Il mercato della pubblicità online sta cambiando pelle per una serie di fattori e molte aziende, per intuizione o per fare di necessità virtù, stanno cambiando approccio, ricorrendo massicciamente all’intelligenza artificiale per proporci pubblicità mirate ai nostri gusti. Quanto dobbiamo preoccuparci di questo scenario?
Pubblicità online, un futuro senza cookie: come gestire la fase di transizione
Protezione dati: regolatori e Big tech come nel paradosso di Achille e la tartaruga
Andiamo per gradi, partendo dalla continua rincorsa tra regolatori e Autorità da un lato e BigTech dall’altro: come nella corsa tra Achille e la tartaruga, nel noto paradosso, sembra sempre difficile intuire chi taglierà per primo il traguardo.
Ogni volta che i primi mettono dei nuovi punti fermi per arginare gli effetti di quanto fatto dalle seconde, mediante l’uso dei dati personali di miliardi di utenti, queste ultime cambiano, mutano, evolvono. Ma non dobbiamo pensare si tratti di una sconfitta, tutt’altro. Questa continua rincorsa alimenta una sana competizione tra imprese e le spinge allo stesso tempo a fare meglio, con meno. A beneficio degli utenti e del business. Allo stesso tempo, le Autorità sono spinte a migliorarsi, a investire in nuovi talenti e ad assumere nuove risorse – il Garante italiano ha appena pubblicato un bando per assumere alcuni esperti di intelligenza artificiale, solo per fare un esempio.
Pubblicità online, come e perché le aziende hanno dovuto reinventarsi
Negli ultimi tempi, complice l’evoluzione regolatoria che il GDPR ha introdotto nel 2018, con un mix di maggiori sanzioni, accountability e provvedimenti esemplari, con impatti sia in Europa che in altre meno conosciute latitudini, le aziende, il cui business model si fonda sulla raccolta pubblicitaria di banner personalizzati, hanno dovuto costantemente reinventarsi.
Come è noto l’ultima grande sferzata è arrivata con l’aggiornamento di iOS, il sistema operativo degli iPhone di Apple, che ha permesso agli utenti di rifiutare con estrema facilità la possibilità di essere tracciati nella loro navigazione online, una mossa che da alcuni social network è stata valutata con una perdita di circa 10 miliardi di dollari all’anno.
Se da un canto questa scelta ha portato al centro della scena la possibilità per gli utenti di preselezionare la propria esposizione online, in occasione dell’uso in rete degli smartphone, ma non solo, dall’altro alcuni attori lamentano di aver perso la possibilità di creare un profilo più completo dell’utente, attraverso la sua attività fuori dal social media, e, soprattutto, di verificare se il banner mostrato abbia poi portato all’acquisto del bene, o alla sottoscrizione del servizio. Ovviamente, un’azienda che faccia pubblicità su un social, sapendo che un certo banner ha portato ad acquisire un nuovo cliente, sarà ben lieta di continuare a fare pubblicità su quella piattaforma.
Rischi e opportunità offerte dall’intelligenza artificiale nella pubblicità online
Ora che lo scenario della pubblicità online sta cambiando – ricordo sommessamente che c’è ancora in sospeso la questione dei cookie wall dei giornali italiani davanti al Garante – anche le aziende stanno cambiando approccio. Seguendo il principio della minimizzazione dei dati del GDPR, cercare di fare il massimo trattando il minor numero di dati personali possibile, l’uso dell’intelligenza artificiale si sta facendo sempre più prezioso e imponente. Queste piattaforme, si tratti di social media o di servizi di video streaming, sanno già molto dei loro utenti, senza la necessità di doverli “inseguire” sugli altri siti in cui si spostano.
Alcune aziende lo hanno capito da tempo, altre lo stanno sperimentando più di recente, dovendo fare di necessità virtù. Questo costituisce uno dei rischi, e al contempo delle opportunità, offerte dall’intelligenza artificiale. La capacità di analizzare miliardi di dati, provenienti da milioni di utenti in tutto il mondo, permette di testare, e capire in fretta, se la proposizione di certi contenuti sia la scelta migliore, che alzerà il livello di engagement o lo abbasserà, il tutto guardando solamente a come quegli utenti interagiscono con quei contenuti. E, trattandosi di video brevi nel caso dei social media, i possibili tentativi saranno innumerevoli, fino a trovare la formula magica.
Le novità, dunque, sono due. Forse, tra non troppo tempo, non ci sarà più bisogno dei cookie e di altre tecnologie traccianti, ma basterà guardare a quello che facciamo sul singolo sito, social media, piattaforma, per proporci delle pubblicità vicine ai nostri gusti.
La seconda è che non è ancora chiaro quanto questa possibilità debba essere preoccupante.
I diritti in gioco
Rispettare il principio della minimizzazione dei dati, nonché quanto disciplinato in materia di cookie dalla direttiva ePrivacy, è solo parte dell’equazione. Il rispetto dei diritti fondamentali, del principio di fairness da parte del titolare del trattamento, non deve essere accantonato, solo perché si usano meno dati.
Le aziende dovranno comunque fornire una appropriata informativa sul modo in cui i dati personali sono trattati, non dimenticando l’ulteriore sforzo di trasparenza, richiesto dall’articolo 22 del GDPR, sul trattamento di dati mediante processi automatizzati. E più questi sistemi saranno bravi a orientare il comportamento degli utenti, più i titolari del trattamento dovranno dimostrare la loro buona volontà di non nascondersi dietro lunghe informative, di essere proattive nel mostrare rischi e opportunità di queste tecnologie, di volere essere fair.
Si tratta di un concetto che può sembrare fumoso, come anche quello di accountability, ma che è di capitale importanza e lo sarà sempre di più, visto il sempre più massiccio impiego dell’intelligenza artificiale, oltre che del cambio di paradigma che avremo da qui a qualche anno, in cui l’uso che faremo di internet potrebbe cessare di passare da uno schermo per diventare immersivo.