Ho 33 anni e gioco da quando ero piccolo. Ho salvato il mondo decine di volte ormai, salvato principesse, creato me stesso, mi sono immerso in mondi fantastici, mi sono innamorato di personaggi particolari, e ho gioito e pianto insieme a loro. Mai ho provato un gioco che mi ha trasmesso le sensazioni che è capace di trasmettere Outer Wilds. Un gioco che ti fa riflettere su quanto grande sia lo spazio, e su quanto sia incredibile la possibilità di essere vivi nel momento ideale su questo pianeta, nel momento giusto in miliardi di anni di vita dell’universo. E su quanto sia fragile e precaria la nostra esistenza come esseri umani.
La colonna sonora esce dal videogioco e va in concerto: il nuovo trend culturale
Outer Wilds
Outer Wilds è un gioco che inizi pensando di dover scoprire i segreti dell’universo e finisci scoprendo di più su te stesso. Su ciò che siamo come specie. Su quanto siamo piccoli, mortali e di passaggio, ma al contempo su quanto la conoscenza, l’impegno e la perseveranza possano essere importanti e decisive.
La cosa particolare è che non è possibile descriverlo facendo degli esempi con altri giochi. Outer Wilds è un gioco basato sull’esplorazione spaziale.
Che non premia l’ambizione o la conquista, ma la ricerca della conoscenza. E racconta una storia che verte sulla perseveranza nel cercarla. Non ha missioni, non ha skill tree, non ha collezionabili. Outer Wilds è un gioco in cui non è il raggiungimento di una ricompensa che spinge ad andare avanti, ma è la curiosità.
La storia di Outer Wilds
La storia di Outer Wilds è mind-blowing, di quelle storie che ti rimangono impresse nel tempo e colpisce anche nella maniera peculiare in cui viene raccontata. In Outer Wilds interpreterete una sorta di archeologo spaziale alla ricerca del segreto dell’Universo.
Non sono presenti combattimenti, ma non pensiate di avere a che fare con un walking simulator: le scene d’azione ci saranno eccome, ma saranno diverse da quelle a cui siamo abituati. È ambientato in un sistema solare creato a mano dagli sviluppatori, con 9 corpi celesti estremamente peculiari e particolareggiati. Nel gioco è implementata la legge di gravitazione universale e ogni corpo è soggetto a fisica. E tutto viene calcolato in tempo reale, senza mai un singolo caricamento. Insomma, è fantascienza di ottimo livello, e vede l’implementazione di diversi concetti di astrofisica reale.
Recensione (senza spoiler)
Il grande paradosso di Outer Wilds è che, chi lo ha giocato, sa perfettamente perché è grandioso, ma nessuno è in grado di spiegarlo bene senza rovinare, anche solo in parte, l’esperienza a chi non ci ha ancora giocato.
È disponibile su Game Pass per PC e Xbox, mentre su Playstation costa una ventina d’euro.
L’uomo e il tempo
Outer Wilds oltre ai tre assi, ha il tempo come quarta dimensione. L’Open world, o meglio l’Open solar system, cambia drasticamente nel tempo. E il passare del tempo è grande protagonista dell’opera.
Ovviamente qualcuno di voi potrebbe obiettare che anche negli Open world tradizionali ci sono locali che sono aperti di giorno e che chiudono la notte e così via, ma è una quarta dimensione solo accennata, non così decisiva. Anzi, spesso è aggiunta solo per rendere il tutto più verosimile.
In Outer Wilds il passare del tempo è cruciale, perché le ambientazioni cambiano drasticamente. Un esempio sono i Gemelli Clessidra. Potete notare come ci sia una colonna di sabbia che passa da un pianeta all’altro. Gradualmente, con il passare del tempo, la sabbia riempie i cunicoli di Gemello Braci, andando ad intasare le gallerie più profonde, rendendole inaccessibili.
Contemporaneamente, Gemello Cenere si svuota e le strutture che prima giacevano al di sotto della sabbia vengono allo scoperto. L’esplorazione dei Gemelli Clessidra, dunque, varia a seconda del momento in cui decideremo di esplorarli, con il livello della sabbia che consentirà o non consentirà di raggiungere determinate locazioni.
Quando tutta la sabbia sarà defluita, e cioè quando il tempo è scaduto, che cosa accade? Accade qualcosa che non voglio svelare, ma tornerete indietro nel tempo di 22 minuti e dunque il sistema solare ritornerà all’impostazione di partenza.
In Outer Wilds però il loop temporale è vostro alleato. Sia perché resetta il sistema solare alle condizioni di partenza, sia perché non vi punisce con un game over. Tutto ciò che avete scoperto rimarrà scoperto, e dunque la meccanica del ciclo giocherà sempre a vostro vantaggio.
