Un recente rapporto di McKinsey & Company, con il suo titolo in maniera icastica definisce la situazione dello stato dell’arte in Africa: “Fintech in Africa: The end of the beginning”.
La fine dell’inizio in un continente che in soli due anni (2020-2021) ha visto triplicare il numero delle fintech sino a giungere a 5200, anche se con una crescita a macchia di leopardo, dove la parte del leone la svolge il Sud Africa (seguita da Nigeria e Kenya).
Tra le quattro sfide che il rapporto ritiene fondamentali da risolvere, due sono quelle che rilevano per quest’articolo: un incerto quadro regolamentare e la costruzione di una robusta governance (per completezza indico gli altri due fattori: il raggiungimento di economie di scala e profittabilità e la scarsità di risorse (non solo economiche ma anche umane).
Prima di affrontare i due temi e in particolare quello della privacy, che è oggetto di questa disamina può essere utile ricordare le ragioni della crescita esponenziale delle fintech in Africa.
Il Fintech soluzione alla carenza di accesso al sistema bancario
Si stima che in Africa i due terzi della popolazione non abbiano un conto in banca (i cosiddetti unbanked), dato legato da un lato alla povertà, ma dall’altro anche alla carenza di strutture, carenza che stiamo lentamente incontrando anche noi italiani con la chiusura di sportelli bancari e bancomat (una delle sfide che i piani di rilancio dei borghi cercano di affrontare e che soltanto grazie agli uffici postali si riesce parzialmente a vincere, sino a quando almeno, secondo la tradizione italica, nessun posto mancherà di un ufficio postale e di un tabaccaio).
Il sistema dei pagamenti digitali e gli altri strumenti che possano coprire la richiesta di credito attraverso smartphone aiutano a superare questi limiti, che sono poi anche altamente influenzati negativamente da elevati costi bancari, tra commissioni varie e rapporti di cambio che dovrebbero indurre ad arrossire chi è dotato di senso del pudore (basta fare un bonifico in Africa, per vedere come, nonostante le alte commissioni pagate all’origine, ben poco arrivi sul conto del beneficiario).
Fintech in Africa: l’inclusione finanziaria va a braccetto con la tecnologia
Gli strumenti fintech aiutano inoltre a creare quel credit scoring essenziale per concedere finanza, anche microfinanza, attraverso la raccolta di dati puntuali che ben possono essere utilizzati per comprendere le capacità e l’affidabilità delle persone in sistemi dove il fisco non è ancora dotato di validi sistemi di controllo (e non può quindi essere utilizzato per dimostrare capacità reddituale o patrimoniale) e mancano quei sistemi di monitoraggio che possano segnalare comportamenti virtuosi e non.
Curioso poi il fatto come, mentre da noi, almeno in Italia, si torni all’utilizzo del contante, sempre più gli strumenti digitali diventino mezzo di pagamento per micro transazioni economiche e addirittura per fare l’elemosina. Questo in Africa, come nella vicina India: interessante al riguardo è un articolo comparso sul The Wall Street Journal, il 27 maggio 2022, in cui si riporta come il QR code su smartphone o tablet sia utilizzato in India anche dai mendicanti per raccogliere le elemosina (con buona soddisfazione di questi ultimi che avrebbero aumentato le proprie raccolte); esperienza questa non nuova anche nei paesi del Nord Europa quali la Danimarca (sebbene adottino severi provvedimenti anti-accattonaggio), dove politiche di accesso ai conti a costo zero per le categorie economicamente vulnerabili consentono a quest’ultime l’accesso a conti bancari a costo zero o davvero limitato (sempre per la Danimarca vedi il Payment Account Act del 2016).
Solo come spunto di riflessione sul presente nostrano, non legato al tema in argomento, rilevo che in Danimarca la discussione sull’uso del contante si sia focalizzata su temi quali il digital divide legato ad assenza di mezzi elettronici, o difficoltà fisiche o mentali dovuti alle condizioni di salute o semplicemente all’età che possono rendere difficile l’utilizzo della moneta digitale (argomenti questi che non mi sembra di avere visto affrontati nelle nostre ultime polemiche italiane).
Altra curiosità degna di nota: la tutela del negoziante esposto al rischio di rapina: se lo si obbliga ad accettare il contante (sì il contante, avete letto bene), si ritiene ingiusto obbligarlo a lavorare negli orari a rischio di rapina (questi almeno gli argomenti affrontati nel report sull’uso del contante del Danish Payment Council sempre del 2016).
Il tema regolamentare in Africa
Tornando alla diffusione del fintech in Africa, come anticipato, uno dei temi considerati essenziali per la nuova fase di crescita, che segue il primo passo della nascita, è il tema regolamentare.
