Spid: si può migliorare, ma spegnerlo è un errore

SPID è considerata ormai un’infrastruttura pubblica, anche se digitale, come un’autostrada, una ferrovia o un acquedotto. Pensereste mai di cancellare l’A4 perché adesso c’è l’A35 che collega più velocemente Milano a Brescia? Distruggereste un acquedotto funzionante perché c’è l’intenzione di rinnovarne uno vecchio?

Pubblicato il 21 Dic 2022

Marco Bani

Coordinatore contenuti e progetti Fondazione Italia Digitale

identità digitale digital

Tutti attraversiamo delle temporanee crisi d’identità prima o poi nella vita. Succede anche alle identità digitali, dopo le recenti dichiarazioni del Sottosegretario per l’Innovazione Butti che fanno presagire l’abbandono del Sistema Pubblico di Identità Digitale (ormai conosciuto come SPID).

Ma è proprio un sistema da dismettere?

Perché chiudere Spid sarebbe grave perdita per gli italiani

La nascita di Spid

Me la ricordo la nascita di SPID. Era il 2016 e all’Agenzia per l’Italia Digitale provavamo a rendere semplice quello che i legislatori avevano creato complesso. Perché avere diversi erogatori di identità? Perché non creare un sistema centralizzato gestito dallo Stato? Perché queste difficoltà? Semplicemente perché ogni decisione riguardante l’innovazione e il digitale è una scelta politica e i legislatori di allora volevano, a torto o a ragione, un sistema a costo zero per lo Stato, evitare di creare un database unico che potesse essere facile preda di attacchi informatici, creare un nuovo mercato di servizi ai cittadini legato alla loro identità digitale. Quest’ultima scelta è stata quella di più difficile realizzazione, ma era la condizione per far entrare i privati. D’altra parte, non esiste innovazione a costo zero: qualcuno alla fine deve pagarla, che sia lo Stato, i cittadini o le aziende.

Il 15 marzo del 2016, quando è partito ufficialmente SPID, veramente in pochi hanno avuto “fede” nelle potenzialità del sistema, come ad esempio l’allora Ministra per la Pubblica Amministrazione Marianna Madia che aveva la delega all’innovazione. I primi mesi hanno visto una situazione di stallo alla messicana: nessuno faceva niente perché aspettava la mossa dell’altro. I cittadini si chiedevano perché perdere tempo in procedure complesse per ottenere l’identità quando non c’erano servizi pubblici che offrivano SPID, le amministrazioni che lamentavano la difficoltà di implementarlo senza risorse aggiuntive e senza un obbligo ben preciso, i privati che non investivano nel marketing e nella promozione perché non vedevano vantaggi. Abbiamo provato di tutto: spot RAI, video virali, contact center, gruppi su Facebook. Niente. Le iscrizioni procedevano a rilento, si ascoltava già il “de profundis” di SPID, considerato un altro fallimentare tassello nel mosaico sbilenco dell’innovazione italiana.

I servizi che hanno fatto da volano a Spid

Poi l’intuizione: quali erano le “killer application”, i servizi più importanti, che potevano dare uno slancio alle identità digitali? In quel periodo il governo stava studiando, senza successo, un modo per erogare il bonus dei 500€ ai diciottenni in modo semplice e, ovviamente, poco costoso. Doveva essere un servizio online, con tutte le problematiche legate a eventuali truffe e difficoltà di riconoscimento dell’utente che avrebbe usufruito del bonus. Cosa fai? Fai caricare un documento? Chi lo valida? Chi paga i validatori? E se caricano un documento falso? Insomma, una serie di difficoltà impedivano al Governo di rilasciare l’atteso bonus.

Non avevano pensato a SPID: identità certificata e accesso senza problemi. Ecco quale sarebbe stato il primo servizio che avrebbe richiesto l’obbligatorietà del nuovo sistema: 18app! Subito le identità digitali continuarono a crescere, ma non bastava. Allora abbiamo allargato l’obbligatorietà di SPID alla maggior parte dei sistemi che richiedevano la certificazione di un’età, di uno status, di una condizione. Praticamente lo Stato ti diceva: se vuoi i soldi, prendi (gratis) lo SPID. Ecco la molla che ha fatto impennare le nuove erogazioni: prima il bonus docenti, poi il reddito di cittadinanza e tutti i bonus che ci sono stati durante la pandemia. Quando mia madre si è fatta lo SPID per il cashback ho capito che avevamo vinto la scommessa.

