Quando si parla di come funzionano gli enti pubblici troppo spesso si rischia di essere travolti dai luoghi comuni (“tutti fannulloni”, “la patria del clientelismo”, “sono irriformabili”), di cui alcuni parzialmente veri e altri totalmente falsi. Tuttavia, quella amministrativa è una macchina complessa ed enorme, con tanti difetti noti a tutti, ma con numerosi pregi. Soprattutto ha diverse sfaccettature, diversi trend che si intersecano tra loro. Di queste una è progressivamente aumentata nel tempo fino a diventare, per chi la vuole vedere, una chiave di lettura fondamentale per poter parlare di pubblica amministrazione, analizzarne i meccanismi e, possibilmente, renderla migliore di come è oggi. Ed è la voglia di fare innovazione.
PA digitale, poche competenze: ecco come la tecnologia aiuta
La corsa ai contratti e il bisogno di digitale nella PA
Lo si deduce dalla velocità con cui vanno esauriti i contratti messi a disposizione dai bandi Consip, dalla voglia che hanno alcuni enti di fare “capacity building” e cioè di costruire capacità interne che possano poi essere autonome, dall’attenzione a soluzioni innovative da parte di alcuni soggetti della PA. Per avere un’idea si può prendere ad esempio l’Accordo Quadro Sistemi Applicativi Cloud. Si tratta di cinque bandi dal valore totale di 968 milioni di euro in cui, semplificando in maniera estrema, vengono stipulati contratti preventivi tra la Consip e i privati – quasi sempre RTI della consulenza e dell’IT – a cui poi le pubbliche amministrazioni si possono rivolgere direttamente per delle forniture di servizi degli RTI aggiudicatari. Si tratta di diverse tipologie di servizi per il cloud (dalla realizzazione di applicazioni software ex novo, all’evoluzione e allo sviluppo di quelli esistenti, fino a migrazioni al cloud, manutenzione e servizi specializzati) che hanno una domanda molto alta.
Infatti, gli importi messi a disposizione nel bando Consip si esauriscono in maniera piuttosto veloce. Le pubbliche amministrazioni spendono o cercano di spendere subito i soldi a disposizione, perché sia a livello locale che nazionale hanno un disperato bisogno di servizi digitali, di cloud, di innovazione. Altrimenti la digitalizzazione non va avanti e la PA non riesce a svolgere le proprie funzioni, da quelle ordinarie a quelle del PNRR. Insomma, sta progressivamente montando una nuova consapevolezza.
Collocare le capacità dei professionisti in un giusto contesto, anche nella PA
Qualcosa di simile si ritrova nel crescente interesse a sviluppare una buona “capacity building”, a costruire capacità autonome. Infatti, nei 20 anni di attività e di esperienza sul campo possiamo notare come i progetti che si sono conclusi con maggiore successo sono sempre stati quelli in cui si è riusciti non solo a spiegare le cose, ma ad affiancare la pubblica amministrazione ed il suo personale nel camminare da sola. E anche chi svolge questo tipo di lavoro a fianco alla PA e lo fa in maniera sartoriale riesce a crescere nel tempo. Stringendo l’inquadratura emerge come ci sia voglia di “capacitazione amministrativa”, neologismo italiano che viene dall’inglese “capability” e che indica un nuovo approccio: collocare le capacità dei professionisti in un giusto contesto. Per dirla con altre parole, innovare sia le competenze che l’organizzazione, migliorare sia l’output finale che la governance della PA. E, anche su questo, c’è elevata e crescente domanda da parte della pubblica amministrazione.
Migliorare i servizi pubblici: il digitale è l’unica via
Questo perché ormai tutti sappiamo che la digitalizzazione è l’unica via per migliorare i servizi della macchina pubblica. Digitalizzare, tuttavia, non è replicare al computer processi di carta, perché un navigatore non è come un Tuttocittà. Per usare le applicazioni c’è bisogno, contemporaneamente, di strumenti e conoscenze. Appunto, capacitazione. Se oggi si sta facendo una enorme fatica, specie negli enti locali, a tradurre in progetti concreti le ingenti risorse del PNRR è anche perché nella PA il tema dell’innovazione è stato per tempo declassato come accessorio. E questo è variamente avvenuto sia in alcuni ambienti politici e direttivi che in altri sindacali. Veniamo da venti anni di disattenzione nei quali si è ritenuto che non fossero decisive né la formazione di nuove professionalità né la capacità di essere innovativi. Sbagliando e perdendo intere aree di professionalità per effetto dell’innalzamento dell’età media e dei pensionamenti.
L’effetto è che l’intero comparto soffre sia quantitativamente per carenza di personale, sia qualitativamente per la impossibilità di essere al passo con l’innovazione. Tuttavia, c’è una luce accesa, segnali positivi, una fame benefica. C’è, nonostante tutto, voglia di innovazione. Dobbiamo soddisfarla con strumenti finanziari, ma anche continuare ad alimentarla e a sostenerla, perché il processo è iniziato. Non possiamo e non dobbiamo fermarlo, se non vogliamo perdere l’ultimo treno.