Il software open source permea ormai in modo ampio i prodotti ed i servizi di cui quotidianamente ci serviamo, e potrebbe inoltre costituire una delle principali leve per lo sviluppo dell’economia digitale dell’Unione Europea.
Secondo uno studio del 2021 sull’impatto del software open source e dell’hardware sull’indipendenza tecnologica, la competitività e l’innovazione nella economia dell’Unione Europea, le società europee hanno investito circa 1 miliardo di euro in software open source nel 2018, con un impatto sull’economia europea fra i 65 e i 95 miliari di euro. Secondo l’analisi condotta, vi è un rapporto costo / benefici pari a 1:4, e si prevede che un aumento del 10% negli investimenti genererebbe un aumento fra lo 0,4%e lo 0,6% del PIL, promuovendo la creazione di circa 600 nuove start-up. Inoltre, sempre secondo lo studio, utilizzare software libero invece che proprietario potrebbe ridurre i costi totali nel settore pubblico, evitare i rischi di lock-in ed aumentare l’indipendenza tecnologica.
L’open source si fa largo in azienda: motivi per adottarlo, ostacoli, sistemi più diffusi
Il software open source nella PA
Sotto questo profilo, va anche ricordato che secondo gli artt. 68 e 69 del Codice dell’Amministrazione Digitale vi è nel settore pubblico italiano un sostanziale favore per i programmi open source: la PA committente deve infatti tendenzialmente acquisire, quando possibile, la titolarità dei programmi informatici sviluppati per essa, a meno che ciò risulti eccessivamente oneroso per comprovate ragioni di carattere tecnico-economico; ed in alternativa deve ricorrere a software liberi o a codice sorgente aperto. Solo nel caso in cui risulti motivatamente l’impossibilità di accedere a soluzioni già disponibili all’in-terno della pubblica amministrazione, o a software liberi o a codici sorgente aperto, adeguati alle esigenze da soddisfare, è consentita l’acquisizione di programmi informatici di tipo proprietario mediante ricorso a licenza d’uso.
A fronte della rilevante importanza economica e funzionale del software open source, manca tuttavia una adeguata riflessione giuridica circa i profili di qualificazione e validità delle licenze open source, non solo a livello italiano, ma anche a livello internazionale. Eppure, la questione non è di poco conto, poiché una robusta sistematizzazione delle licenze quali contratti pienamente efficaci, con tutte le conseguenze in ordine ai profili delle conseguenze in caso di violazione, è di primaria importanza per supportare una adeguata diffusione di questo paradigma.
I nodi delle licenze open source
Accade infatti sempre più di frequente che le licenze open source possano essere oggetto di violazione, tipicamente perché un licenziatario/utilizzatore ne effettua degli sviluppi, che poi commercializza, senza tuttavia rimettere a disposizione il codice sorgente e/o senza indicare che si tratta di una licenza open source ed i relativi diritti morali. Ciò ovviamente danneggia l’intero sistema, poiché vanifica gli obiettivi di ampia conoscenza e condivisione che sono alla base dell’open source. In questo caso è importante poter affermare che la licenza open source è un vero e proprio contratto vincolante, così che il comportamento illecito possa essere qualificato come una violazione di diritti esclusivi d’autore, con la possibilità di agire in sede civile e/o penale, anche con rimedi cautelari tipici come l’inibitoria. Si tratta tuttavia di superare l’ostacolo costituito dalla circostanza che le licenze open source sono gratuite, ed è quindi in questo senso problematico, sia nell’ordinamento italiano sia in altri ordinamenti, configurarne la vincolatività per l’utilizzatore, perché manca l’elemento della cd. sinallagmaticità (o “consideration” negli ordinamenti anglosassoni). In altre parole, si potrebbe ritenere che le licenze open source siano delle mere rinunce, o degli atti unilaterali a titolo gratuito, che possono vincolare solo il concedente.
La tutela delle licenze open source, nella prassi e nella giurisprudenza
In realtà, l’importanza di riconoscere piena tutela alle licenze open source sembra essere sostanzialmente colta dalla prassi e dalla giurisprudenza, anche al di là di particolari approfondimenti sistematici. I precedenti individuabili, e non solo a carattere nazionale, tendono infatti a riconoscere validità alle licenze open source, ed ai vincoli ivi previsti, sanzionando i comportamenti non conformi.
In Italia
Per quanto riguarda l’Italia i precedenti – pur non essendo molti – depongono tutti in questo senso: fra questi si può citare la decisione più recente, emessa dal Tribunale di Venezia il 13 dicembre 2021, che ha riconosciuto la validità della licenza open source GLP, ed inibito la circolazione del software effettuata senza gli avvisi previsti, con riferimento alla sua applicabilità ed alla attribuibilità dei diritti morali. Nello stesso senso si erano peraltro precedentemente orientati anche il Tribunale di Palermo ed il Giudice di Pace di Schio, con le loro decisioni rispettivamente del 29 maggio 1997 e del 4 giugno 2001.
