L’ormai atavico vuoto normativo nel quale avvengono gli scambi cripto sta creando un vulnus del quale faremmo tutti volentieri a meno e che si è mostrato in tutta la sua profondità in questi ultimi giorni, quando anche in Italia è scoppiato un caso che ha ricordato molto da vicino lo scandalo FTX. Era solo questione di tempo, ma pur avendolo in qualche modo atteso, l’impatto ha comunque un sapore agrodolce.
Il caso The Rock Trading
Parliamo dell’exchange italiano The Rock Trading, che ha bloccato i conti intestati a 34.000 utenti. A seguito di un primo blocco, è comparso un messaggio secondo il quale Trt ha dovuto “interrompere l’operatività in ragione di difficoltà riscontrate nella gestione della liquidità”, che tradotto significa: abbiamo finito i soldi. In queste ore, le uniche operazioni consentite agli utenti riguardano la consultazione del saldo e dei movimenti effettuati. Al momento non è chiaro a quanto ammontassero i depositi ma sui canali Telegram di settore già si vocifera che nessuno vedrà un centesimo mentre Banca Sella, presso la quale Trt aveva un conto corrente di appoggio, ha ottenuto la chiusura concordata del conto stesso.
La notizia, quindi risulta, sorprendente fino ad un certo punto, soprattutto se si tengono in considerazione due aspetti (uno più dell’altro) che invece la metterebbero in bella vista sotto la luce del sole.
Il primo elemento di prevedibilità è dato dalla condizione stessa dell’exchange italiano, a quanto pare ben nota ai più. Secondo quanto sta emergendo in queste ore, infatti, The Rock Trading versava in difficoltà finanziarie almeno dal 2021. Per questo, quanto accaduto recentemente (soprattutto alla luce del botto di FTX) non può giungere del tutto nuovo, soprattutto se si aggiunge ai fatti che, a quanto risulta, l’ammanco di 900 mila Ethereum imputato al bilancio 2021 sarebbe confluito proprio in FTX, ed evidentemente andati in fumo assieme a tutte le altre migliaia di depositi e finanziamenti effettuati su quella piattaforma.
Il secondo elemento di prevedibilità è dato dal fatto che gli italiani non sono così digiuni in ambito cripto (almeno in termini di intraprendenza) come si potrebbe pensare. Verso fine gennaio 2023, infatti, la Banca d’Italia – tramite il suo bollettino economico trimestrale – aveva certificato che le criptoattività sono nei portafogli del 2,2% delle famiglie italiane e che di queste l’11% ne detiene per oltre 30.000 euro.
L’Italia e le criptoattività
Il numero italiano di detentori di cripto attività è quindi sostanzialmente in linea con quello verificato anche dalla BCE in ambito europeo a fronte però di una manifesta inferiore confidenza (se pur in crescita) con gli strumenti di pagamento ufficiali. Più di recente poi, è stato l’OAM (Organismo Agenti e Mediatori), presso il quale tra l’altro di recente è stato istituito proprio il registro degli operatori cripto attivi in Italia, a scattare una fotografia sulla familiarità degli italiani sul tema. Secondo quanto emerge dalla ricerca, ben il 42% degli intervistati avrebbe una qualche contezza delle criptovalute e del loro funzionamento. Inoltre, tra il 91% di chi afferma di aver sentito palare di criptovalute, il 30% ha già investito nel settore. La maggior parte degli investitori cripto sono sostanzialmente degli autodidatti in materia spinti dal desiderio di diversificare il proprio portafogli e dalla prospettiva di conseguire guadagni tutto sommato facili. A fronte di questi intraprendenti, però, bel il 70% rimane cauto a riguardo e, vuoi per scetticismo vuoi per prudenza, preferisce non azzardare su questo terreno che appare sempre più minato.
Va però detto che i dati evidenziati testimoniano di una società che, pur ancora estremamente prudente non può almeno considerarsi inconsapevole del fenomeno. In considerazione di ciò, non c’è da rimanere sorpresi né che un tale avvenimento sia accaduto anche in Italia né che abbia coinvolto un’azienda come The Rock Trading la cui sofferenza era già nota da oltre un anno.
Chi doveva intervenire e non lo ha fatto
In questi casi, soprattutto alla luce degli elementi evidenziati, la domanda che sorge spontanea è: chi aveva competenza nell’intervenire e non lo ha fatto?
Ebbene, la domanda più ovvia e naturale è – letteralmente – nessuno, e questo è il vero problema. Nella vicenda specifica di Ttr poi, la mancanza di competenza specifica degli organi istituzionali che pure potrebbero avere elementi per procedere lega di fatto le mani a tutto il sistema. In mancanza quindi di una norma ad hoc per tutto il settore cripto non possono intervenire nell’ordine né la Consob (che pure sta seguendo la vicenda) né la Banca d’Italia. Ma non ha effettivamente alcuna responsabilità nemmeno l’OAM presso il quale vi è il già citato registro degli operatori in quanto questo – pur dettagliato – ha al momento più che altro una natura censitoria del fenomeno, cosa che di certo non affida all’ente compiti specifici di vigilanza.
Non ci resta che aspettare il MiCA
Nello stato attuale delle cose quindi nessuna delle principali autorità nazionali ha l’effettiva possibilità di incidere, ciò che è anche piuttosto frustrante. A questo punto, non ci resta che aspettare il MiCa, la cui entrata in vigore effettiva però dovremmo attendere almeno fino al 2024. Nel frattempo, con una tecnologia (anche finanziaria) che si muove ad una velocità più che doppia rispetto ai tempi legislativi vi è la possibilità concreta che casi come quelli di FTX o di The Rock si ripetano ancora, a tutto svantaggio di chi, consapevolmente o meno, investe i propri risparmi in attività tanto rischiose.
Disponendo di armi così spuntate, l’unica soluzione efficace di cui disponiamo per ora è quella dell’informazione. È in questo ambito che si dovrebbe investire pesantemente per rendere consapevole e proattivo l’investitore riguardo le opportunità ma anche i rischi dalle cripto attività, anche perché la gestione accorta del proprio patrimonio (piccolo o grande che sia) transita necessariamente dalla piena disponibilità delle informazioni necessarie a farlo. Ciò di cui non possiamo davvero fare a meno.