. 20, comma 1, lett. c) del Codice Italiano della Proprietà Industriale dispone che: “Il titolare ha diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nell’attività economica un segno identico o simile al marchio registrato per prodotti o servizi anche non affini, se il marchio registrato goda nello stato di rinomanza e se l’uso del segno senza giusto motivo consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del marchio o reca pregiudizio agli stessi”.
Da qui, al contrario, ne deriva un altro tema: cosa può fare o non può fare l’influencer che decide di utilizzare un marchio di terzi per le proprie comunicazioni?
In particolare, una domanda interessante da farsi potrebbe essere: “quali requisiti bisogna rispettare per condividere lecitamente sui social networks contenuti relativi ad un marchio di proprietà di terzi e quando invece si rischia di violare la normativa e dunque i diritti del proprietario del marchio”?
Hanno risposto a questa domanda il Tribunale di Genova – Sezione Specializzata in materia di Impresa – con ordinanza del 30 gennaio 2020 – e il Tribunale di Milano – con sentenza pubblicata il 3 giugno 2020 – chiarendo quando la condivisione sui Social Media di contenuti raffiguranti segni distintivi altrui può definirsi lecita e quando, invece, non lo è.
In particolare, il Tribunale di Genova ha sancito che l’uso di marchi altrui da parte dell’influencer nell’esercizio della propria attività è lecita quando: i) sia stato autorizzato dal titolare del segno distintivo; e/o ii) le immagini in cui il marchio appare “possano comunicare al pubblico un significato diverso da quello pubblicitario e commerciale, e cioè siano descrittive di scene di vita dell’influencer o di terze persone”.
Al contrario, quando le immagini condivise dall’influencer sono percepite dal pubblico come aventi finalità commerciali e pubblicitarie (ad esempio con l’utilizzo di spazi, frasi, didascalie tipicamente commerciali), l’uso del marchio altrui è abusivo.
La concorrenza sleale
Per concorrenza sleale si intende il compimento di atti non conformi ai principi della correttezza professionale e idonei a danneggiare l’altrui azienda. Secondo la definizione contenuta nell’art. 2598 del Codice civile, ad esempio, compie atti di concorrenza sleale chiunque:
1) usa nomi o segni distintivi idonei a produrre confusione con i nomi o i segni distintivi legittimamente usati da altri, o imita servilmente i prodotti di un concorrente, o compie con qualsiasi altro mezzo atti idonei a creare confusione con i prodotti e con l’attività di un concorrente;
2) diffonde notizie e apprezzamenti sui prodotti e sull’attività di un concorrente, idonei a determinarne il discredito, o si appropria di pregi dei prodotti o dell’impresa di un concorrente;
3) si vale direttamente o indirettamente di ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l’altrui azienda.
In questo contesto valgono anche le omissioni, volte ad esempio a mettere in risalto in modo scorretto un prodotto rispetto ad un altro.
Come detto, anche l’influencer, nell’ambito della sua attività, deve permettere al consumatore di riconoscere la natura del suo messaggio promozionale e deve assumere un comportamento di correttezza nei rapporti concorrenziali tra imprese.
Di contro, ogni condotta di concorrenza sleale in Internet può essere perseguita. Nel caso in cui infatti un’impresa ravvisi ai suoi danni comportamenti di concorrenza sleale o ipotesi di pubblicità comparativa illegittima o ingannevole, ovvero occulta e illecita può ad esempio: i) Agire davanti al Giurì di Autodisciplina Pubblicitaria, per eliminare la pubblicità ingannevole o comparativa illecita; ii) Rivolgersi al Giudice Ordinario ai sensi dell’art. 700 c.p.c. per ottenere un provvedimento urgente di inibizione della concorrenza sleale, richiedendo altresì l’eventuale risarcimento o indennizzo del danno ricevuto; iii) rivolgersi all’Autorità garante della Concorrenza e del Mercato (AGCOM) per ottenere dal professionista responsabile della pubblicità ingannevole e comparativa illecita l’assunzione dell’impegno a porre fine all’infrazione, cessando la diffusione della stessa o modificandola in modo da eliminare i profili di illegittimità. L’Autorità può disporre altresì l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000,00 euro a 500.000,00 euro, tenuto conto della gravità e della durata della violazione.
