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Brasile, i social hanno favorito il colpo di Stato: un problema irrisolto

Vari ricercatori hanno scoperto che i social per mesi sono stati usati per diffondere false teorie del complotto in merito alle elezioni, anche con parole in codice per evitare le censure. Siamo alle solite e ancora non si è trovata una soluzione a questo ruolo scomodo dei social

Pubblicato il 16 Gen 2023

Massimo Borgobello

Avvocato a Udine, co-founder dello Studio Legale Associato BCBLaw, PHD e DPO Certificato 11697:2017

brasile social bolsonaro

Emergono sempre più evidenze che i social e le chat hanno svolto un ruolo anche nel tentativo di golpe brasiliano, da parte dei sostenitori dell’ex Presidente, Jair Bolsonaro. Proprio come quanto accaduto nel gennaio 2021, quando negli U.S.A. furono i sostenitori di Donald Trump ad assaltare Capitol Hill.

L’analogia non consiste solo nel fatto che i sostenitori di un ex presidente di “destra” sconfitto alle elezioni, abbiano assalito violentemente i palazzi delle istituzioni del loro Paese in seguito all’elezione di un presidente di “sinistra”.

Il ruolo dei social network nel tentativo di golpe in Brasile

In entrambi i casi, infatti, la protesta violenta è stata organizzata tramite social network. Per di più adesso con una novità: il ruolo più permissivo di Twitter, sotto la guida di Elon Musk, con un ridotto numero di moderatori e regole più lasche per la moderazione.

Brasile, sostenitori Bolsonaro invadono area palazzo Congresso: le immagini dai social

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Vari ricercatori, come riporta il New York Times, hanno scoperto che i social per mesi sono stati usati per diffondere false teorie del complotto in merito alle elezioni, anche con parole in codice per evitare le censure.

A questo si è aggiunto anche un ruolo di Telegram per facilitare l’organizzazione dell’assalto, presentato – in codice – come una festa.

I commentatori, però, segnalano un ulteriore elemento di riflessione: non c’è soltanto l’organizzazione di un tentativo di colpo di Stato – o, più modestamente, di proteste violente mal gestite -, ma anche il processo di radicalizzazione dei soggetti che vi hanno aderito.  

Questo fenomeno ha natura continuativa ed è legato al fatto che l’odio online “premia” chi lo fomenta.

In altri termini, il fenomeno del cosiddetto flaming viene incentivato dagli algoritmi dei social network perché determina un aumento delle discussioni sotto i post e perché porta a maggiori interazioni tra gli utenti in generale.

Correttamente, Marino Longoni ha osservato che “Sui social bisogna urlare per farsi sentire, per avere consenso bisogna disprezzare gli avversari e sfoggiare posizioni sempre più estreme, spesso violente” (ItaliaOggi, 11.01.2023).

Il fenomeno sarebbe accentuato dalla distanza fisica che separa chi scrive dai potenziali interlocutori: la rissa verbale scritta è più semplice rispetto a quella fisica in presenza.

Va notato che i social network amplificano e semplificano quello che avviene sui media tradizionali: la maggior parte dei talk show televisivi a contenuto politico sfocia, il più delle volte, in una gara a chi urla di più.

Il fenomeno si accentua ancora di più in contesti “leggeri”, come ad esempio talk di costume o reality show, in cui la strategia base è e resta sempre quella di urlare in modo scomposto.

Le specificità dei social

Insomma, la jungla social non è molto diversa dalla savana televisiva, se non fosse per due aspetti.

  • Il primo è che nei social chiunque – anche un’intelligenza artificiale – può veicolare contenuti che diventano virali in pochi minuti in tutto il mondo.
  • Il secondo è che i social sono ambienti “privati” e gestiti da privati che, a differenza dei media classici, godono di una regolamentazione meno stringente, anche in ragione della loro natura multinazionale.

Non solo: il social può essere gestito in pochi istanti e senza limiti di orario.

In altri termini, non è necessario attendere la programmazione di un’emittente per veicolare un messaggio, così come è possibile fruire di un contenuto a qualunque ora del giorno e della notte, anche con pochissimo tempo a disposizione.

Questa è la ragione per cui la diffusione dell’odio online è diventata così semplice e del perché la radicalizzazione può avvenire anche con risorse relativamente limitate.

Ironia della sorte: l’anno prima dei rispettivi fallimenti elettorali , con conseguenti assalti alle istituzioni, sia Donald Trump che Jair Bolsonaro si erano scagliati, per ragioni diverse, contro la disinformazione effettuata tramite social network.

“Censura” sui social

Sempre Marino Longoni, nel pezzo citato, afferma che “Un altro rischio è quello della censura online, esercitata sia dai governi sia da grandi aziende tecnologiche”.

E’ quanto avvenuto con Twitter negli U.S.A., sia per quanto riguarda lo staff del Presidente Joe Biden che per quanto concerne l’attività di lobbing effettuata da Pfizer per “disincentivare” post che avrebbero potuto far vendere meno vaccini a mRna. Lo afferma il blogger Alex Berenson, secondo cui uno dei direttori di Pfeizer, il Scott Gottlieb, avrebbe fatto pressioni via e-mail su Todd O’Boyle, un importante lobbista dell’ufficio di Twitter a Washington, affinché il social censurasse le opinioni di Brett Giroir.

Quest’ultimo, ex membro dell’FDA, aveva segnalato l’inopportunità di effettuare la vaccinazione su chi era già stato infettato dal Covid-19 ed esortava la Casa Bianca a “seguire la scienza e a esentare le persone con immunità naturale da successive vaccinazioni obbligatorie”.

La segnalazione effettuata da Gottlieb tramite O’Boyle ha seguito una procedura semplificata ed il team di Twitter che seguiva la moderazione non era stato informato del fatto che Gottlieb era membro del consiglio di amministrazione di Pfizer.

Nonostante il team di Twitter avesse verificato che il tweet di Giror non aveva violato le regole della community, il post fu comunque contrassegnato come “Fuorviante”, determinandone l’oscuramento di fatto.

Berenson spiega di aver avuto accesso a queste informazioni nel contesto del programma “TwiterFiles”, ossia la campagna di discolsure voluta dal nuovo owner di Twitter, Elon Musk.

Conclusioni

Il rapporto tra media, politica e multinazionali è, da sempre, problematico: basta riguardare il film Thanks for smoking per rinfrescarsi la memoria.

Il mondo però è cambiato ancora con l’avvento dei social network, che hanno rivoluzionato la comunicazione a 360 gradi.

L’assenza di regolamentazione e di imposizioni statali sui contenuti sono la croce e la delizia dei social: da un lato a circolazione di ogni tipo di informazione, dall’altra la possibilità di usi distorti e di azioni di lobbies interessate unicamente al profitto.

La normativa dell’Unione europea – vedi il DSA – sta provando a rendere più ecologico il mondo dei social network, limitando la tossicità dei contenuti tramite regole stringenti sulla moderazione.

Va dato atto che questa impostazione, non necessariamente la migliore, è comunque un tentativo serio di gestire, con un compromesso, interessi contrastanti tra loro e difficilmente conciliabili.

Il futuro resta, però, la regolamentazione della rete e delle intelligenze artificiali: ad oggi, non è ancora chiaro in che modo.

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