Spesso, anche in Europa, vi è chi si è lamentato “sull’’eccessivo rispetto” delle norme di tutela dei diritti della persona, quali quelle di tutela dei dati personali, che limiterebbero le possibilità di crescita di molti mercati, quali anche quello digitale dove gli ultra garantisti europei sarebbero svantaggiati rispetto agli statunitensi e i cinesi.
Senza entrare in questa polemica, l’aspetto regolamentare ha certo rilievo anche per gli stati africani, dove forse, in una prima fase, le varie fintech potrebbero avere tratto vantaggio dall’assenza di vincoli normativi, la realtà dimostra però che i vari paesi africani non sono quel far west che molti ritengono o comunque vorrebbero fare credere che sia. L’esistenza di un quadro regolamentare forte consente inoltre alle società operanti nel settore di presentarsi in modo adeguato anche sul mercato internazionale, garantendo standard di protezione dei dati sufficienti per servizi di carattere anche transfrontaliero.
E si rileva inoltre che molti di essi si sono mossi, anche per tempo, e con grande capacità di prevedere le sfide future.
Non è un caso quindi che coloro che si sono mossi in modo efficace siano anche quelli che stanno raccogliendo i maggiori frutti. Ecco i tre esempi:
Nigeria
La Nigeria ha istituito sin dal 2007 la National Information Technology Development Agency (NITDA).
Tra le funzioni che essa svolge rientrano: la promozione dell’accesso alle informazioni pubbliche; la supervisione delle practices nel mondo IT; la proposta di interventi normativi e regolamentari; l’imposizione del rispetto delle norme di compliance in tema di accesso ai servizi internet da parte degli IT provider; l’innalzamento dei livelli di sicurezza nazionali.
Le fintech devono ottenere una certificazione di compliance da tale authority, prima di procedere a svolgere le proprie attività.
Sud Africa
Anche il Sud Africa ha un proprio garante della privacy (istituito nel 2016, con poteri efficaci attribuiti nel 2021) che monitora il rispetto delle regole da parte dei soggetti pubblici e privati, con facoltà sanzionatorie. Svolge anche attività di consultazione e mediazione e facilita le operazioni transfrontaliere.
Kenya
Il Kenya ha adottato una normativa di tutela dei dati personali dal 2019, prevedendo anche la figura del Data Protection Commissioner con poteri sostanzialmente analoghi a quelli degli altri garanti. Poteri esercitati concretamente, dove attraverso l’affidamento di incarichi di auditing a Ernest & Young sono state rilevate varie violazioni da parte di varie società (vedi ad esempio nel 2021, fonte The East African del 23 luglio 2021).
L’incontro col garante della privacy italiano
La crescente attenzione alla protezione dei data, probabilmente anche in chiave transfrontaliera, è testimoniata dalla sempre maggiore attenzione nei confronti di quel che fa l’Europa e dagli incontri stessi che i garanti europei hanno con le autorità africane.
Un esempio è il recente incontro tra il nostro Garante della privacy, l’IFC – International Finance Corporation (gruppo World Bank) e le banche centrali di diversi paesi africani (tra i quali Angola, Algeria, Congo, Marocco) affrontando proprio le tematiche relative alle operazioni finanziarie.
Conclusioni
Da parte degli investitori si assiste a un sempre maggiore interesse nelle fintech che sono dotate di sistemi di governance interna forte e attenta alla compliance, in particolare in tema di personal data protection (almeno ciò è quanto apparso durante l’Africa Early Stage Investor Summit 2022 – come testimoniato da parte di alcuni partecipanti quali Mwenda Tevin, tech lawyer kenyano, il 25 ottobre 2022 sul suo blog sulla privacy).
Questo dato si presta a una doppia considerazione. In primo luogo appare chiaro che la compliance nella protezione dei dati personali diventi sempre più strumento imprescindibile per assicurare la capacità di resilienza di una società operante in settori in cui i dati sono trattati in maniera massiva e per aspetti di rilievo sensibile.
In secondo luogo, che si guarda sempre più alla necessità o quanto meno alle opportunità che un trattamento rispettoso dei dati personali, che assicuri tutele non solo sotto il profilo della regolarità nell’utilizzo ma anche sotto il profilo della sicurezza dei medesimi, offre opportunità di crescita nazionale e transfrontaliera in un mercato in cui le distanze sono annullate dalla tecnologia e possono essere limitate solo da carenze strutturali (quali ad esempio i frequenti cali di energia che portano spesso a blackout, che noi occidentali non conosciamo più o quasi) o dalle limitazioni poste dalla tutela dei diritti della persona.