l'analisi

Pubblicità politica, dalla Ue restrizioni che inquietano: i dubbi sull’European Democracy Action Plan

Preoccupazione per le modifiche apportate alla bozza dello European Democracy Action Plan, soprattutto per quanto riguarda la definizione di contenuto politico e l’ampio ambito di applicazione del provvedimento. In molti temono una una limitazione della libertà di parola e di informazione

Pubblicato il 27 Gen 2023

Francesco Nicodemo

Direttore Editoriale Fondazione Italia Digitale

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A fine 2020, in piena crisi pandemica, la Commissione Europea guidata da Ursula von der Leyen ha presentato l’European Democracy Action Plan, una serie di proposte ambiziose per difendere e promuovere i valori e i principi democratici del continente, ritenuti sempre più sotto attacco.

Tra le varie idee presentate ne spicca una per importanza e per le potenziali conseguenze sulla vita democratica dei nostri Paesi: il Regolamento relativo alla trasparenza e al targeting della pubblicità politica. L’obiettivo della nuova legge sarebbe quello di aumentare la trasparenza delle campagne elettorali e di combattere più efficacemente la disinformazione politica sui canali social e online.

La Commissione vorrebbe chiudere il dossier in tempo utile per le prossime elezioni europee, che si terranno nel 2024, così da limitare la capacità di influenza di attori esteri intenzionati a minare la credibilità e la forza dell’Unione.

L’obiettivo è più che mai condivisibile e augurabile, soprattutto in questo momento storico, con una guerra in corso nel Continente e una rinnovata tensione tra blocchi geopolitici occidentali e orientali.

Le polemiche sulle modifiche al testo

Nonostante ciò, nelle ultime settimane si è acceso un dibattito a Bruxelles su alcune delle modifiche al testo adottate a metà dicembre scorso dal Consiglio dell’Unione Europea, in vista delle prossime negoziazioni con il Parlamento Europeo durante i triloghi.

Diversi commentatori guardano con preoccupazione alle ultime modifiche apportate alla bozza di Regolamento, soprattutto per quanto riguarda la definizione di contenuto politico e l’ampio ambito di applicazione del provvedimento, temendo per una limitazione della libertà di parola e di informazione.

L’European Partnership for Democracy, una ONG che lavora per la tutela della democrazia, ha inviato insieme ad altre 33 organizzazioni una lettera aperta ai Ministri per gli affari europei per sottolineare come il testo attuale ponga dei rischi per la democrazia e i diritti fondamentali dei cittadini.

Ma procediamo con ordine.

L’impatto sulla libertà di espressione

Il testo presentato dalla Commissione prevede obblighi stringenti in termini di targeting e di amplificazione del contenuto social: ai sensi dell’Art. 12, le piattaforme non possono usare i dati personali sensibili degli utenti per raccomandare la pubblicità politica, a meno che non sia stato dato un espresso consenso dell’utente.

Le modifiche proposte dal Consiglio però ampliano drasticamente lo scopo di applicazione dell’Art. 12 così da far ricadere sotto tali restrizioni qualsiasi tipo di contenuto che potrebbe influenzare un’elezione, sia essa locale, nazionale o Europea. Secondo l’art.1 (che definisce lo scopo del regolamento), infatti, le restrizioni si applicherebbero indipendentemente dal fatto che la pubblicità politica comporti un servizio, e quindi che esso sia un contenuto a pagamento.

Tale modifica imporrebbe obblighi severi agli individui e alla società civile e comprometterebbe la loro capacità di esprimere opinioni su temi e dibattiti politici, ostacolando il discorso democratico e la partecipazione pubblica.

Inoltre, andrebbe analizzata con attenzione l’ampiezza della definizione di pubblicità politica, che includerebbe anche contenuti organici ai social media (e non solo quelli a pagamento). Mettiamo un attimo da parte la pubblicità politica vera e propria, che giustamente va regolamentata. Se il regolamento passasse così com’è, ricadrebbe sotto i dettami dell’Art. 12 anche qualsiasi contenuto relativo ai grandi dibattiti politici, come ad esempio l’immigrazione, il cambiamento climatico o, addirittura, i prezzi dell’energia.

Non verrebbero dunque “limitati” solo gli annunci e i manifesti politici online, ma potenzialmente qualunque contenuto che riguardi la politica e i grossi temi di dibattito.

L’impatto sulla libertà di espressione sarebbe enorme. Se lasciamo alle piattaforme il compito di stabilire la natura politica del contenuto, il rischio è che, per evitare sanzioni ex-post, le piattaforme ex ante potrebbero evitare di mostrare qualsiasi contenuto politico sui propri canali.

Uno scenario preoccupante

Va da sé che un tale scenario sarebbe preoccupante. E mentre le piattaforme possono trovare sempre un sistema per tutelarsi, a pagarne maggiormente le conseguenze sarebbero sia l’ecosistema digitale che la libertà di espressione e la formazione della opinione pubblica sui grandi temi politici.

A meno che a Bruxelles qualcuno non pensi che si possa portare indietro le lancette dell’orologio di una generazione, quando sono i media legacy erano i ‘mediatori’ nella costruzione dell’opinione pubblica europea.

Condividendo queste preoccupazioni, diversi europarlamentari hanno proposto di inserire nelle definizioni del Regolamento un chiaro collegamento all’uso di un servizio pubblicitario, così da garantire che i messaggi privati ​​e le opinioni sulla politica, che nulla hanno a che fare con la pubblicità, vengano esclusi dal campo di applicazione.

L’Unione Europea è una super-potenza di definizione di standard normativi e di regolamentazione digitale del mondo, che spesso indicano la strada al resto del pianeta. Così è stato per il GDPR, così potrebbe essere per il Digital Markets Act (DMA) e il Digital Services Act (DSA), provvedimenti approvati lo scorso anno dai legislatori europei.

Di tutto questo non possiamo che essere felici, ma va evitato l’eccesso. Va fermata una certa deriva che sta diventando un puro esercizio di ‘’over-regulation’’. Oltre al fatto che va assicurata una coerenza e un’uniformità tra i vari dossier. Un altro elemento che infatti crea perplessità è proprio la differenza nelle definizioni contenute nel DSA e nella proposta di Regolamento in discussione, tra cui proprio quella di pubblicità politica.

Conclusioni

Il confronto tra le istituzioni europee, Parlamento e Consiglio in primis – con la Presidenza di turno della Svezia che ha inserito il Regolamento tra le proprie priorità – è in corso proprio in queste settimane. Noi ci auguriamo che una via mediana e di buon senso per una legislazione efficace e funzionale, ma rispettosa della libertà di parola è possibile. Basterebbero davvero alcune minori modifiche al testo.

Non possiamo dunque che augurarci che la notte porti consiglio, o per meglio dire che i triloghi lo facciano.

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