I diritti di autore e di immagine
Il diritto d’autore ha l’obiettivo di tutelare i frutti dell’attività intellettuale, riconoscendo una serie di diritti morali e patrimoniali all’autore originario dell’opera.
È infatti l’autore che – in quanto tale – può disporre dell’opera nel modo che più sembra consono percependo dalla stessa anche i frutti economici, come previsto dall’art. 12 della Legge 633 del 1941 sul diritto d’autore: “L’autore ha il diritto esclusivo di pubblicare l’opera. Ha altresì il diritto esclusivo di utilizzare economicamente l’opera in ogni forma e modo, originale o derivato, nei limiti di legge”.
Se dunque si vuole utilizzare opere di terzi, il consiglio è dunque quello di ottenere per iscritto il consenso dell’autore originario tramite un regolare rapporto di cessione o tramite una specifica clausola contrattuale (ad es. contratto di licenza). Inoltre, è opportuno sempre specificare di chi sia la paternità.
Viceversa, l’influencer che vuole tutelare i suoi contenuti dall’utilizzo da parte di terzi deve tenere presente che il diritto d’autore è riconosciuto con la sola creazione dell’opera (che tuttavia deve avere certe caratteristiche). È quindi sufficiente dimostrare di essere gli autori della stessa e di avere creato l’opera per primi: per farlo, un consiglio potrebbe essere quello di provvedere a depositare l’opera presso un ente che ne certifichi la data (ad esempio la SIAE), tenendo però conto che quest’ultima non effettua alcun controllo sul contenuto (e dunque, se si deposita un’opera non meritevole di tutela ai sensi della Legge sul diritto d’Autore, con il deposito non si acquisterà alcun vantaggio). Inoltre, è naturalmente possibile adire il Tribunale. Ai sensi dell’art. 156 della Legge d’Autore, infatti, si legge che “Chi ha ragione di temere la violazione di un diritto di utilizzazione economica a lui spettante in virtu’ di questa legge oppure intende impedire la continuazione o la ripetizione di una violazione già avvenuta sia da parte dell’autore della violazione che di un intermediario i cui servizi sono utilizzati per tale violazione può agire in giudizio per ottenere che il suo diritto sia accertato e sia vietato il proseguimento della violazione. Pronunciando l’inibitoria, il giudice può fissare una somma dovuta per ogni violazione o inosservanza successivamente constatata o per ogni ritardo nell’esecuzione del provvedimento”.
Si ricorda, ad esempio, che l’uso illegittimo dell’immagine dell’influencer potrebbe ledere quest’ultimo anche sul piano economico, magari precludendogli occasioni di lavoro con società concorrenti. Per questo è necessario intervenire per chiedere la cancellazione dei contenuti e in certi casi il risarcimento di questo danno.
Il contratto
Fondamentale diventa poi avere un contratto che disciplina i rapporti contrattuali fra azienda ed influencer. È opportuno che l’influencer presti seriamente attenzione anche alla negoziazione e alle clausole contrattuali da inserire.
Si tratta di un accordo scritto mediante il quale un soggetto, l’influencer, assume l’obbligo di pubblicizzare i prodotti/ i servizi di un determinato brand attraverso la pubblicazione di post e/o video sui propri social network, dietro il pagamento di un corrispettivo o la consegna di prodotti da parte dell’azienda proprietaria del brand.