Dopo AgID la palla della gestione di SPID è andata al Commissario Piacentini e poi ai Ministri per l’Innovazione e la transizione digitale Pisano e Colao. Nessuno ha lavorato per distruggerlo, ma solo per migliorarlo e potenziarlo, nonostante avrebbero potuto decidere un cambiamento di passo. Hanno scelto la via più difficile: quella di migliorare l’esistente, piuttosto che disfare la tela costruita faticosamente.

Se nel 2016 qualcuno ci avesse detto che nel giro di 5 anni avremmo avuto più di 25 milioni di identità digitali probabilmente avrebbe ricevuto delle risate in faccia: era più probabile che SPID facesse la fine della CEC-PAC ( per veri nerd del digitale italiano) o rimanesse un servizio di nicchia come la PEC.

Adesso siamo quasi a 35 milioni (precisamente a 33.324.270, dato aggiornato alla scorsa settimana), praticamente a quasi 2/3 della popolazione maggiorenne. Abbiamo ottenuto lo scopo sognato: un sistema unico per entrare in tutti i servizi della pubblica amministrazione. Passato lo scalino (a volte complesso, lo ammetto) dell’ottenimento dell’identità, adesso ne abbiamo solo i vantaggi: la sicurezza, la velocità e la gratuità.

Perché sarebbe un errore mandare Spid in pensione

Stupiscono quindi le parole del nuovo Sottosegretario all’Innovazione Butti che vuole mandare in pensione SPID. Da “innovatore” lungi da me da avere logiche conservative e salvaguardare lo “status quo”. Certo che SPID è migliorabile, tutto lo è. Certo che bisogna diminuire la complessità, odiamo la burocrazia. Ma essendo il digitale una questione politica occorre che il Sottosegretario approfondisca meglio quali sono i costi e come intende pagare per un servizio gestito interamente dallo Stato (svariati milioni, mica bruscolini), come vuole renderlo sicuro a prova di attacchi (sappiamo quanto la nostra identità virtuale si sovrappone a quella fisica e quanto è importante preservarla), come far sì che l’ottenimento della carta d’identità elettronica non sia complicata e costosa come lo è adesso (sicuramente peggio di quanto sia lo SPID).

SPID è considerata ormai un’infrastruttura pubblica, anche se digitale, come un’autostrada, una ferrovia o un acquedotto. Pensereste mai di cancellare l’A4 perché adesso c’è l’A35 che collega più velocemente Milano a Brescia? Distruggereste un acquedotto funzionante perché c’è l’intenzione di rinnovarne uno vecchio?

SPID viene utilizzato quotidianamente da milioni di persone ogni giorno e concorre ad innalzare la nostra (purtroppo ancora bassa) valutazione nelle classifiche DESI, lo standard per comparare le politiche digitali europee.

Conclusioni

Gestire l’innovazione attraverso la progettazione è un atto politico, non si può lasciare all’improvvisazione e alle dichiarazioni affrettate, vedi anche il famoso “progetto Minerva” per acquistare TIM sbandierato in campagna elettorale e poi dissolto nelle difficoltà dell’attuazione, creando montagne russe nel valore delle azioni della società.

Le prime uscite del Governo Meloni non danno molta speranza, con la perdita di un Ministro dedicato all’Innovazione, le giravolte sul POS, la retromarcia sulla rete unica, la leggerezza sui temi legati all’innovazione nella nuova manovra.

La missione di digitalizzare e innovare il nostro Paese è una missione “politica”, che proprio la “buona politica” è chiamata a risolvere con un grande grado di consapevolezza sulla portata della sfida. SPID insegna proprio che le soluzioni affrettate e progettate a tavolino non aiutano. L’innovazione è tale solo se condivisa da tutti.

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