La Corte di Cassazione, con la sentenza 2193 Sezione 5 civile ordinaria, pubblicata il 24 gennaio 2023, si è soffermata sul caso di una notifica a mezzo PEC da parte dell’Agenzia delle entrate sul ricorso alla Suprema Corte avverso la decisione della Commissione tributaria Regionale, non andata a buon fine perché la casella PEC del legale difensore della contribuente coinvolta, era piena. L’oggetto del contendere era la prova della notificazione di numerose cartelle relative alla liquidazione delle dichiarazioni dei redditi.
L’orientamento emerso è che la notifica non può ritenersi perfezionata nel caso di casella PEC piena e, pur essendo astrattamente configurabile una negligenza del destinatario per non avere monitorato il livello di saturazione della PEC, il notificante deve attivarsi per rinnovare la notifica presso il domicilio fisico del destinatario. Tuttavia la sentenza non rappresenta una chiave utile a risolvere tutte le problematiche connesse alla casella PEC piena, perché nel caso specifico il difensore aveva eletto un domicilio alternativo “fisico”.
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Casella PEC piena, cosa dice la normativa
La precedente e recente giurisprudenza della medesima Corte (n. 3164 dell’11/02/2020), muovendo dalla lettura dell’articolo art. 16-sexies, del D.L. 18 ottobre 2012, n.179, convertito dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, che disciplina la notifica di atti nell’ambito dei procedimenti giudiziari[1], aveva di fatto equiparato la notifica degli atti giudiziari alla notifica degli altri atti presso il domicilio digitale dei cittadini a mezzo PEC, affermando che “La notificazione di un atto eseguita ad un soggetto, obbligato per legge a munirsi di un indirizzo di posta elettronica certificata, si ha per perfezionata con la ricevuta con cui l’operatore attesta di avere rinvenuto la cd. casella PEC del destinatario “piena”, da considerarsi equiparata alla ricevuta di avvenuta consegna, in quanto il mancato inserimento nella casella di posta per saturazione della capienza rappresenta un evento imputabile al destinatario, per l’inadeguata gestione dello spazio per l’archiviazione e la ricezione di nuovi messaggi”. Tale decisione – come anche ritenuto dalla Corte di Cassazione nella sentenza qui commentata – fa propria la ratio sull’art. 149-bis[2], terzo comma, cod. proc. civ., in tema di notificazioni a mezzo posta elettronica eseguite dall’ufficiale giudiziario, secondo cui «La notifica si intende perfezionata nel momento in cui il gestore rende disponibile il documento informatico nella casella di posta elettronica certificata del destinatario».
In definitiva, la sentenza si basava su due capisaldi:
- l’espressione “rendere disponibile” di cui all’articolo 149-bis cpc esaurisce l’attività del notificante, e non comporta alcun accertamento sulla effettiva ricezione e conoscenza da parte del destinatario dell’atto, anche se (a fortiori) per ragioni imputabili, direttamente o indirettamente, a sua negligenza;
- nell’ottica telematica, lasciare una casella PEC piena equivale al rifiuto di ricevere la notifica di un atto in cui si tenti la notifica a mani proprie, alla stregua dell’articolo 138[3], secondo comma, del cpc.
Il tale ottica, il dettato dell’articolo 149-bis andrebbe letto alla luce
- di quanto previsto dal D.M.n.179 del 2012, secondo cui “ … le comunicazioni e notificazioni di cancelleria nel settore civile sono effettuate esclusivamente per via telematica…”;
- di quanto previsto dal comma 5 dell’articolo 20 del Decreto del ministero della Giustizia 21 febbraio 2011, n. 44 , secondo cui “Il soggetto abilitato esterno è tenuto a dotarsi di servizio automatico di avviso dell’imminente saturazione della propria casella di posta elettronica certificata e a verificare la effettiva disponibilità dello spazio disco a disposizione”,
per cui il difensore avrebbe l’onere di controllare periodicamente la propria casella di pec per assicurare che gli effetti giuridici connessi alla notifica di atti tramite quel mezzo siano realizzabili.
Il nuovo orientamento della Cassazione
Muovendo anche da un precedente e più recente indirizzo[4] la Suprema Corte ha ritenuto tuttavia che anche nella ipotesi in cui “la notificazione telematica non vada a buon fine per una ragione non imputabile al notificante – essendo invece addebitabile al destinatario per inadeguata gestione dello spazio di archiviazione necessario alla ricezione dei messaggi [5]– il notificante stesso deve ritenersi abbia il “più composito onere”, anche alla luce del principio della ragionevole durata del processo, di riprendere idoneamente il procedimento notificatorio presso il domicilio (fisico) eletto, in un tempo adeguatamente contenuto[6] “
Tale orientamento si fonda sul principio per cui “ … dev’esser escluso che il regime normativo concernente l’identificazione del “domicilio digitale” abbia soppresso la prerogativa processuale della parte di individuare, in via elettiva, uno specifico luogo fisico come valido riferimento, eventualmente in associazione al domicilio digitale, per la notificazione degli atti del processo alla stessa destinati[7] e solo così potranno conservarsi gli effetti della originaria notifica”.
