L'approfondimento

Precompilata IVA, dilaga il malcontento: tutti i punti oscuri ancora da migliorare

Sembra emergere un malcontento generalizzato riguardo alla dichiarazione precompilata IVA, in particolare per la mancanza di congruenza con i dati relativi ai registri IVA tradizionali: non solo, anche altri aspetti rendono complesso il quadro. Vediamo perché è urgente una semplificazione

Pubblicato il 27 Feb 2023

Salvatore De Benedictis

dottore commercialista

fattura registri Iva

Con l’approssimarsi del termine di presentazione della dichiarazione IVA è possibile iniziare a tracciare un primo bilancio della dichiarazione precompilata IVA, ossia della bozza di dichiarazione annuale che alcuni contribuenti possono “prelevare” dalla propria pagina riservata nel sito web dell’Agenzia delle Entrate.

Al riguardo, sembra emergere un malcontento generalizzato, perché i dati, soprattutto in presenza di acquisti con detraibilità limitata, non combaciano (e, del resto, come potrebbero) con quelli che emergono dai registri IVA tradizionali e dalle liquidazioni periodiche. Poiché i contribuenti hanno già dovuto comunque effettuare in corso d’anno le corrette liquidazioni dell’IVA, un ulteriore passaggio di controllo e convalida della precompilata è – a mio avviso giustamente – visto come una perdita di tempo e non come una semplificazione[1].

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Probabilmente la ragione dello “stupore” è da attribuire ad un fatto che dovrebbe essere noto a tutti: il Sistema di Interscambio, che gestisce l’ambiente in cui transitano tutte le fatture elettroniche, non possiede i dati “personalizzati” di ciascun contribuente riguardo la corretta determinazione dell’IVA, oggettivamente o soggettivamente, non detraibile, per cui è assolutamente normale che i dati che vengono proposti dalla “precompilata” non siano aderenti alla realtà di ciascun contribuente. Tant’è che la mancanza dei dati e delle informazioni necessari non può che produrre un risultato che, nella migliore delle ipotesi, necessita di integrazioni. Ciò impone una riflessione sulla effettiva utilità di uno strumento che è stato “reclamizzato” come un eccellente servizio da parte dell’Agenzia delle Entrate ma che, a mio modesto avviso, è inutile, se non per alcune categorie di contribuenti di modestissime dimensioni.

Precompilata IVA, il contesto normativo

L’articolo 4 del decreto legislativo 127/2015, intitolato “Semplificazioni amministrative e contabili”, ha previsto che l’Agenzia delle Entrate, sulla base dei dati delle operazioni acquisiti con le fatture elettroniche e i corrispettivi telematici, con le comunicazioni delle operazioni transfrontaliere e sugli ulteriori dati fiscali presenti nel sistema dell’Anagrafe tributaria, metta a disposizione di tutti i soggetti passivi dell’IVA residenti e stabiliti in Italia, in apposita area riservata del sito internet dell’Agenzia stessa,

  • le bozze dei registri di cui agli articoli 23 e 25 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633
  • liquidazione periodica dell’IVA;
  • partire dalle operazioni IVA effettuate dal 1° gennaio 2022, in via sperimentale, la bozza della dichiarazione annuale dell’IVA.

La c.d. platea di contribuenti che possono beneficiare di tali semplificazioni sono coloro che adottano il regime IVA trimestrale e ne sono esclusi coloro che operano in particolari settori di attività o per cui sono previsti regimi speciali ai fini Iva[2]; tuttavia qualora il soggetto passivo Iva non sia stato individuato come potenziale fruitore ma ha le caratteristiche per farne parte, può segnalare tale circostanza e ottenere quindi l’abilitazione all’accesso. La procedura, accessibile dal sito dell’agenzia delle Entrate previa autenticazione del contribuente o del suo delegato, prevede la “convalida” dei dati da parte del contribuente, e la generazione automatica del modello F24.

In un precedente articolo abbiamo esaminato come accedere al servizio; la domanda che gli operatori del settore si pongono è se tale funzionalità sia utile e si traduca in un effettivo risparmio di tempo.

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La necessità di semplificazione

La riproduzione dei dati informatici in possesso dell’Agenzia delle Entrate sul modello di dichiarazione rappresenta una contraddizione in termini e una sostanziale “violazione” dei canoni tecnici e del buon senso che stanno alla base della informatizzazione, il cui pregio risiede appunto nella soluzione in maniera nativa della esigenza della reportistica tradizionale, superata dalla presenza della struttura dei dati che, in quanto tale, è accessibile in maniera assolutamente libera e personalizzabile: da una struttura di dati organizzati è possibile estrarre informazioni, analitiche o selettive, che rendono “limitante” qualsiasi restrizione ai modelli di dichiarazione.