Tra le clausole più importanti si suggerisce di prestare attenzione alle seguenti:
- la descrizione dell’oggetto, ovvero il contenuto delle prestazioni che entrambe le parti dovranno eseguire nell’adempimento delle obbligazioni da ciascuna assunte. Ad esempio, per l’influencer quali prodotti sponsorizzare, quanti post in foto e/o video a settimana, inserimento di link promozionali o di collegamento diretto allo shop e-commerce dell’azienda ecc. mentre, lato azienda, la specifica sui criteri in base ai quali viene determinato il compenso (sottoforma di denaro e/o prodotti) e le modalità di pagamento;
- clausola di esclusività, ovvero l’obbligo da parte dell’influencer di non sponsorizzare prodotti della concorrenza e/o obbligo dell’azienda di non ricorrere ad altri influencer per pubblicizzare i medesimi prodotti. In questo caso è importante stabilirne i limiti, ad esempio di territorio, di settore merceologico e di durata, che può prolungarsi anche a seguito di cessazione del contratto (in questo caso diventerebbe poi patto di non concorrenza, con un obbligo di ulteriore compenso);
- la clausola risolutiva espressa che comporta, a seguito di violazione di specifici obblighi contrattuali, la risoluzione del contratto e l’eventuale obbligo di risarcimento;
- obblighi di stili comunicativi e di comportamento, in particolare l’adesione al Codice di Autodisciplina pubblicitaria e/o altri modelli di condotta, al fine di rispettare i principi fondamentali in tema di comunicazione commerciale e concorrenza per evitare di incorrere in illeciti e sanzioni o anche solo a tutela della reputazione dell’azienda;
- una clausola specifica sui diritti di immagine e di proprietà intellettuale, prevendendo se necessario particolari licenze, al fine di evitare che sorgano problematiche connesse in corso di rapporto e/o successivamente;
- le reciproche responsabilità, anche in connessione alla normativa sul tema di trattamento e protezione dei dati;
- il foro competente in caso di lite e/o altre modalità di conciliazione tra le parti, posta la probabile distanza tra azienda e influencer;
- la durata del contratto, e dunque anche se e per quanto tempo i post potranno essere mantenuti online e/o ripostati dall’azienda dopo la conclusione della campagna;
- garanzie e manleve, ad esempio in relazione ai diritti di terzi, che potrebbero essere violati dall’Influencer nella creazione dei post;
- tutele della riservatezza, sia delle informazioni che le Parti si scambiano in virtù del rapporto contrattuale, sia dei dati personali trattati in esecuzione al contratto.
È consigliabile che la fase contrattuale venga gestita da professionisti, per evitare di trovarsi in spiacevoli situazioni, come il pagamento di alcune penali oppure l’inapplicabilità di alcune clausole per indeterminatezza (v. Trib. Milano, 09/02/2015. e le morality clauses)
Il trattamento dei dati personali
Foto, video, follower, geolocalizzazioni, racconti di vita: non si può negare che ogni azione legata alla pubblicazione sui social da parte degli influencer implichi un trattamento di dati. Questo significa che anche l’influencer è soggetto alla normativa sulla protezione dei dati (Regolamento Europeo 679/2016, di seguito Gdpr) in quanto titolare del trattamento.
Pensare dunque che sia un tema riferibile esclusivamente alle aziende gestori dei social è errato: come affermato dalla stessa Corte di Giustizia dell’Unione europea, l’amministratore di una pagina Facebook (e dunque degli altri social) è contitolare del trattamento dei dati personali degli utenti che la visitano insieme a Facebook stessa.
Questo comporta in capo all’influencer una serie di obblighi tra i quali: i) il rilascio dell’informativa sul trattamento dei dati personali ai sensi dell’art. 13 Gdpr; ii) l’individuazione di una precisa base giuridica per il trattamento dei dati, ai sensi dell’art. 6-9 del Gdpr, e dunque – in assenza di altre basi giuridiche – di una eventuale richiesta di consenso al trattamento dei dati laddove necessario ex lege (l’utilizzo di mail di follower per l’invio di una propria newsletter, ad esempio); iii) nomine di collaboratori come autorizzati al trattamento e/o di fornitori come responsabili esterni del trattamento (ad esempio l’agenzia di marketing), laddove i dati vengano trattati in nome e per conto dell’influencer; iv) l’obbligo di utilizzare misure di sicurezza adeguate per garantire la protezione dei dati trattati; v)adottare specifiche cautele in relazione ai follower minorenni.
Dall’altra parte, invece, l’influencer ricopre anche il ruolo di interessato, ovvero la persona identificabile o identificata a cui si riferiscono i dati trattati ed è quindi egli stesso meritevole di protezione: in esecuzione ad un contratto, infatti, fornisce i suoi dati anagrafici, condivide i suoi gusti o le sue preferenze attraverso live e/o video, rilascia dichiarazioni e pubblica proprie foto. Nel momento in cui lavora per sponsorizzare prodotti e servizi di aziende, queste inevitabilmente trattano quei dati in qualità di titolari del trattamento; pertanto, devono informarlo sul trattamento dei dati ai sensi dell’art. 13 Gdpr. Nelle vesti di interessato, ha dunque la possibilità di far valere i suoi diritti (di accesso, di rettifica, di limitazione, di opposizione, di cancellazione ecc.) laddove previsto dalla normativa sulla protezione dei dati e altresì proporre reclamo o ricorso innanzi le autorità competenti laddove ne ravvisi i presupposti.
