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Made in Italy su Amazon, migliorare le vendite è possibile: ecco come

Sono poco più di ventimila i venditori nella speciale vetrina che Amazon ha chiamato, con poca fantasia ma ovvia efficacia, “vetrina del Made in Italy”. Sicuramente una marcia in più formidabile per le aziende italiane, ma non mancano i problemi. Risolverli, per fortuna, non è impossibile

Pubblicato il 23 Nov 2022

Luca Accomazzi

Fondatore, Accomazzi.net Srl

report amazon

A un anno circa dal lancio della speciale vetrina che Amazon ha dedicato al nostro Paese su quasi tutti i suoi siti, emerge un bilancio del tutto positivo delle ricadute per le aziende nostrane che ci hanno creduto. Specialmente artigiani e produttori originali.

Nessuno tra i nostri lettori alzerà il sopracciglio se scriviamo che Amazon è, di gran lunga, il maggior sito di commercio elettronico occidentale. Ma non si tratta di affari privati della multinazionale statunitense: sono circa 185.000 le imprese terze che usano Amazon come vetrina e pagano una provvigione (mediamente del 15% circa) e un canone mensile di 39 euro al gigante fondato da Jeff Bezos per raggiungere i suoi trecento milioni di clienti con i propri prodotti. E, del resto, più della metà dei prodotti venduti su Amazon sono riforniti proprio da queste aziende e non direttamente da Amazon stessa.

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Come va la vetrina del Made in Italy

In Italia i venditori indipendenti (Amazon li chiama seller) sono oggi un po’ più di ventimila (un aumento di oltre il dieci percento rispetto al 2021). Poco più della metà vende non solo nel nostro Paese ma anche all’estero. Anche senza volersi impegolare in dazi, dogare e tariffe quando si spedisce oltreconfine, infatti, Amazon è presente in numerosi altri stati membri dell’Unione Europea: Germania, Francia, Spagna, Olanda, Polonia e — da qualche settimana — anche il Belgio. (Nell’elenco appena visto le abbiamo citate in ordine di importanza, ovvero di smercio, sulla base dei dati di vendita delle imprese che l’autore di questo pezzo assiste).

Chi vende anche all’estero, dati dell’anno scorso, mediamente fattura 35.000 euro ogni anno in aggiunta a quel che ottiene sul mercato domestico. I risultati migliori sono macinati non da rivenditori ma dai produttori nazionali, i quali possono partecipare a una speciale vetrina che Amazon ha chiamato, con poca fantasia ma ovvia efficacia, “vetrina del Made in Italy”.

Questo spazio dedicato a mettere in bella mostra le eccellenze italiane è stato introdotto un po’ sottotono da Amazon l’anno scorso, ma potenziato ed esteso a marzo di quest’anno. Oggi la vetrina del Made in Italy è presente non soltanto sugli Amazon europei ma anche su quelli di Canada, Emirati Arabi Uniti, Giappone, USA e Messico. Chi partecipa — circa 4.500 imprese italiane, ad oggi, hanno caricato circa un milione di prodotti — non ha obbligo di vendere in tutte queste nazioni, ma può decidere di servire soltanto quelle dove ha convenienza logistica nello spedire le merci.

Per le nazioni extraeuropee, lo diciamo sempre sulla base di quanto abbiamo toccato con mano, i risultati più incoraggianti vengono da USA e Giappone che non a caso sono le nazioni dove i consumatori hanno maggior propensione all’acquisto online (addirittura il 72% dei giapponesi lo fa abitualmente).

Amazon ha pubblicato di recente un report con una serie di numeri, notizie e citazioni da alcuni testimonial soddisfatti.

Le iniziative

Dal punto di vista di chi scrive (assisto, da tecnico, le aziende italiane a sbarcare su Amazon da oltre cinque anni) la vetrina del Made in Italy è una marcia in più formidabile per le aziende tricolori che hanno prodotti di eccellenza e una rete di rivenditori — magari capillare e costruita in decenni di lavoro certosino — che non si estende in tutte le nazioni raggiunte da Amazon. In questo caso, infatti, in un sol colpo l’azienda si trova a disporre di un partner per la grande distribuzione che opera in mercati tutti da scoprire. Se poi il produttore dispone già di distributori esclusivi in alcune delle nazioni dove Amazon opera, è facile convogliare a questi gli ordini ricevuti sui rispettivi mercati nazionali, facendo dunque loro un favore netto e aiutandoli a espandere il giro di vendite.

Che la vetrina del Made in Italy funzioni bene è anche testimoniato dal fatto che la Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane, parte del nostro Istituto per il Commercio con l’Estero (ICE) nel giugno scorso ha co-finanziato le campagne di advertising sugli Amazon stranieri. Chi volesse partecipare alle probabili future edizioni della medesima iniziativa può chiedere di venire avvisato compilando questo modulo predisposto dall’Agenzia).

Ma non è tutto rose e fiori

Tutto rose e fiori, dunque? Naturalmente no, ogni successo è sempre frutto di lavoro, ingegno e qualche compromesso e quasi mai istantaneo.

Alcune aziende produttrici non sono attrezzate per gestire direttamente la logistica, cioè per spedire merce in piccole quantità ai consumatori, e questo può essere un grosso problema. Amazon si offre di lavorare anche come corriere a prezzi contenuti (è l’iniziativa Amazon Shipping) ma questo può non bastare se in azienda non c’è nessuno che può preparare tanti piccoli pacchi. È cresciuto allora negli ultimi mesi un sottobosco di aziende terze, selezionate e certificate da Amazon stessa tra quelle che già offrono servizi del genere ai venditori di maggior successo (è il programma SPN, Selling Partners Network), che ricevono ingenti scorte dal produttore e le smistano. Il sottoscritto ha, ma è solo un esempio, avuto modo di conoscere il titolare di una giovane azienda polacca che col suo personale e i suoi magazzini serve sia la Polonia che il ricco mercato tedesco.

Altre aziende faticano a rispondere alle richieste del marketplace Amazon nei tempi e nei modi che il gigante dell’ecommerce pretende. Nel 2020 abbiamo visto, per esempio, una azienda di Napoli venire radiata dalla partecipazione perché due magazzinieri hanno preso il COVID, il titolare non ha pensato a sospendere immediatamente le vendite, e le spedizioni hanno ritardato.

Analogamente, chi ha scorte di magazzino difficilmente rinnovabili (si pensi per esempio ai produttori di vino, che certamente non possono procurarsi ulteriore Chianti annata 2020 quando il magazzino si svuota) debbono garantire massima attenzione a non lasciare in vendita gli esauriti.

La soluzione

La soluzione qui sta nell’integrare i software gestionali aziendali con l’infrastruttura Amazon, usando speciali chiamate (SP-API) approntate allo scopo. Con le SP-API è anche possibile variare i prezzi al pubblico: per esempio, abbiamo seguito un rivenditore creando una soluzione in cui i prodotti che anche concorrenti offrono vengono limati di prezzo, anche di un solo centesimo, in modo da sbaragliare i rivali. Di converso, i prodotti che non hanno concorrenza sul marketplace Amazon (magari semplicemente perché i concorrenti di stanno riapprovvigionando) vengono immediatamente fatti salire di prezzo, garantendo globalmente un’ottima marginalità.

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