Infatti, avendo a disposizione un database strutturato, quale quello in possesso dell’Agenzia delle Entrate, la “estrazione” selettiva dei dati dovrebbe avvenire con dei processi informatici chiamati “query”, che poi possono anche produrre una reportistica, con campi e grafica personalizzabili.

Le superiori considerazioni sono così ragionevoli che lo stesso legislatore, nel prevedere l’abolizione dell’esterometro e la sua sostituzione con l’invio dei dati in forma analitica e col medesimo tracciato della fattura elettronica, ha ben ritenuto che il progetto avviato con la fatturazione elettronica deve necessariamente sfociare nella abrogazione di tutti le dichiarazioni e le comunicazioni, una volta che è previsto l’obbligo puntuale di trasmissione dei dati alla Amministrazione Finanziaria a mezzo dei canali telematici predisposti.

Il rebus del calcolo della detrazione IVA spettante sugli acquisti

La esistenza di molti casi che limitano il diritto alla detrazione dell’IVA ha di fatto neutralizzato i possibili benefici della dichiarazione IVA precompilata, in cui – per forza di cose – tutta l’IVA sugli acquisti indicata sulle fatture elettroniche transitate dal sistema di interscambio è indicata come detraibile. Se poi poniamo mente locale su quante e quali siano le cause di limitazione alla detrazione[3], ci rendiamo immediatamente conto che tra la scelta di “normalizzare” una bozza di precompilata e produrre, come abbiamo fatto sempre, i produrre registri IVA e la dichiarazione annuale, appare la opzione più razionale ed economica.

Il progetto “fatturazione elettronica” rappresenta una rivoluzione la cui portata molto probabilmente era impensabile per i più, ma adesso che abbiamo scoperto le potenzialità offerte dal sistema di interscambio come “contenitore” dei dati che, adeguatamente raggruppati e filtrati, contengono tutto quello che dovrebbe confluire nella dichiarazione IVA (e prima ancora nelle liquidazioni periodiche), non è difficile proseguire sulla strada già tracciata e pensare, per esempio, che le rettifiche alle detrazioni sull’IVA degli acquisti possano essere trasmesse al Sistema di interscambio con lo stesso tracciato utilizzato per la fatturazione elettronica, opportunamente integrato. Analogo procedimento potrebbe essere adottato per tutte le altre informazioni e dati che entrano a far parte della attuale dichiarazione IVA, per esempio il pro-rata (articolo 19-bis), la rettifica della detrazione (art.19-bis2). La trasmissione al sistema di interscambio potrebbe essere operata anche automaticamente dagli applicativi gestionali, che dovrebbero generare il record rettificativo degli acquisti al momento della contabilizzazione delle fatture passive, e l’invio potrebbe essere contestuale alla liquidazione periodica.

Essendo a questo punto l’Agenzia delle Entrate in possesso di tutti i dati necessari, le liquidazioni periodiche si potrebbero benissimo effettuare tramite un software predisposto dalla stessa Agenzia delle Entrate, con preparazione contestuale del modello F24.

La priorità: l’integrazione dei dati nel SDI

A fronte di un maggior onere per i contribuenti, correlato alla trasmissione dei dati integrativi per la detrazione o per eventuali altri dati, vi sarebbe un enorme vantaggio in termini di semplificazioni (reali, non virtuali), che vanno dalla eliminazione dei registri IVA[4] alla sostanziale inutilità di presentazione della dichiarazione IVA. Non solo. Si eliminerebbe alla radice la possibilità di “omissione” della dichiarazione IVA, con tutte le conseguenze favorevoli – come si vedrà meglio appresso – in termini di alleggerimento del contenzioso tributario e penale.

Troverebbe finalmente concreta applicazione lo Statuto del Contribuente, e verrebbe definitivamente soppressa la spiacevole prassi di trovarsi inseriti nelle dichiarazioni annuali campi o dati che non sono contenuti nelle fatture, e che mettono spesso in difficoltà le aziende, costringendole a passare in rassegna tutte le operazioni dell’anno.

Sanzioni per omessa dichiarazione IVA, perché serve cambiare

Assodato che l’Agenzia delle Entrate attualmente possiede – quanto meno per la maggior parte dei contribuenti e salvo quanto sopra detto – tutti dati delle fatture emesse e ricevute, e sulla base di questi dati predispone la dichiarazione IVA precompilata, dovrebbe essere pacifico che il quadro sanzionatorio nel caso di omissione della dichiarazione IVA dovrebbe essere interamente riscritto o, quanto meno, letto alla luce del contesto normativo attuale.

La fatturazione elettronica e la centralità del sistema di interscambio ha reso infatti palese la dichiarazione annuale IVA per le operazioni attive; le operazioni passive, pur presenti, necessitano di ulteriori aggiustamenti ai fini del calcolo della corretta detrazione. Da ciò consegue che la pericolosità della omissione della dichiarazione IVA è di gran lunga ridimensionata, per non dire inesistente. L’applicazione del buon senso, prima che dei principi ispiratori del quadro sanzionatorio, avrebbero dovuto comportare la revisione dell’intero sistema[5].