L’uomo e l’esplorazione
I pianeti di Outer Wilds sono dei corpi celesti di dimensione ridotta. L’intero sistema solare è di dimensione ridotta e può essere percorso da una parte all’altra in una trentina di secondi con la nostra navicella.
Questo perché Outer Wilds non punta sulla vastità delle ambientazioni, ma sulla loro profondità. È un sistema solare totalmente creato a mano e i corpi celesti sono estremamente unici e pullulano di zone di interesse.
I già citati Gemelli Cenere non sono esplorabili solamente in superficie, ma anche e soprattutto nel loro sottosuolo. Cunicoli e cunicoli che si diramano in quelle che sono delle vere e proprie città sotterranee, tutte da esplorare sempre stando attenti al livello di sabbia.
Il pianeta Profondo Gigantesco è estremamente affascinante: è quasi totalmente ricoperto d’acqua, con enormi tornado che arrivano fino al cielo. Sono presenti delle isole da esplorare, ma state alla forza di gravità doppia rispetto al solito. Queste isole, di tanto in tanto, vengono lanciate fuori dall’atmosfera dai tornado, per poi ricadere giù rovinosamente. E sott’acqua cosa c’è? Questa è una delle tante cose che scoprirete giocando.
Rovo Oscuro è un vero mistero. Scendendo all’interno del nucleo si entra in una sorta di distorsione dimensionale, nella quale orientarsi sarà veramente difficile.
Ci sono diversi corpi celesti in Outer Wilds e non è mia intenzione fare una panoramica su tutti quanti. Vorrei concludere però con un ultimo pianeta, quello che considero il capolavoro di level design del gioco. Il pianeta Vuoto Fragile in superficie è per lo più spoglio, triste, con pochi punti di interesse. Questo perché il pianeta è costantemente bersagliato da palle di fuoco provenienti dalla vicina Luna Vulcanica e, la civiltà che lo ha colonizzato, ha costruito nel sottosuolo. Sono delle vere e proprie strutture sospese, che coprono gran parte del volume all’interno del pianeta.
Vuoto Fragile è senza dubbio il mio pianeta preferito per i vari modi che si ha di esplorare, per tutto ciò che troverete e per il buco nero che giace al centro del pianeta stesso e che risucchia le parti che vengono distrutte dai meteoriti di lava, ovviamente anche voi potete finire nel buco nero ma, quello che succede lo scoprirete giocando.
L’uomo e l’universo
Credo che Outer Wilds sia il gioco che ha l’utilizzo della fisica più interessante degli ultimi 15 anni, dai tempi di Half-Life 2.
Il sistema solare messo insieme dagli sviluppatori è totalmente soggetto alle leggi dell’astrofisica. Non solo i pianeti. Non solo la nave spaziale. Non solo il protagonista, ma ogni oggetto presente nello scenario. Nel museo all’inizio del gioco sono presenti tre sfere, per esempio, che si muovono proprio per via dell’attrazione lunare.
La gigantesca colonna di sabbia che va da Gemello Cenere a Gemello Braci è mossa dall’attrazione gravitazionale. I meteoriti di lava che cascano su Vuoto Fragile cadono per l’attrazione gravitazionale. Non è un qualcosa di scriptato. I vulcani della Luna eruttano, le palle di lava vengono catturate dalla gravità del pianeta e cascano in maniera totalmente random.
Muoversi nello spazio, atterrare sui pianeti, saltare sui pianeti è sempre una questione di fisica. All’inizio sarà un po’ difficile, perché non siamo abituati nei videogiochi a meccanismi così complessi. Anzi, all’inizio c’è il rischio che Outer Wilds sembri macchinoso, ma in realtà non è così: è semplicemente modellato sulla base delle leggi reali dell’astrofisica.
All’interno del pianeta di partenza, durante il tutorial, potete visitare una caverna a zero gravità, per allenarvi a riparare una nave spaziale. Ambientazione reale, perché la caverna è al centro esatto del pianeta e, poiché la massa del pianeta è tutta intorno a voi, le forze si annullano emulando la totale assenza di gravità.
Ho trovato il gameplay di Outer Wilds estremamente affascinante. Le fasi di platforming non sono “premi il tasto A per saltare” e calcola per quanto tempo debba essere premuto, sono salti che vanno adeguati alle forze gravitazionali in essere per riuscire ad andare nel luogo che si vuole raggiungere. Guidare la nave spaziale è complesso ma gratificante.
Nonostante il videogioco abbia un forte focus sull’esplorazione e sulla trama, non pensiate che le scene d’azione siano poche. L’esplorazione dei cunicoli con la sabbia che avanza non è affatto banale. Così come non lo è l’esplorazione di un pianeta che collassa su sé stesso, o l’esplorazione di isole che vengono lanciate in aria da tornadi.
