C’era un tempo in cui dire 4.0 o meglio Industria 4.0 era come pronunciare una parolina magica. Gli anni di cui stiamo parlando sono quelli del 2016 e dintorni. Sono gli anni in cui l’Italia cerca di inseguire, da buon Paese manifatturiero, l’ammodernamento del proprio parco macchinari (e Ucimu di Confindustria vede raddoppiati e triplicati gli investimenti delle imprese in questo senso). Sono gli anni di Calenda, supportato dall’allora presidente del Consiglio Renzi, dell’iperammortamento, delle grandi presentazioni, del telegiornale che apre con questi temi l’edizione serale.
Poi sono venuti Covid, guerra, inflazione, insomma l’Industria 4.0 esce dal campo di gioco, se ne parla meno, fino a quasi scomparire dai radar della politica, ma anche delle associazioni degli imprenditori. Di tanto in tanto ne fa cenno Carlo Bonomi, e poco più.
Industria 4.0, oggi la notizia è la non notizia
Oggi l’argomento in questione è poco supportato, proprio nel momento in cui l’Europa e i paesi più evoluti spingono verso Industria 4.0, ma la politica preferisce discutere di Zelensky si o no a Sanremo, piuttosto che delle parole spese a sproposito da qualche parlamentare di maggioranza o opposizione, poco importa. Quindi oggi la notizia è la non notizia, ovvero il fatto che intorno ad Industria 4.0 e i suoi incentivi e relative politiche, sia sceso il silenzio pneumatico.
Ma il Paese ha bisogno come il sale di ripensare i processi produttivi delle imprese, se vogliamo essere competitivi sui diversi mercati. Certo oggi c’è Transizione 4.0 che è un termine utilizzato per descrivere la quarta rivoluzione industriale, caratterizzata dall’adozione di tecnologie avanzate come l’Intelligenza Artificiale, l’Internet of Things, la robotica e la biotecnologia. Questa transizione sta modificando profondamente il modo in cui viviamo, lavoriamo e interagiamo tra di noi. La “Transizione 4.0” rappresenta un’opportunità per aumentare l’efficienza e la produttività, ma anche per affrontare sfide importanti come la disoccupazione tecnologica e l’impatto sociale e ambientale.
Ma questa non è Industria 4.0. L’Industria 4.0 è un concetto che fa riferimento anch’esso alla quarta rivoluzione industriale, con adozione di tecnologie avanzate, per migliorare la produzione, la logistica e la supply chain. L’Industria 4.0 mira a creare in buona sostanza un’industria più intelligente, flessibile e interconnessa, in grado di adattarsi rapidamente ai cambiamenti del mercato e di fornire soluzioni personalizzate per i clienti. Questa rivoluzione industriale sta trasformando profondamente il modo in cui le aziende operano, creando nuove opportunità per aumentare l’efficienza, la qualità e la sostenibilità.
Industria 4.0 e Transizione 4.0 sono due termini spesso usati in modo intercambiabile, ma ci sono alcune differenze sostanziali tra di loro. Infatti Industria 4.0 si riferisce specificamente alla rivoluzione industriale in corso, che sta trasformando profondamente la produzione e la supply chain. Si concentra sulle tecnologie che stanno cambiando la produzione e su come le aziende possono adottare queste tecnologie per migliorare la loro efficienza e flessibilità. Transizione 4.0, viceversa, è un termine più ampio che si riferisce alla quarta rivoluzione industriale e al suo impatto sulla società nel suo insieme. Comprende l’Industria 4.0, ma si estende anche ad altri settori, come l’educazione, la sanità e il lavoro. La “Transizione 4.0” riguarda i cambiamenti che stanno avvenendo a livello globale e come questi cambiamenti stanno influenzando la vita quotidiana delle persone.
Perché Industria 4.0 è al palo
Ma perché Industria 4.0 è al palo? Indubbiamente la colpa principale è della politica che non coglie quanto sia strategico per il nostro futuro il tema Industria 4.0. Indubbiamente la riduzione e soprattutto l’oscillazione di anno in anno dei vari iperammortamenti ha certamente influito sull’aumento del disinteresse, ma le aziende – è giusto dire – si sono più concentrate sul rientro economico che sull utilità reale dell incentivo. Mi spiego meglio: hanno cercato di ottenere i contributi statli sotto forma di incentivi (magari comprando macchinari alle volte pure inutili), piuttosto che investire sui processi, sul ripensamento della fabbrica in chiave prodotto/servizio, ovvero saper comprendere l’importanza dello sviluppo di un identità digitale legata alla produzione. Software, dati, e macchinari! Questi sono i temi non solo l’incentivo economico! Il tema vero di questi investimenti é la crescita e l’utilità che questi possono portare domani all’azienda! Non il credito di imposta ricevuto oggi. Ciò non toglie che gli incentivi sono stati importanti per le nostre imprese e speriamo lo siano – magari in maniera più stabile – nei prossimi anni.
E che dire di Digital Innovation Hub e Competence Center? Anche qui i finanziamenti sono fermi da almeno sei mesi e soprattutto il piano per la specializzazione dei Competence Center non decolla. Ricordiamo ad esempio che entro tre anni dalla fondazione i Competence Center avrebbero dovuto iniziare a correre con le proprie gambe, ovvero contributi privati. Nulla è accaduto, risultato sono strutture perlopiù mantenute dallo Stato o alla meglio si sono dati alla formazione, quando erano stati applauditi, sullo stile Fraunhofer tedeschi, come centri di ricerca e sviluppo al servizio delle imprese.
Lo scenario
Oggettivamente però stiamo perdendo colpi rispetto ai Paesi capofila del cambiamento dell’Unione Europea, ma qualcosa bolle in pentola. Nei corridoi di Confindustria si vociferava qualche giorno fa che nell’ultima trasferta che hanno fatto assieme il Presidente di Confindustria Carlo Bonomi e il Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, quest’ultima gli avrebbe detto che intende portare il 4.0, o qualcosa di strutturale in Consiglio dei Ministri. Noi ovviamente aspettiamo fiduciosi e speriamo questa intenzione diventi concreta.