“Ciao, quanti siamo stasera?”.
“Sei o sette: porti tu un paio di birre a testa?”
“Ok”.
Sulla base di una conversazione come questa (magari una chat o un “vocale”), fatta con la persona sbagliata, potreste essere condannati per cessione di sostanze stupefacenti, ai sensi dell’articolo 73 del Decreto del Presidente della repubblica numero 309 del 1990 (casistica e giurisprudenza “a pacchi”).
Si chiama droga parlata: è quella ipotesi in cui a carico degli indagati le uniche prove sono costituite da intercettazioni di chat o telefonate, senza che vi sia un solo sequestro di sostanza.
Chi sta parlando con il soggetto ritenuto spacciatore non ha idea del fatto che le “birre”, una volta intercettata e trascritta la conversazione, diventeranno dosi di sostanza stupefacente.
Non solo: con l’archiviazione in cloud delle chat e delle conversazioni, le vostre conversazioni con questa persona sbagliata potrebbero essere accessibili a governi esteri, su tutti quello statunitense e cinese.
Vi sembra una buona idea?
Ecco perché il tema delle intercettazioni ora occupa il discorso pubblico, con interventi recenti del Governo e del Garante Privacy, che ha chiesto prudenza e si è opposto alle archiviazioni via cloud.
La questione delle intercettazioni e dell’uso del captatore informatico: il contesto politico di riferimento
Il Ministro della Giustizia Carlo Nordio è intervenuto sullo strumento di maggior pressione politica che la magistratura associata ha a propria disposizione: le intercettazioni.
Il tema è delicato, e, giustamente, il Ministro ha sgombrato ogni dubbio su un passaggio: nessuna “stretta” su quelle per le indagini in materia di mafia e terrorismo.
Il punto è, quindi, un altro: l’impiego pressoché costante delle intercettazioni per tutte le ipotesi in cui il limite edittale del reato per cui si indaga lo consente.
Questo approccio determina un flusso enorme di informazioni negli archivi della polizia giudiziaria e della magistratura che, in alcune ipotesi, può determinare catastrofi personali, nel momento in cui le conversazioni vengono rese pubbliche ai media.
In pratica, sulle intercettazioni si gioca, ancora una volta, la partita tra poteri dello Stato che non dovrebbero fare a braccio di ferro tra loro: politica e magistratura.
Questo perché il rapporto tra procure della Repubblica e media è diventato molto stretto negli ultimi trent’anni, da Mani pulite in poi e le conversazioni private di soggetti pubblici, politici, imprenditori, sportivi etc. sono selvaggina pregiata per chi è a caccia di notizie.
Ha ragione, quindi, il Ministro della Giustizia a voler limitare l’impiego delle intercettazioni e del captatore informatico (quest’ultimo estremamente invasivo) dove queste non siano una risorsa necessaria alle indagini.
Ha ragione anche il Primo Ministro, Giorgia meloni, a parlare di correttivi a distorsioni e di dialogo con la magistratura: quest’ultima è composta, per la stragrande maggioranza, di persone serie ed integerrime, che non vanno assimilate a chi, per ambizione o posizione politica, intende il proprio munus come spettacolarizzazione degli arresti (per ottenere come risultato, magari, sentenze di proscioglimento con formula piena, come accaduto – spesso – ad alcuni magistrati noti alle cronache).
L’intervento del Presidente dell’Autorità Garante per il trattamento dei dati personali
Sentito in audizione per l’indagine conoscitiva sulle intercettazioni al senato, il Presidente del Garante privacy, Pasquale Stanzione, ha affermato che “Sarebbe opportuno vietare il ricorso a captatori idonei a modificare il contenuto del dispositivo ospite e cancellare le tracce delle operazioni svolte”, suggerisce Stanzione evidenziando che “il ricorso a sistemi – app o comunque software che non siano inoculati direttamente sul dispositivo-ospite, ma scaricati da piattaforme liberamente accessibili a tutti e, per altro verso, archiviazione mediante sistemi cloud in server posti fuori dal territorio nazionale – potrebbe, dunque, essere oggetto di un apposito divieto”.
L’intervento è tecnico, non entra nel merito della casistica in cui le intercettazioni possono – o devono – essere impiegate, né tantomeno entra nella querelle politica/magistratura/stampa.
Mette, però, il dito nella piaga o, meglio, nelle due piaghe che determinano la maggior parte della sofferenza degli esperti di privacy quando si parla di intercettazioni: la data retention e lo spyware.
L’intervento del Presidente dell’Autorità Garante in tema di data retention (cioè di conservazione dei dati) è chiaro: il cloud, osannato strumento di archiviazione che consente mirabolanti risparmi a chi lo impiega – è. di fatto, il computer (o il server) di qualcuno.
Questo qualcuno dovrebbe essere lo Stato italiano, nella sua articolazione del Ministero della Giustizia, e non un soggetto privato collocato in uno Stato estero, in cui, verosimilmente, non si applica il Regolamento UE 16/679 (G.D.P.R.).
Alcuni scandali, riguardanti le società provate che forniscono hardware e software nel 2021 hanno acceso i riflettori sull’impiego di tecnologia cinese per le operazioni di intercettazioni e di videsorveglianza, con la possibilità, astratta, di accesso da remoto ossia dalla Cina) ai dati captati e immagazzinati.
Nono solo: lo spyware, ossia il virus educatamente chiamato “captatore informatico”, spesso e volentieri, altera il device su cui viene installato.
In altri termini, le intercettazioni con il captatore informatico sono veri e propri attacchi hacker.
Conclusioni
Le intercettazioni saranno terreno di scontro tra magistratura e politica fintanto che non sarà risolta la crisi istituzionale che si aprì con l’inchiesta Mani pulite e che non si è mai, di fatto chiusa.
Quanto servono, davvero, le intercettazioni?
Per quanto siano state sbandierate come essenziali per la cattura del boss latitante Matteo Messina Denaro, sono in molti a chiedersi quanto davvero sino state efficaci, visto che ci sono voluti trent’anni per trovare una persona che è stata rintracciata praticamente… sotto casa sua.
Di certo, lo strumento è essenziale per indagini delicatissime: ci dovrebbe però esser divieto assoluto di pubblicazione sui media; e questo divieto, dovrebbe essere sanzionato pesantemente.
Questo sarebbe l’unico vero deterrente all’impiego eccessivo di questo mezzo investigativo: tolta la componente economica e politica, la problematica si esaurirebbe da sé.
Intercettazioni con “captatori informatici” (trojan), tutto ciò che bisogna sapere