In Germania
La questione è stata poi affrontata anche in altre giurisdizioni che – pur non avendo in molti casi direttamente ed esaustivamente risolto il tema della qualificazione delle licenze open source – in ogni modo hanno ritenuto che le licenze open source fossero a tutti gli effetti valide ed applicabili. Fra queste si può ricordare in primo luogo la sentenza del 5 maggio 2004 del Tribunale di Monaco, nella controversia iniziata da Harald Welte (esponente del mondo open source) contro la convenuta Sitecom. Il signor Welte gestiva una piattaforma informatica di cui il software open source “netfilter/iptables” era parte integrante. Secondo la licenza il software era offerto per il download nel codice sorgente e reso disponibile per la modifica, l’aggiornamento e lo sviluppo; tuttavia, i licenziatari erano tenuti a rispettare le condizioni della licenza GPL, fra cui in particolare la cd. “viralità” della licenza, ossia che il software poteva essere distribuito nuovamente solo utilizzando la medesima licenza GPL, e solo in formato di codice sorgente. La convenuta Sitecom, tuttavia, distribuiva il software “netfilter/iptables” in codice oggetto e senza alcuna indicazione della sua sottoposizione alla licenza GPL. Welte agiva quindi in giudizio per ottenere che a Sitecom venisse inibita l’ulteriore distribuzione del software. Il Tribunale accoglieva la richiesta, osservando che nel caso di specie si sarebbero potute verificare due distinte ipotesi (entrambe sfavorevoli per Sitecom) ossia (i) che la licenza GPL non fosse valida, e quindi il convenuto non avesse mai ricevuto diritti d’uso, con conseguente sua violazione dei diritti esclusivi del signor Welte; (ii) oppure che la licenza GPL fosse valida, ma che in questo caso essa fosse stata violata, con la conseguenza che i diritti d’uso a favore del convenuto dovevano essere considerati comunque terminati.
In Francia
Per quanto riguarda l’ordinamento francese, il precedente più rilevante è rappresentato dalla sentenza della Corte d’appello di Parigi del 16 settembre 2009, nel caso SA Edu4 contro Associations AFPA. La vicenda processuale non riguardava direttamente la validità della licenza GPL; tuttavia, la decisione della Corte d’appello si fonda sul riconoscimento della validità della licenza GPL, la cui logica conseguenza consisteva nell’affermare che il convenuto avesse violato i termini della licenza stessa. Il convenuto aveva infatti eliminato gli avvisi originali sulla titolarità dei diritti, sostituendoli con i propri dati, ed aveva altresì del tutto rimosso nella propria sublicenza ogni riferimento alla licenza GPL.
Negli Usa
Particolarmente rilevanti appaiono infine i precedenti decisi nell’ordinamento statunitense, ed in particolare il leading case Jacobsen v. Katzer del 2008. Con riferimento al caso in questione, la Corte d’appello federale ha affermato che la licenza open source doveva essere considerata come un contratto valido e vincolante, anche se gratuito, in quanto comunque esso era dotato di “consideration”. Secondo la Corte, infatti, il concedente aveva a cuore vantaggi che – per quanto diversi dal riconoscimento di un corrispettivo patrimoniale – avevano comunque natura economica, essendo diretti ad ottenere la promozione della massima distribuzione del sistema open source. Più recentemente, con una decisione del 2017, la United States District Court of California ha ritenuto fondate le domande del ricorrente Artifex software Inc., titolare dei diritti sul software Ghostscript, licenziato tramite licenza open source, contro la resistente, una società coreana che aveva incorporato il software in questione nella sua suite Hancom, ed ha in particolare rigettato la difesa avanzata dal convenuto, secondo il quale la gratuità del contratto doveva portare a ritenere l’insussistenza di obblighi contrattuali a carico dell’utilizzatore.
Conclusioni
In conclusione, poiché le licenze open source sono ormai divenute un paradigma imprescindibile di un preciso modello di sviluppo del software con importanti valenze sociali ed economiche, appare senz’altro opportuno che la riflessione giuridica fornisca un approdo sicuro alla validità delle licenze open source, evitando che si possa revocare in dubbio la tenuta delle licenze stesse e del sistema che su di esse poggia.
In questo senso – e per quanto riguarda l’ordinamento italiano – sembrerebbe possibile qualificare le licenze open source nel genere dei contratti gratuiti atipici, in applicazione dell’art. 1322 c.c. secondo il quale le parti possono liberamente determinare il contenuto del contratto nei limiti imposti dalla legge, e possono anche concludere contratti che non appartengano ai tipi aventi una disciplina particolare, purché siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico.
In questo senso sembrerebbero quindi ammissibili, validi e vincolanti contratti gratuiti diretti a soddisfare un interesse giuridicamente valutabile del disponente, anche se non patrimoniale. Per quanto concerne le licenze open source l’interesse patrimonialmente valutabile potrebbe essere individuato nell’ampliamento della notorietà del titolare dei diritti originario creatore del software, nella promozione della circolazione e dello sviluppo del medesimo in modalità dinamica (tenuto conto che la comunità open source può contribuire spontaneamente alla continua elaborazione e crescita del software), ovvero anche – eventualmente – alla stipula di altri contratti collegati di tipo oneroso (personalizzazione, assistenza e manutenzione).
La conclusione ora proposta appare allineata agli orientamenti che sono emersi anche in altri importanti ordinamenti, come in particolare quello statunitense ove appunto – come sopra anticipato – la licenza non è stata ritenuta priva di effetti in quanto gratuita, proprio perché si poteva rintracciare una “consideration” nell’interesse (non patrimoniale ma economico) connesso al massimo sviluppo del sistema open source.