Il presupposto per l’obbligo rafforzato
La Corte di Cassazione precisa anche che il presupposto per l’applicazione del principio sopra enunciato di obbligo “rafforzato” del notificante scaturisce dalla circostanza che questi ha un immediato e certo riscontro del fallimento della notifica, ma precisa anche che “… la notifica telematica al domicilio digitale sarà valida nell’ipotesi di avvenuta consegna, mentre, qualora vi sia una differente e specifica elezione di diverso domicilio (nell’odierna fattispecie, fisico), nell’eventualità di casella telematica piena” (presso il domicilio digitale più sopra ricordato) per insufficiente gestione dello spazio da parte del destinatario della notifica, il notificante dovrà, per tempo, riprendere il procedimento notificatorio presso il domicilio eletto, e ciò a valere solo nel caso specificato…”. Nelle premessa della sentenza è infatti specificato che come motivo del ricorso l’Agenzia delle Entrate asseriva che “la stessa procedeva al rinnovo della notifica via pec in data 5 maggio 2022, dopo che la precedente notifica, anch’essa via pec ed effettuata in data 26 maggio 2020 era stato “rifiutato dal sistema” in quanto la casella del legale della contribuente risultava “piena”, come risulta dal relativo messaggio. La contribuente, a seguito del suddetto rinnovo, si è costituita a mezzo di controricorso per eccepire la tardività dell’impugnativa e resistere nel merito. La difesa dell’Agenzia ha depositato memoria illustrativa in data 5 dicembre 2022″. Quindi, sembra che il principio espresso dalla Suprema Corte di Cassazione non possa essere interpretato sic et simpliciter come obbligo rafforzato generalizzato di notificazione al domicilio fisico sempre e comunque, ma solo nel caso in cui vi sia la elezione fisica.
La pronuncia degli ermellini
Questa è la conclusione a cui si perviene dalla lettura della parte finale della sentenza in cui la Suprema Corte afferma che “Calando i suesposti principi alla concreta fattispecie, a fronte della pacifica circostanza per cui la casella di posta elettronica certificata del legale della contribuente era piena, si ha l’elezione di domicilio fisico, come emerge dalla memoria di costituzione depositata in appello, ed in particolare dalla procura in calce alla stessa, in cui si legge che la stessa era elettivamente domiciliata presso il proprio legale […]; nonché il ricevimento dell’avviso di mancata consegna all’Avvocatura notificante alla stessa data della notifica.
In simile fattispecie, in cui in base a quanto precede non si è compiuta la fattispecie notificatoria mancando l’elemento della “consegna”, cui è subordinata l’esistenza della medesima, occorreva – appunto in base ai superiori rilievi – il rinnovo della notificazione stessa. La sua esecuzione solo due anni dopo, ben oltre quindi quello pari alla metà del termine stabilito (nel caso del ricorso in cassazione) dall’art. 325, secondo comma, cod. proc. civ., indicato come congruo dalla giurisprudenza delle sezioni unite (principio da ultimo fatto proprio da Cass. 24/10/2022, n. 31346), risulta quindi tardiva”.
La declaratoria di inammissibilità del ricorso, a cui perviene la Suprema Corte, è infatti pronunciata “alla stregua di quanto precede”. Ciò comporta – a mio sommesso avviso– che non possa essere attributo alla Sentenza un valore generale, applicabile a tutte le fattispecie, e che i giudici, nella applicazione della Sentenza, si atterranno a ciò. In sostanza, per poter affermare ciò è stato detto da alcuni autori nei titoli di articoli pubblicati dalla stampa specializzata nei giorni scorsi[8], sarebbe necessaria una equiparazione (che non esiste) della fattispecie sottoposta al vaglio della Suprema Corte al caso di notifica di atti della Amministrazione Finanziaria direttamente al contribuente e per i quali, trattandosi di atti esterni al processo, non esiste una elezione di domicilio.