I diritti del consumatore
Come è noto, il nostro ordinamento giuridico consta del Codice del Consumatore, applicabile anche nei contesti digitali dove l’influencer è solito operare.
Come sappiamo, il consumatore deve essere informato sulla natura commerciale della comunicazione.
Laddove il destinatario della comunicazione ravvisi qualche violazione della normativa, lo stesso può intraprendere diverse strade: i) può rivolgersi ad un Tribunale; tuttavia, non sempre questo iter è veloce e non garantisce una tutela in tempi rapidi. In questo caso l’aspetto che può preoccupare di più, oltre alla durata e ai costi processuali, è anche la richiesta di risarcimento per un danno subito. A tal riguardo si evidenzia che la dimostrazione della natura ingannevole della comunicazione non porta automaticamente all’ottenimento del risarcimento. La connessione tra questa ed il danno deve essere provata. Gli scenari di un giudizio sono poi i più svariati: il consumatore potrebbe richiedere il risarcimento all’influencer in quanto responsabile del messaggio pubblicitario e potrebbe anche citare il marchio. Quest’ultimo, qualora coinvolto dal consumatore, potrebbe altresì rifarsi sull’influencer laddove sia chiaro il disallineamento tra quanto effettivamente dichiarato dal marchio in merito ad un prodotto ed il messaggio ingannevole dato dall’influencer (ecco perché è importante avere un buon contratto!). Ad ogni modo, le implicazioni derivanti dalla perdita di reputazione dell’influencer, a prescindere dall’esito di un tale procedimento, sono più che evidenti. ii) Un’altra possibilità del consumatore è quella di rivolgersi all’AGCOM (Autorità Garante della Concorrenza del Mercato) che può sanzionare economicamente il mittente della pubblicità e ordinare la rimozione del messaggio pubblicitario; iii) esiste poi una terza strada, più veloce ed economica, cioè adire l’Istituto di Autodisciplina pubblicitaria (IAP) che però può solo ordinare la rimozione del messaggio pubblicitario (e dunque non ingiunge nessuna sanzione economica) iv) infine, esistono forme più “concilianti”. Ad esempio, il Consumatore ha anche la facoltà chiedere allo IAP un parere preventivo sulla conformità della pubblicità al Codice di Autodisciplina, dando dunque la possibilità all’azienda di modificare i contenuti della pubblicità a seconda del parere rilasciato.
Se l’influencer finisce in tribunale
Se pur lo sviluppo degli influencer sia un fenomeno recente e non vi sia ancora una regolamentazione ben specifica, incominciano a prendere piede diverse pronunce che trovano come destinatari i nuovi protagonisti del web.
Ciò a dimostrazione del fatto che non ci si può improvvisare influencer e che è importante conoscere le regole del gioco.
Tra le pronunce di cui più si è parlato, c’è quella del Tribunale di Roma che ha condannato al pagamento di 6mila euro una nota influencer per aver pubblicato nella sua “story” di Instagram (rimasta online per 24 ore) una foto intima di una donna che veniva scorrettamente associata alla nota conduttrice “rivale”. Nella sentenza si legge che l’influencer “è responsabile di aver attribuito alla persona dell’attrice una immagina potenzialmente disturbante, volgare e che in realtà raffigura un’altra persona”.
Il Tribunale di Firenze ha invece condannato un famoso youtuber perché nel 2017 avrebbe evaso l’Iva per quasi 76 mila euro, omettendo di presentare la dichiarazione per redditi pari a 344 mila euro. L’influencer, infatti, avrebbe stipulato con le agenzie pubblicitarie contratti per la pubblicazione di banner sui propri video usando la cessione del diritto di autore che non prevede versamento di Iva. Però lo YouTuber, in base a quanto accertato dalla Guardia di Finanza, avrebbe svolto attività continuativa professionale non compatibile coi contratti da lui stipulati: la sua era a tutti gli effetti un’attività di lavoro autonomo, che necessitava di una partita Iva. Per non aver applicato il regime fiscale corretto e pagato le tasse, l’influencer è stato condannato ad 8 mesi di reclusione.
