Il fenomeno della digital disruption ha scosso il mondo negli ultimi anni e ha trovato particolarmente impreparate le imprese italiane, mettendo a dura prova le capacità di reazione del management e molte convinzioni su strategie e competizione. Ne è emersa principalmente l’inadeguatezza culturale che, unita alla scarsità di risorse ma anche al ritardo accumulato dalla Pubblica Amministrazione, ha reso gli ultimi anni tra i più depressi per l’innovazione digitale in Italia. Il livello di spesa in ICT delle nostre imprese è infatti sceso in questi ultimi due anni dal 2,5 al 2,1% del fatturato, contro un 3,3% medio a livello internazionale, accompagnato da un constante calo dei budget ICT. D’altra parte il dato Paese indica che il gap della spesa digitale italiana con la media europea continua a essere altissimo: 3,6% del PIL nazionale contro il 5,9% UE27.
Ma se guardiamo al 2015 possiamo cogliere alcuni segnali di un approccio più maturo e consapevole ai trend dell’innovazione digitale da parte delle nostre imprese. Dalle ricerche degli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano emerge ad esempio che il mercato dei Big Data Analytics è cresciuto in Italia del 34%, a livello consumer sono presenti 45 milioni di device mobili e l’Internet delle Cose è in continua crescita con un mercato che nel 2015 ha raggiunto il valore di 1,55 miliardi. A livello istituzionale è stato finalmente approvato il programma di crescita digitale che vale un impegno per 1,51 miliardi l’anno. Anche guardando all’ecosistema italiano delle startup finanziate, indicatore di sviluppo e innovazione, emerge un deciso fermento, nonostante le dimensioni ancora limitate, con un fatturato totale generato di 184 milioni € nel 2014.
Il 2016 è stato annunciato con promettenti promesse di ripresa, rafforzate dalle previsioni Ocse sul PIL italiano ed europeo e sul ritmo degli investimenti in tecnologie superiori al 3% annuo, ma è iniziato con un ritmo altalenante a causa della situazione geopolitica e degli effetti della sindrome “cinese”, e dalla volatilità e il nervosismo generati sul contesto finanziario.
Stante queste premesse, quale scenario si aspetta l’innovazione digitale in Italia per il 2016? I segnali positivi ci sono: i CIO delle imprese italiane indicano una ripresa nei budget ICT, con il + 0,7%. È quanto emerge dalla Survey CIO degli Osservatori Digital Innovation, che ha raccolto le risposte di oltre 230 CIO di imprese dai 50 dipendenti in su. Una previsione quindi decisamente più ottimistica di quella rilevata negli ultimi due anni. Il dato è ancora più interessante perché questa crescita vede protagoniste soprattutto le imprese con meno di 1.000 dipendenti, con aumenti sostanziali: le medie imprese fino a 250 dipendenti con +1,16% e le medio-grandi imprese fino a 1.000 dipendenti con +1,88%. Il dato dimensionale è estremamente positivo perché segnala finalmente un interesse deciso all’innovazione digitale anche da parte di quel tessuto economico fino a oggi rimasto, per una serie di motivi, ai margini della digital transformation. Restano stabili le grandi imprese fino ai 10.000 dipendenti (+0,14%) mentre le grandissime imprese (oltre i 10.000 dipendenti) prevedono ancora contrazione dei budget ICT (-0,78%). Il dato non deve tuttavia indurre a pensare che queste grandissime imprese stiano riducendo gli investimenti in innovazione digitale. La percentuale di budget ICT destinata all’innovazione nel 2015 è stata infatti pari al 35,5% per le grandissime imprese contro una media del 31,4%. Questa contrazione è quindi ragionevolmente il risultato di due diversi fattori: da un lato queste imprese hanno praticato già da tempo scelte di maggiore efficienza adottando nuovi paradigmi tecnologici (Cloud, as a service) di cui stanno ora raccogliendo i frutti, dall’altra sempre più spesso stanno allocando budget di innovazione digitale anche al di fuori dalle Direzioni ICT.
Anche per l’outsourcing il semaforo resta verde per il 2016: quasi un’impresa su 3 prevede di aumentare il budget in outsourcing, contro meno di una su 10 che prevede di diminuirlo. L’aumento dei budget complessivi a disposizione delle imprese si traduce in una più che proporzionale crescita del budget dedicato all’outsourcing, che si attesta su una media pari a +1,81%. Si tratta anche in questo caso di un effetto smorzato dalle grandissime imprese, che segnano -2,51%, dato su cui incidono le economie legate a soluzioni tecnologiche di maggiore efficienza (virtualizzazione, Cloud ibrido, ecc.) più che semplici tagli di spesa. Per le aziende sotto i 10.000 dipendenti il dato indica invece un deciso incremento nel ricorso all’outsourcing per il 2016, superiore al 2%. In particolare le medie imprese sembrano scoprire finalmente il fenomeno con +2,43%, forse incentivate anche dalla diffusione di soluzioni Cloud mature, dedicate e finalmente alla loro portata economica. Dalla Ricerca emerge infatti come il ricorso a contratti di tipo as-a-Service cresca inesorabilmente a scapito di quelli di tipo time&material.
Quali saranno le principali aree di investimento nel 2016 per le imprese italiane? Le risposte non rivelano grandi sorprese. Al primo posto, anche quest’anno, i CIO mettono “Business Intelligence, Big Data e Analytics”, prioritari per il 44% delle imprese con punte dell’83% per il settore Utility&Energy e il 67% per grandissime imprese. Al secondo posto, con il 40% di risposte, è la “Digitalizzazione e dematerializzazione” particolarmente sentita dalle imprese di Medie dimensioni (50%) e, come è facile aspettarsi, nel settore PA-Sanità con un picco che sfiora il 90%. Al terzo posto ritroviamo, con il 34% delle risposte, i “Sistemi gestionali ERP”, che grazie alle funzionalità social e mobile vivono una seconda giovinezza, in particolare nel settore Industria (46%) e nelle medio-grandi imprese (43%), che costituiscono larga parte del nostro tessuto economico.
La ripresa della domanda ICT delle imprese italiane appare iniziata con segnali concreti anche se ancora deboli. È però confortante constatare come questa indicazione provenga soprattutto dalle imprese sotto i 1.000 dipendenti, fino a oggi rimaste prevalentemente silenziose spettatrici di fronte alla sfida del digitale.