COP27

La finanza ignora i cambiamenti climatici: è ora di cambiare modello

I disastri ecologici, come le guerre, fanno aumentare il PIL, esplodere le opere pubbliche e le ricostruzioni. Eppure, basterebbe rivedere di poco il modello finanziario alla base della lotta al cambiamento climatico. Invertire la rotta si può, con nuove logiche di governance dell’innovazione e nuovi modus operandi

Pubblicato il 22 Nov 2022

Pierluigi Casolari

founder di Unconventional Road, autore di Startup 3.0, blog su startup, innovazione e web 3.0

disinformazione cop28 clima

I grandi piani per il cambiamento climatico ogni anno si trasformano e le priorità vengono cambiate radicalmente, in nome di nuove urgenze e incombenti emergenze. Ieri era il Covid, oggi la guerra in Ucraina.

Quello che è emerso nei giorni scorsi al COP27 è del resto proprio la necessità di rivedere l’approccio al contenimento dell’emergenza climatica, sia in termini di obiettivi che di modelli finanziari. A quanto pare, infatti, al momento, la finanza tradizionale è strutturata per guadagnare dai disastri, non dalla loro prevenzione, mentre l’adattamento ai cambiamenti climatici attrae ancora pochissimi fondi e non ha ancora dato origine a un ecosistema economico in grado di generare flussi finanziari autonomi.

Eppure, per invertire la rotta basterebbe poco.

The State of the Climate in Europe 2021 - English

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Lotta ai cambiamenti climatici, i dubbi sugli impegni finanziari

Secondo un rapporto dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), pubblicato il 29 luglio 2022, non è stato mantenuto l’impegno a versare 100 miliardi di dollari a partire dal 2020, da parte dei paesi ricchi verso i paesi in via di sviluppo. Anche i Contributi determinati a livello nazionale (NDC) definiti a Glasgow nel 2021 sono stati rispettati solo da 24 paesi dei 193 firmatari.

Sono in particolare gli impegni finanziari a lasciare molti dubbi. D’altra parte, sono questi interventi di spostamento finanziario a trasformare le dichiarazioni di intenti in azioni concrete. Per certi versi sembra che la parte del leone negli obiettivi non raggiunti sia la finanza privata. Secondo recenti studi solo 1,6% degli investimenti realizzati per l’adeguamento alla trasformazione climatica proveniva da fondi privati, banche e aziende.

Green economy, metriche poco appealing per banche, fondi di private equity e venture capital

Le metriche che oggi vengono ampiamente utilizzate nei modelli di green economy, e che vanno dal ritorno sociale di investimento alla riduzione dei costi futuri, non sono sufficientemente appealing per banche, fondi di private equity e venture capital. Il vecchio multiplo sul fatturato, la vendita ad altri gruppi industriali e l’ultima riga di bilancio – ovvero il profitto – rappresentano ancora oggi la grammatica di riferimento per i grandi investitori.

Curiosamente sembra che la finanza tradizionale sia strutturata per monetizzare i disastri piuttosto che per trarre beneficio dalla loro prevenzione. I disastri ecologici, come le guerre, fanno aumentare il PIL, fanno esplodere le opere pubbliche, le ricostruzioni.

Eppure, basterebbe rivedere di poco il modello e si potrebbero invertire la rotta.

Basti pensare alle assicurazioni, che potrebbero spingere aziende e privati a realizzare attività più ecologiche in cambio di sconti sui premi. Le assicurazioni hanno più margini se non ci sono disastri. E potrebbero condividere con i propri assicurati parte di questo beneficio.

Cambiamenti climatici: mitigarli o adattarsi? Proposte e strumenti giuridici per orientarsi

Dalla mitigazione a un approccio basato sull’adattamento

L’allineamento dei benefici e degli incentivi tra le parti è uno dei grandi temi presenti nei report prodotti in occasione del COP27 su finanza e clima. Tuttavia, non si capirebbe molto bene quello che si sono detti i potenti del mondo a Sharm el-Sheikh, in Egitto, se non si menziona il cambiamento di priorità nell’agenda climatica.

Dalle politiche di mitigazione dei rischi sempre di più si parla di passare a un approccio basato sull’adattamento. La trasformazione climatica – se interpretiamo correttamente la nuova agenda – ci sarà. Anzi è già in corso. Dobbiamo capire come affrontarla riducendo il più possibile i danni. In effetti finora tutta l’attenzione era sulla prevenzione. Oggi dobbiamo iniziare a finanziare i progetti che ci aiuteranno a convivere con il cambiamento climatico, la maggiore imprevedibilità metereologica, l’innalzamento del livello dei mari, l’acidificazione degli oceani e lo scioglimento dei ghiacciai. Eppure, dei 1500 miliardi di dollari versati verso progetti ambientali tramite i “green bond” solo il 16% era rivolto a operazioni e aziende che lavorano sull’adattamento fino allo scorso anno.

Il ruolo delle Banche

Nel report Fifth Biennial Assessment and Overview of Climate Finance Flows emerge chiaramente che i flussi finanziari per il clima sono aumentati nell’ultimo biennio, superando nettamente il precedente e arrivando alla cospicua somma di 803 miliardi di investimenti per l’ambiente. Il report evidenzia inoltre che la maggior parte dei fondi sono stati devoluti ad attività di mitigazione del rischio. Solo una ridottissima parte sono stati invece investiti per le azioni di adattamento, e quando questo è avvenuto, i finanziamenti sono avvenuti attraverso grants e sovvenzioni invece che tramite equity e debito finanziario. È un tema delicato. L’adattamento è visto ancora come terzo settore. Non ha ancora dato origine ad un ecosistema economico in grado di generare flussi finanziari autonomi.

Banche e grandi istituti finanziari stanno investendo nella transizione green. Giovanni Pirovano, Presidente di Banca Mediolanum, componente del Consiglio dell’ABI (Associazione Bancaria Italiana) ha dichiarato nei giorni scorsi, in occasione della settimana formativa dedicata alla sostenibilità : “Le banche, chiamate a svolgere un ruolo da protagoniste per orientare i flussi di capitale verso un’economia verde e inclusiva, sostengono l’impegno delle istituzioni europee per lo sviluppo della finanza sostenibile e sono al fianco delle imprese che si impegnano in questo percorso di transizione”.

Certamente le banche svolgono un ruolo importante. Sembra tuttavia che non si siano ancora adattate alla nuova agenda ratificata al COP27 centrata sulla convivenza con il cambiamento climatico invece che solo sulla prevenzione. Collegato a questo punto è il tema fondamentale dell’innovazione. I modelli di investimento bancari premiano le aziende strutturate e consolidate che potranno certamente ridurre il proprio impatto, virando verso la sostenibilità. Tuttavia, c’è consenso tra gli economisti, che è il modello stesso di innovazione a dover essere rivisto per arrivare ad una “vera sostenibilità” non solo di facciata e intesa anche come sostenibilità sociale e maggiore inclusività.

In questo ambito sono le startup, le nuove organizzazioni e le imprese innovative che potrebbero fare la differenza, non solo attraverso nuovi modelli di produzione green ma anche attraverso nuove logiche di governance dell’innovazione e nuovi modus operandi nel mercato. I grandi sponsor del COP27 sono stati invece gruppi industriali tradizionali, per molti dei quali la green economy è probabilmente più un obiettivo futuro che non una realtà concreta.

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