E se siete appassionati di Interstellar e volete provare l’ebbrezza della scena dell’attracco, provate ad approdare alla stazione solare. La gravità del Sole è forte, quindi state attenti a non caderci dentro.
Se dovesse prendere delle botte pesanti, la nave si potrebbe rompere, quindi la dovrete riparare uscendo e indossando la tuta spaziale, facendo attenzione sia all’ossigeno sia al carburante. Per ricaricare il primo cercate degli alberi, per ricaricare il carburante cercate delle bombole lasciate dagli astronauti che vi hanno preceduto.
L’uomo e la curiosità
In Outer Wilds non c’è nessun indicatore, non c’è nessuna missione esplicita, non c’è nessun premio. Tutti i gadget che vi servono per finire il gioco li avrete fin dall’inizio.
L’ unica forma di progressione che avrete all’interno del gioco è la conoscenza dell’universo, indispensabile sia per capire sempre di più la storia, sia per comprendere come effettuare determinate azioni.
Per esempio, raggiungere il nucleo di Profondo Gigantesco è possibile solo in due modi: o mettersi lì e sperimentare fino a capire come raggiungerlo, oppure continuando l’esplorazione dell’universo, parlare con qualcuno che c’è già stato magari, e imparare da lui le informazioni essenziali su come scendere in profondità.
La conoscenza come forma di progressione è una trovata brillante di Outer Wilds, uno dei suoi punti di forza più grandi, secondo me. Questo perché non c’è niente che non possiate fare all’interno del mondo di gioco, proprio perché avrete già tutto sbloccato fin dall’inizio. Vi dà una grandissima sensazione di libertà, e la progressione all’interno del gioco non vi farà sentire più forti ma più esperti, una sensazione difficile da spiegare a chi non ci ha giocato.
Mentre in altri giochi la progressione è bloccata da passaggi chiusi che richiedono un gadget particolare per essere aperti, in Outer Wilds ogni cosa può essere fatta fin dall’inizio. Nei vostri primi venti minuti di gioco avete tutti i gadget per poterlo finire, ciò che manca è la conoscenza per farlo. La narrazione è un tema importante. Di cosa parla Outer Wilds?
L’uomo e lo spazio
Sembra un giorno come un altro su Cuore Legnoso. La vita scorre tranquilla e serena. Ma non per il protagonista. Per lui è arrivato finalmente il momento di partire per la sua prima spedizione spaziale. Il protagonista è solo un novellino, però porta con sé una preziosa novità: un traduttore automatico che permetterà finalmente alla civiltà dei Teporiani di comprendere le scritte lasciate dalla civiltà che li ha preceduti, i cosiddetti Nomai.
Oltre al traduttore, avete due strumenti: un segnaloscopio, che permette di captare le onde radio ed è all’occorrenza anche cannocchiale e un lancia-sonde. I primi minuti su Cuore Legnoso rappresentano sostanzialmente un tutorial, ma scorrono via che è un piacere. Il mio consiglio è quello di godervi questi minuti e, una volta presi i codici di lancio dall’Osservatorio, sarete pronti per tornare alla nave e andare finalmente nello spazio.
Il gioco vero e proprio inizia qui. La domanda che sorgerà spontanea a qualunque giocatore a questo punto è: e ora, cosa devo fare? Il punto è questo. Siamo normalmente confrontati con videogiochi che promettono una libertà di esecuzione che spesso è soltanto teorica. Quei videogiochi che invece mantengono l’idea di libertà sono sandbox, ovvero non hanno una storia o non hanno uno scopo.
Il bello è che Outer Wilds non è né l’uno, né l’altro. Inizialmente la cosa che bisogna fare è, molto semplicemente, lasciarsi guidare dall’istinto e dalla curiosità e scoprire che ovunque c’è un obiettivo da raggiungere.
L’uomo e la verità
Dunque, dicevo, ben presto troverete dei macchinari, dei documenti, delle strutture, dei luoghi di culto costruiti dai Nomai per cercare il cosiddetto Occhio dell’Universo. E ben presto vi renderete conto che non state affrontando un gioco a enigmi ma un gioco con un solo, gigantesco, enigma. Dovete trovare l’Occhio dell’Universo, utilizzando a vostro vantaggio tutte le ricerche fatte dai Nomai in precedenza. Come trovarlo spetta a voi. Poiché la storia non è lineare, potete impiegarci 20 minuti così come 20 ore. Si può finire Outer Wilds in 20 minuti, effettivamente.
Ogni frammento di storia che scoprirete conterrà degli indizi su un particolare argomento e verrà salvato nel registro dell’astronave. Quando lo avrete completato, il registro apparirà come una mappa concettuale (non lineare) che può essere consultata in qualsiasi ordine a seconda di ciò che decidete di esplorare.