Interessante, come già indicato, anche la decisione della sezione Specializzata in materia di Impresa del Tribunale di Genova, che con l’ordinanza del 30 gennaio 2020 pubblicata il 4 febbraio u.s., ha affrontato il tema dell’uso di marchi altrui da parte degli influencer, chiarendo quando la condivisione sui social di contenuti raffiguranti segni distintivi altrui può definirsi lecita e quando, invece, può costituire una violazione dei diritti del titolare del marchio.
Gli interventi dell’Antitrust
Nel 2020 invece l’Autorità Garante della Concorrenza ha avviato un procedimento concernente le condotte tenute di alcuni influencer, consistenti nella realizzazione di una forma di pubblicità non trasparente mediante l’inserimento del brand LG nel videoclip musicale della canzone “Senza pensieri”. Il procedimento si è concluso con l’impegno degli stessi influencer di rendere trasparente, ove sussistente, la finalità anche pubblicitaria delle loro creazioni artistiche, non solo per il videoclip oggetto di istruttoria, ma in generale anche in futuro.
Nel 2021 AGCM ha poi avviato un procedimento nei confronti di British American Tobacco S.p.A. (“BAT”) e di alcuni influencer per una pubblicità occulta del prodotto da tabacco “Glo”. La condotta oggetto del provvedimento è stata la pubblicazione di post su Instagram da parte di influencer legati a BAT, con l’invito ai propri follower a pubblicare contenuti, menzionando Glo e l’influencer e inserendo hashtag collegati al marchio e con l’impegno degli influencer a ripubblicare sul proprio profilo e su quello di Glo i contenuti migliori postati dai follower. Se pur i post degli influencer risultavano muniti delle corrette diciture circa la natura commerciale, al contrario, quelli pubblicati dai follower in risposta alla call to action ne erano completamenti privi. Detta condotta è stata contestata dall’AGCM. Il procedimento si è chiuso con l’accettazione degli impegni proposti da BAT e dagli influencers, che si sono obbligati ad esortare i follower a inserire hashtag quali #adv prima del marchio riferito al prodotto, pena l’esclusione da qualsiasi premio/ricompensa.
Le pronunce dal punto di vista del Codice di Autodisciplina pubblicitaria
Mentre dal punto di vista del Codice di Autodisciplina pubblicitaria, numerose sono le pronunce nei confronti di influencer.
Una tra tutte, la decisione del Comitato di controllo n. 48/19 del 30/08/2019, che ha censurato la pubblicità di un noto amaro diffusa su Instagram da un influencer lo scorso 29 agosto 2019 perché in violazione dell’art. 7 del Codice di autodisciplina della comunicazione commerciale: la natura pubblicitaria del post non era immediatamente riconoscibile come previsto dalle norme e dalla Digital Chart. La pubblicità censurata era composta da due foto nelle quali l’influencer, raccontando le sue vacanze, tenendo in primo piano una bottiglia di quell’amaro, scriveva in didascalia “…un’estate calda, molto calda. Ma grazie a @nomeamaro ho potuto rinfrescare la mente ed il palato…”. Il post, dunque, non comportava alcuna indicazione circa la natura commerciale della comunicazione, ma anzi pareva descrivere semplicemente attimi della vita privata dell’influencer.
Ed ancora, significativa è la decisione dello IAP nei confronti di un’importante azienda di moda. La violazione sarebbe avvenuta attraverso la pubblicazione di 5 Instagram Stories e un post -pubblicati nel febbraio 2022 da parte di un noto influencer – in cui vengono mostrati diversi prodotti con l’hashtag, #thanksto. La società si oppone all’ingiunzione di desistere dalla diffusione dei messaggi pubblicitari sostenendo che non vi era alcun contratto per quegli specifici prodotti e che i post sono nati spontaneamente dall’influencer. La decisione passa così al Gran Giurì che però conferma la violazione in quanto:
- la società, taggata nei post, era stata immediatamente informata dei post e avrebbe potuto intervenire;
- anche se non commissionati dalla società, i post nascono comunque da un dono, pertanto, hanno natura pubblicitaria;
- vi era comunque una relazione commerciale intercorsa tra azienda e influencer;
- nel caso di specie non sono stati adottati adeguati accorgimenti per rendere la comunicazione dell’influencer realmente trasparente, ed anzi, la stessa risultava ambigua.