Cosa prevedono le norme tributarie in tema di notificazione degli atti
La norma di riferimento è l’articolo 60 del DPR 600/1973 che, al comma 7 specifica la procedura da seguire per “ … la notificazione degli avvisi e degli altri atti che per legge devono essere notificati alle imprese individuali o costituite in forma societaria e ai professionisti iscritti in albi o elenchi istituiti con legge dello Stato …”:
- la notificazione deve avvenire a mezzo posta elettronica certificata[9] all’indirizzo del destinatario risultante dall’indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata (INI-PEC);
- in caso di casella “satura”, l’ufficio effettua un secondo tentativo di consegna decorsi almeno sette giorni dal primo invio;
- se anche a seguito di tale tentativo la casella di posta elettronica risulta satura oppure se l’indirizzo di posta elettronica del destinatario non risulta valido o attivo, la notificazione deve essere eseguita mediante deposito telematico dell’atto nell’area riservata del sito internet della società InfoCamere Scpa e pubblicazione, entro il secondo giorno successivo a quello di deposito, del relativo avviso nello stesso sito, per la durata di quindici giorni; l’ufficio inoltre dà notizia al destinatario dell’avvenuta notificazione dell’atto a mezzo di lettera raccomandata, senza ulteriori adempimenti a proprio carico;
- la notificazione si intende comunque perfezionata
- per il notificante nel momento in cui il suo gestore della casella di posta elettronica certificata gli trasmette la ricevuta di accettazione con la relativa attestazione temporale che certifica l’avvenuta spedizione del messaggio,
- per il destinatario alla data di avvenuta consegna contenuta nella ricevuta che il gestore della casella di posta elettronica certificata del destinatario trasmette all’ufficio o, nei casi di cui al periodo precedente, nel quindicesimo giorno successivo a quello della pubblicazione dell’avviso nel sito internet della società InfoCamere Scpa.
Dal contesto normativo sopra illustrato risulta che il legislatore ha inteso inserire disposizioni simili – mutatis mutandis – a quelle previste dal codice civile nei casi di irreperibilità del destinatario della notificazione[10].
Casella PEC piena: non è sempre per negligenza
Come sopra riferito, gestore PEC “.. è tenuto a dotarsi di servizio automatico di avviso dell’imminente saturazione della propria casella di posta elettronica certificata e a verificare la effettiva disponibilità dello spazio disco a disposizione”. In pratica questa procedura è attivata anche al di fuori del processo civile e penale, e, al riempimento della casella PEC molti utenti dovrebbero ricevere il messaggio da parte del gestore. Questa precauzione non risolve però la problematica, né dal punto di vista pratico, né da quello giuridico.
Innanzitutto perché i gestori PEC spesso individuano il livello di saturazione della casella in misura percentuale tra spazio occupato e spazio acquistato, e questo parametro è di per sé relativo, perché avere una casella PEC piena al 90% cambia di molto a seconda della dimensione della casella: il 10% di 10 Gb ha un valore diverso dal 10% di 1 Gb. C’è anche da considerare che un invio massivo di pec, quando la casella è piena all’89% (ammesso che la soglia di allerta fosse il 90%), potrebbe generare la saturazione della casella e la temporanea indisponibilità della PEC a ricevere notifiche senza che l’utente abbia tempestiva informazione. Vi è anche da notare che spesso l’avviso di casella piena da parte del gestore non avviene mediante PEC, ma mediante posta ordinaria, con la conseguenza che l’avviso potrebbe anche finire tra gli spam, per cui il destinatario potrebbe non essere informato del pericolo imminente.
Quindi, se da un lato è vero che il titolare della casella deve usare la ordinaria diligenza per evitare che la casella si riempia, c’è anche da rilevare che attribuire al mancato recapito valore di notifica perfezionata si traduce in una scarsa tutela del presunto “negligente” proprietario della casella; e questa scarsa tutela viene maggiormente evidenziata se si fa riferimento alla procedura prevista dall’articolo 60 del DPR 600/1973 cui si è fatto cenno sopra, certamente più conforme a criteri logici prima che ai precetti generali di effettiva conoscenza degli atti.
Conclusione
Appurato che quando ci troviamo di fronte ad avvisi ed atti tributari, la notificazione è soggetta a regole che tutelano la eventuale “negligenza” del destinatario che dovesse trovarsi con la casella PEC satura, altrettanto non può dirsi per le altre notificazioni a mezzo PEC. Per esempio, le notificazioni degli atti all’interno del processo tributario avviene a norma dell’articolo 16-bis del decreto legislativo 546/1992, che così recita: “Nelle ipotesi di mancata indicazione dell’indirizzo di posta elettronica certificata del difensore o della parte ed ove lo stesso non sia reperibile da pubblici elenchi, ovvero nelle ipotesi di mancata consegna del messaggio di posta elettronica certificata per cause imputabili al destinatario, le comunicazioni sono eseguite esclusivamente mediante deposito in segreteria della Commissione tributaria”. Questo potenziale rischio potrebbe indurre il difensore tributario a valutare la opportunità di eleggere, al momento della costituzione in giudizio, un domicilio fisico “alternativo”, in modo da poter eventualmente avere una rete di protezione nei casi di inavvertita saturazione della casella PEC, sempre che l’orientamento oggi commentato della Suprema Corte di Cassazione abbia vita lunga e serena.