È un po’ come se ogni parte che esplorerete vi dia in premio un tassello del mosaico e, giocando, tassello dopo tassello riusciste sempre di più a comprendere l’immagine che rappresenta. Quando avrete abbastanza tasselli e capirete, autonomamente, come risolvere quest’unico grande enigma, andrete lì dove avete capito che occorre andare e troverete l’Occhio dell’Universo.
Credo che l’esempio che sia più appropriato per farvi capire meglio, sia quello di descrivere Outer Wilds come un enorme gioco investigativo. Fate finta di essere un detective chiamato a indagare su un omicidio e che, al posto di avere una scena del crimine e un numero finito di possibili assassini, si muove in un Open world nel quale può svolgere le indagini liberamente.
Nelle vostre indagini ricostruite tutta la storia. Chi è l’assassino, perché voleva uccidere la vittima, cosa avevano fatto prima, e così via. Cioè: voi state, a tutti gli effetti, scoprendo la loro storia, ma lo fate in maniera non lineare, a seconda dei posti che decidete di visitare e delle persone che decidete di interrogare.
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L’uomo e lo scopo
A volte il videogioco deve andare anche a toccare delle corde particolari della nostra anima, che sono personali. Sono dei titoli che rappresentano il gioco giusto al momento giusto.
Dark Souls, ad esempio, non è solo un gioco che mi è piaciuto. È stato il titolo che mi ha fatto comprendere l’importanza della sfida in un videogioco, in un periodo in cui quando perdevo mi arrabbiavo parecchio e ricordo che mi ritrovavo spesso nei videogiochi ad abusare del quicksave per non ripetere sessioni troppo lunghe. Questo stava spegnendo il mio gusto. Dark Souls mi ha insegnato che i game over ci migliorano come giocatori, così come i fallimenti ci migliorano come persone. È un gioco che ha lasciato un forte impatto su di me, e non solo quando gioco ai videogames. Tornando a Outer Wilds, Outer Wilds non è il miglior gioco di questa generazione però è quello che, su di me, ha avuto un maggior impatto, perché mi ha cambiato come giocatore e come persona.
È ormai da un po’ di tempo che mi rendo conto di fare sempre più fatica a portare a termine gli Open world. Se lo faccio, non riesco ad esplorare come vorrei, a parte ovviamente qualche rara eccezione con giochi che mi prendono per la loro storia o per la loro ambientazione.
Il problema più grande che ho con gli Open world moderni è che sembrano dei giganteschi parchi a tema. È come se la mappa non fosse piena di posti reali, ma di attrazioni che portano a vincere un premio. Personalmente mi sento sopraffatto dalla marea di cose da fare, anche perché sostanzialmente sono tutte molto simili.
Poi vai nel retro della struttura più nascosta, apri il baule e trovi un premio. Che magari è un’arma, un’armatura, un gadget, in molti casi neppure indispensabili al giocatore e allo svolgimento del gioco.
La struttura di Outer Wilds è disintossicante, ho esplorato per il gusto di esplorare, per la curiosità di sapere che cosa stessero facendo i Nomai in quella zona e per cercare di capire sempre di più la loro storia. Sono arrivati qui da noi o ci sono sempre stati? Si sono estinti o sono semplicemente andati via? C’è un pericolo che incombe sul sistema solare? E perché c’è questo loop temporale: è qualcosa di naturale o è stato provocato volontariamente? Che cos’è l’Occhio dell’Universo? Lo hanno raggiunto? Io riuscirò a raggiungerlo? E come?
Queste sono solo alcune delle domande che mi sono posto, e il bello è che in Outer Wilds c’è una spiegazione per ogni cosa. È un gioco mind-blowing, ma che riesce ad essere di una chiarezza impressionante. Non lo ho mai reputato inutilmente criptico, ed in questo aiuta senz’altro un’ottima localizzazione in italiano.
Il punto del discorso è che, tipicamente, negli Open World moderni mi son sentito quasi come se il gioco mi supplicasse di continuare, riempiendo la mappa di attrazioni come un parco a tema e disseminando premi qua e là, indicandomi ogni singolo passo da effettuare. Come seguire la linea tratteggiata lungo disegni fatti da altre persone. Outer Wilds, invece, dice quale disegno fare lasciando a voi il compito di deciderne forma e colore, scegliendo liberamente se usare pastelli o acquerelli, se disegnare su carta o su tela usando gli strumenti disponibili fino dal principio.
Arrivando alla fine e ammirando il percorso fatto, vi sentirete realmente protagonisti del videogioco, non osservatori nei panni di un altro ma artefici di ciò che avete prodotto. E sentirete fierezza, perché Outer Wilds è un’opera d’arte e i giocatori vestono i panni dell’artista.