Vantaggi e criticità dell’influencer marketing, sia per i marchi che per l’ influencer
Che ci siano dei vantaggi in questo tipo di marketing è testimoniato già dall’emergere stesso di figure professionali in questo campo e dagli investimenti che aziende più o meno grandi stanno facendo in tal senso. Secondo uno studio commissionato dal parlamento europeo il valore globale dell’influencer marketing è passato dal 1.7 (nel 2016) a 13.8 (nel 2021) miliardi di dollari. Per capire i vantaggi di questo tipo di marketing serve capire da quali condizioni essi hanno origine.
L’evoluzione del marketing, inizialmente incentrato principalmente sulle caratteristiche del prodotto, oggi viene definito 4.0 e si riferisce ad un sistema molto più articolato, caratterizzato da un contesto sempre più digitale. Questo non è da intendere come la mera evoluzione e sostituzione tecnologica del mezzo di comunicazione: ne vanno intese le profonde implicazioni sociali.
Uno dei cambiamenti apportati da questa evoluzione sta nel fatto che le aziende (i marchi se vogliamo) erano, una volta, i pieni creatori e detentori dei messaggi di marketing. Immaginiamo per esempio, volutamente semplificando, un cartellone pubblicitario con il quale gli esperti di comunicazione decidevano cosa dire (appunto, i messaggi) sul prodotto e come dirlo, raggiungendo in maniera unidirezionale i consumatori.
Oggi invece i messaggi di marketing (ancora una volta: cosa si dice, cosa leggo, cosa vengo a sapere del prodotto) si formano in luoghi totalmente avulsi dal contesto e dallo stesso controllo dei marchi. Pensiamo per esempio ad un blog che parla di attrezzatura da campeggio dove i consumatori sono liberi di esprimere esperienze e giudizi in modo assolutamente non controllato dalle aziende: sono proprio quelli i messaggi di maggiore efficacia, in quanto gli utenti stessi vi riconoscono un’autenticità e rilevanza (esageriamo: una verità) ben superiore di quella che percepirebbe se il medesimo messaggio arrivasse dai marchi.
Un dato di fatto è dunque che i consumatori non guardano più i “cartelloni” e che le società non controllano più l’interezza della comunicazione sui loro prodotti.
L’influencer, uno di noi?
Utilizzare l’influencer marketing significa in qualche modo ricucire questo strappo.
L’influencer è una persona che risulta autorevole ed al tempo stesso neutrale (leggiamo, sincera, credibile) agli occhi dei consumatori in quanto essenzialmente uno di loro. Uno di loro, ma non uno dei tanti, infatti l’influencer usa la sua competenza per attuare quella che è (forse ancora sottovalutata) un’operazione di traduzione e sintesi dell’informazione a beneficio del consumatore.
L’utente che si domanda quale sia il migliore frullatore a immersione non ha materialmente il tempo di ricercare quali sono le specifiche migliori; e come può preferire l’uno rispetto ad un altro marchio, in mezzo ad una moltitudine di prodotti, in una offerta che sembra infinita? L’influencer ha già scartato per l’utente i prodotti meno validi, ha ridotto la scelta ad un numero gestibile, ha riassunto in poche righe cosa realmente serve e come non sbagliare nella scelta.
Da qui si comprende subito il ruolo ed il potenziale dell’influencer e, di contro, i vantaggi per i marchi di padroneggiare almeno in parte questo tipo di marketing. In particolare, il rapporto influencer – azienda permette di gestire vari aspetti, quali:
- il “target”: l’influencer accede ad una platea di follower già “selezionati”, in altre parole se l’influencer è il target per l’ azienda, lo saranno probabilmente (o vorranno essere) anche i suoi follower. Questo consente dunque di essere più efficienti in termini di comunicazione evitando quindi di raggiungere platee che non saranno mai interessate a quei prodotti e servizi. Come si può immaginare questo significa risparmiare sul budget di marketing, investendo meno nei canali tradizionali poco segmentabili, ormai saturi e più costosi.