Confrontando quindi le disposizioni relative alla notifica a mezzo PEC con la notifica tradizionale, è evidente come il sistema “tradizionale” [11] offra molte più garanzie rispetto al sistema elettronico, non solo per i correlati obblighi di comunicazione, ma anche per i connessi rimedi in caso di temporanea irreperibilità del destinatario. Infatti, oltre al differimento della data di effetto della notifica al ventesimo giorno successivo al compimento delle formalità previste dal citato art. 140 cpc, il documento da notificare viene consegnato alla casa Comunale, dove il destinatario può ritirarlo. Invece, nel caso della PEC, il destinatario, oltre a non avere alcuna comunicazione del tentativo di notifica fallito, non è messo nelle condizioni di poter avere la copia dell’atto; pur essendo ciò tecnicamente compatibile con le norme che regolamentano la PEC, non si può non rilevare come l’avere – direi semplicisticamente – ritenuto che la PEC non consegnata per “colpa” del destinatario equivalga a notifica sia fortemente lesiva dei diritti dei cittadini, e la evidenza di ciò balza agli occhi dal confronto delle due normative parallele.
Sarebbe pertanto auspicabile da un lato un più incisivo obbligo a carico dei gestori, per esempio consentendo una deroga all’esaurimento dello spazio occupato per le comunicazioni di casella satura, e una maggiore omogeneità con riferimento alle diverse tipologie di atti (vedi per esempio quanto sopra rilevato nell’ambito del processo tributario), prendendo come possibile esempio quello introdotto in ambito tributario dall’articolo 60 del DPR 600/1973 sopra descritto.
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Note
- «Salvo quanto previsto dall’articolo 366 del codice di procedura civile, quando la legge prevede che le notificazioni degli atti in materia civile al difensore siano eseguite, ad istanza di parte, presso la cancelleria dell’ufficio giudiziario, alla notificazione con le predette modalità può procedersi esclusivamente quando non sia possibile, per causa imputabile al destinatario, la notificazione presso l’indirizzo di posta elettronica certificata, risultante dagli elenchi di cui all’articolo 6-bis del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, nonché dal registro generale degli indirizzi elettronici, gestito dal ministero della giustizia». ↑
- Come verrà appresso meglio chiarito, l’articolo 149-bis non si applica alla notificazione degli avvisi e degli atti di natura tributaria. ↑
- Se il destinatario rifiuta di ricevere la copia, l’ufficiale giudiziario ne dà atto nella relazione, e la notificazione si considera fatta in mani proprie. ↑
- Cassazione 20/12/2021, n. 40758 ↑
- Cassazione 20/05/2019, n. 13532, e 21/03/2018, n. 8029 ↑
- Cassazione, Sezioni Unite 15/07/2016, n. 14594, secondo cui “In caso di notifica di atti processuali non andata a buon fine per ragioni non imputabili al notificante, questi, appreso dell’esito negativo, per conservare gli effetti collegati alla richiesta originaria deve riattivare il processo notificatorio con immediatezza e svolgere con tempestività gli atti necessari al suo completamento, ossia senza superare il limite di tempo pari alla metà dei termini indicati dall’art. 325 c.p.c., salvo circostanze eccezionali di cui sia data prova rigorosa”; Cass., 19/07/2017, n. 17864, Cass., 31/07/2017, n. 19059, Cass., 11/05/2018, n. 11485, Cass., 09/08/2018, n. 20700 ↑
- Cassazione 11/02/2021, n. 3557 ↑
- Vedi “La pec piena impone la nuova notifica al domicilio fisico”, il Sole 24 ore del 25/1/2023 ↑
- Con le modalità previste dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68, ↑
- Articolo 140 del CpC ↑
- Per fare un parallelo con le notifiche a mezzo posta, in caso di irreperibilità del destinatario l’articolo 140 del Codice di Procedura civile prescrive che “Se non è possibile eseguire la consegna per irreperibilità o per incapacità o rifiuto delle persone indicate nell’articolo precedente, l’ufficiale giudiziario deposita la copia nella casa del comune dove la notificazione deve eseguirsi, affigge avviso del deposito in busta chiusa e sigillata alla porta dell’abitazione o dell’ufficio o dell’azienda del destinatario, e gliene dà notizia per raccomandata con avviso di ricevimento”. ↑