Per esempio, vi sono due norme che sanzionano amministrativamente e penalmente la omessa presentazione della dichiarazione annuale IVA:

  • l’articolo 5, comma 1, del Decreto legislativo 471/1997, prevede che “Nel caso di omessa presentazione della dichiarazione annuale dell’imposta sul valore aggiunto si applica la sanzione amministrativa dal centoventi al duecentoquaranta per cento dell’ammontare del tributo dovuto per il periodo d’imposta o per le operazioni che avrebbero dovuto formare oggetto di dichiarazione”;
  • l’articolo 5, comma 1, del Decreto legislativo 74/2000, prevede che “E’ punito con la reclusione da due a cinque anni chiunque al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, non presenta, essendovi obbligato, una delle dichiarazioni relative a dette imposte, quando l’imposta evasa é superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte ad euro cinquantamila.”

Tuttavia, mentre nel primo caso la modifica della norma è necessaria, nel secondo caso la norma potrebbe ritenersi direttamente non applicabile, considerato che nell’attuale contesto “tecnologico” verrebbe a mancare il presupposto per la consumazione del reato, ossia il fine di evasione, perché la omissione della dichiarazione non potrebbe avere come conseguenza alcuna possibilità di evasione. Sin quando il legislatore sarà solerte nel complicare e sordo nel semplificare non potremo dire di aver raggiunto il grado di civiltà coerente col progresso ottenuto.

_

Note

  1. Questa è la ragione per cui il legislatore o MEF/Agenzia delle Entrate dovrebbero preventivamente concordare con i diretti interessati, e non con le software houses, cosa sia effettivamente semplificazione e cosa invece non lo sia.
  2. L’Agenzia delle Entrate ha stimato che la platea dei soggetti beneficiari sia di circa 2 milioni di contribuenti. Per il 2022 e il 2023, dalla platea sono esclusi oltre ai soggetti passivi non residenti o non stabiliti in Italia:

    i soggetti che operano in particolari settori di attività per i quali sono previsti regimi speciali ai fini IVA (vedi Dettaglio dei Regimi speciali che comportano l’esclusione dalla platea);

    i soggetti che applicano l’IVA separatamente, per obbligo di legge o a seguito di opzione, relativamente alle diverse attività esercitate;

    i soggetti che aderiscono alla liquidazione dell’IVA di gruppo, prevista dall’articolo 73 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 e dal decreto ministeriale del 13 dicembre 1979;

    i soggetti che partecipano a un gruppo IVA di cui agli articoli 70-bis e seguenti del titolo V-bis del D.P.R. n. 633/1972;

    i soggetti di cui all’articolo 17-ter, commi 1 e 1-bis, D.P.R. n. 633/1972, ossia le Pubbliche amministrazioni definite dall’articolo 1, comma 2, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, e gli altri enti e società presenti nell’elenco pubblicato, a cura del Dipartimento delle finanze, ai sensi del decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 9 gennaio 2018;

    i commercianti al minuto che trasmettono i corrispettivi senza distinzione per aliquote e ripartiscono l’ammontare, ai fini dell’applicazione delle diverse aliquote, in proporzione degli acquisti, ai sensi del decreto ministeriale 24 febbraio 1973; gli operatori che trasmettono i corrispettivi per le cessioni di benzina o di gasolio destinati ad essere utilizzati come carburanti per motori, di cui all’articolo 2, comma 1-bis del decreto legislativo 5 agosto 2015, n. 127; i soggetti che pongono in essere cessioni di beni o prestazioni di servizi tramite distributori automatici, di cui all’articolo 2, comma 2, del decreto legislativo 5 agosto 2015, n. 127;

    i soggetti che erogano prestazioni sanitarie.

  3. Le fattispecie che limitano o neutralizzano il diritto alla detrazione hanno formato nel tempo oggetto di continui interventi del legislatore, per cui oggi una azienda di medie dimensioni si potrebbe trovare a dover sottoporre a rettifica anche una percentuale rilevante dei suoi acquisti: basti pensare ai costi per autovetture, carburanti, alberghi, ristoranti, telefonia, etc., vedi articolo 19-bis 1 DPR 633/1972
  4. Già normativamente soppressi dal comma 3-ter dell’articolo 1 del decreto legislativo 127/2015, che così dispone: “I soggetti obbligati alla comunicazione dei dati delle fatture emesse e ricevute ai sensi del comma 3 del presente articolo sono esonerati dall’obbligo di annotazione in apposito registro, di cui agli articoli 23 e 25 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633”.
  5. Per esempio, dovrebbe trovare composizione la querelle relativa al diritto al riporto del credito IVA pur in assenza di dichiarazione

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