- la comunicazione: i messaggi di marketing attraverso la voce dell’influencer sono già tradotti nel linguaggio più appropriato e superano immediatamente la barriera di scetticismo che invece si presenta nel momento in cui ad un consumatore si tenta di “vendere” qualcosa. La comunicazione diventa quindi più efficace.
- la crescita del brand: vale per i marchi “sfidanti”, ed emergenti. Un marchio poco noto può far crescere il proprio brand molto più velocemente “mutuando” la credibilità dell’influencer, che si trasmette così da quest’ultimo al brand stesso.
Fondamentale diviene dunque trovare la giusta sinergia tra l’influencer e il marchio, in poche parole la giusta fidelizzazione dell’influencer.
Di contro però abbiamo dei limiti e delle criticità.
Fino a che punto un marchio può fidelizzare un influencer? Da che punto in poi l’influencer perde decisamente il suo carattere di imparzialità e dunque di credibilità agli occhi dei consumatori?
È una linea sottile sulla quale muoversi tanto più che il passaggio tra influencer a testimonial è ben noto ai follower.
La bravura (e il futuro) dell’influencer (e delle aziende che lo incaricano) sta proprio nel non superare mai quella linea.
Come iniziare la carriera di influencer
Vale la pena di notare che nonostante sia un campo recentissimo i numeri potrebbero essere un po’ meno entusiasmanti di quanto ci si aspetta.
Secondo uno studio del parlamento europeo il valore di mercato dell’influencer in Italia ha raggiunto i 280 milioni di euro nel 2021 e la crescita rispetto all’anno precedente è stata del 15%. Insomma, benché queste stime siano chiaramente al ribasso si parla pur sempre di “peanuts” (o come diciamo noi, bruscolini) con una crescita blanda rispetto ad altri settori nuovi ed innovativi.
Inoltre, il mercato sembra incredibilmente già saturo. Secondo lo stesso studio in Spagna gli influencers sono l’1.94% della popolazione, in Portogallo l’1.35% ed in Italia il 2.22% della popolazione. Appare dunque un mercato caratterizzato da pochissime barriere all’ingresso ed una competizione già sterminata. Questo si riflette nella possibilità di rendere redditizia questa professione. Riportando qualche dato: nel 2021, l’influencer marketing ha generato in Italia 350.000 posti di lavoro da influencer e content creator. Facendo i conti con i dati sopra indicati, si calcola un posto di lavoro per 4 influencers.
Fatta questa doverosa premessa, bisogna anche evidenziare in maniera del tutto trasparente che la “ricetta” per diventare un influencer di successo è ancora tutta da scrivere e di certo non si può esaurire in poche righe (interessante constatare la proliferazione di coach e guru che si propongono di aiutare a diventare influencer di successo).
Ad ogni modo si possono individuare dei fattori e metodi dai quali non si può prescindere. Anche perché la questione più importante non è tanto come diventare, ma “come restare influencer”, sottraendosi a parabole di notorietà dalla pendenza vertiginosa sia in ascesa che in discesa.
Sviluppare una platea omogenea
Un influencer è tale solo se ha una platea che gli rivolge attenzione. Un primo aspetto, dunque, è quello di sviluppare una platea omogenea perché altrimenti sarà più difficile decidere il messaggio più efficace.
È infatti proprio l’articolazione del messaggio e dell’argomento che seleziona e attrae la platea che si sviluppa intorno ad esso. La produzione di contenuti rilevanti, che forniscono valore aggiunto alla platea, è fondamentale. Come si riconosce un contenuto a valore aggiunto? Ha di certo buone speranze di esserlo il contenuto che nasce da un precedente processo di ricerca e analisi, e ne costituisce la traduzione e la sintesi delle informazioni. L’influencer, ad esempio, deve rispondere a specifiche domande, alcune delle quali ci sembrano banali come “dove vado a mangiare stasera” ma che di fatto impattano sulla gestione di una quotidianità. Appunto, la influenzano. E la influenzano anche perché l’influencer, in quanto consumatore, non si pone come asettico catalogatore ma è chiamato ad avere un punto di vista, esprimere una preferenza, concludere l’analisi con un’opinione.
Limitare gli argomenti di competenza
Un altro aspetto da considerare è la limitazione degli argomenti di competenza. È davvero possibile essere esperti e avere un’opinione su tutto? Evidentemente no, la tuttologia non è il terreno degli influencer. La credibilità si fonda anche sull’autorevolezza e dunque nella scelta di campi di competenza nei quali, necessariamente, trovare la propria identità.
La gestione delle tecniche digitali
Altro aspetto che l’influencer deve valutare è il proprio “palco”, ovvero la gestione delle tecniche digitali.
I social ed in generale tutto il web costituiscono il palco cioè la “visibilità” sulla quale fa leva l’influencer (e che fa tanto gola ai marchi). L’aspetto curioso è che nel mondo fisico il palco, la platea e il messaggio sono “oggetti” separati che non interagiscono tra loro. Nella realtà digitale invece questi tre oggetti sono interconnessi: i contenuti più rilevanti e più seguiti sono a loro volta presentati più spesso; quindi, aumenta la loro visibilità e dunque più persone vengono raggiunte. Il modo per essere “ascoltato” da un pubblico sempre più vasto fa parte di quelle tecniche che l’influencer deve conoscere. Si parla ad esempio di SEM (Search Engine marketing) che consente di ottimizzare i contenuti in modo che siano più visibili e maggiormente raggiungibili dagli utenti.
L’interazione con i follower
Altro aspetto da non trascurare è l’interazione con la “platea” (i follower). La stessa si accresce attorno ai messaggi e le connessioni. Ma è volatile. Tenerla stretta a sè è di fatto la sfida dell’influencer (anche questa capacità è quella che forse fa ancor più gola ai marchi). Come essere (e continuare ad essere) un fattore gravitazionale rilevante che attragga questi satelliti-platea? Come accrescere la propria “massa gravitazionale”? Come detto, la produzione di contenuti di qualità contribuisce a creare massa attrattiva. Di fatto i marchi, per interposta persona, scaricano sull’influencer (e sperano di ottenerne risposta) una delle domande più importanti: che cosa interessa davvero alla gente? Saper rispondere a questa domanda è forse la più sottovalutata delle future risorse e competenze dell’influencer: essere in grado di compiere il percorso inverso, ovvero riuscire a comprendere, tradurre e sintetizzare non solo i messaggi verso i consumatori, ma i bisogni (i tanto idolatrati “needs”) dei consumatori verso i marchi è una sfida che può far la differenza tra un influencer e un altro.
Non perdere mai la propria identità
Tra i punti da non sottovalutare, c’è anche quello di non perdere mai la propria identità, ma riaffermarla: l’influencer non è un autore nell’ombra, è un personaggio pubblico, e se ha una propria “massa” anche al di fuori del ruolo dell’influencer, questo può aiutare tantissimo. Le occasioni per farlo sono di fatto concretamente poche ma non nulle. Una “biografia” in linea con i messaggi e i contenuti alla quale dare un po’ di visibilità (rafforzando così la propria credibilità) è forse la strategia migliore. Tanto per fare un esempio stilistico: un influencer che parli di petfood potrebbe chiudere il cerchio se il suo impegno nel volontariato rivolto agli animali fosse parte di una storia raccontata da “altri”.
Infine, un ultimo aspetto da non sottovalutare è saper mantenere il giusto equilibro di rapporti tra follower e aziende, sfruttando un gioco di orbite che gli consenta di attrarli entrambi. L’avvicinarsi troppo, ad esempio, ad i marchi farebbe collassare l’influencer su di essi perdendo la capacità di attrarre la platea che lo vedrebbe non più un soggetto autonomo e dunque credibile.
Conclusioni
La figura dell’influencer ha buone possibilità di conservare e aumentare il suo ruolo nelle strategie di marketing dei grandi e piccoli marchi. È una professione nuova in un ambiente in evoluzione, che prevede l’acquisizione veloce benché sistematica di conoscenze, tecniche e contesti giuridici che possono incutere un certo timore. Ma è proprio questo ad aprire il campo all’ opportunità, sono proprio gli aspetti nuovi e incerti che generano l’occasione. Come in tutti gli ambiti dell’imprenditoria è impensabile scrivere la parola guadagno (successo) senza leggervi la parola rischio.