La questione della torre di Babele la conosciamo. Il Padre eterno si seccò parecchio di tutto quel darsi da fare degli uomini per arrivare maldestramente al cielo: Molti pensano che l’Onnipotente abbia liquidato la cosa con una bella pedata buttando giù la torre e buonanotte. Invece la cosa fu più sottile. Il libro della Genesi racconta che venne detto “Scendiamo dunque e confondiamo la loro lingua, perché non comprendano più l’uno la lingua dell’altro”. E poi prosegue ”Il Signore li disperse di là su tutta la terra ed essi cessarono di costruire la città”. Insomma la cosa andò comunque a carte quarantotto, ma il metodo non fu scevro di una certa eleganza.
Bene. La torre di Babele era, a suo modo, una “grande opera” e le grandi opere hanno generalmente una vita tormentata e lo sappiamo. Nel nostro Paese ancor di più. Vita tormentata (e dire così non è dire abbastanza) perché, essendo “grandi” hanno in sé tutto il necessario per rendere le cose difficili e tormentate: forti concentrazioni di denaro, complessità degli iter burocratici, incredibile assortimento di attori. La trasparenza, in tanta complicazione, è di per sé un grande aiuto: se le cose stanno sempre sotto gli occhi di tutti, ogni cosa è certamente più semplice e chiara. Molti fatti sono stati portati recentemente a segno e sono pure in continuo sviluppo, ad esempio, per dirne uno, Opencantieri. Però c’è una pietra angolare che, fino ad ora, nessuno ha ancora pienamente affrontato: quella, appunto, della torre di Babele.
Un’opera pubblica, un’infrastruttura, nasce con una visione politica, prosegue con la programmazione, il finanziamento, i progetti, le gare d’appalto, i contratti e su, via via, verso la realizzazione e, finalmente il taglio del nastro. I contesti amministrativi e tecnici lungo i quali questa avventura viene a dipanarsi sono molteplici e spaziano dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri al Ministero dell’Economia e delle finanze, dall’Agenzia Anticorruzione al Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti, dagli Enti territoriali alle Imprese, passando attraverso fasi concertative, contenziosi, conferenze di servizi, accordi, confronti con i portatori di interessi, con i comitati di cittadini, gli organi di stampa, i social e così via. Qualcosa di molto simile, appunto, alla frenetica attività degli operosi costruttori della Torre. Perché ognuno ovviamente, anche nel nostro caso, ha il proprio linguaggio, il proprio gergo cui è pure affezionato. Si dirà “dettagli”, “tecnicismi da nulla”, cose nelle quali è facile mettere ordine. Purtroppo non è così.
Una manciata di semplici query di Google vi sveleranno il mondo dei glossari delle infrastrutture, il che vuol dire gli strumenti con i quali ciascun ente va a disambiguare i termini del proprio “dialetto”. Scopriamo così una raffica di singolarità per nulla scontate e che coinvolgono persino le parole apparentemente più chiare e innocenti come “progetto”, “opera”, “intervento” che, a seconda del contesto, assumono significati del tutto diversi e, alle volte addirittura conflittuali tra loro. Ora, una notissima pagina di Wikipedia ci parla dei problemi di ambiguità tra lemmi dedicati a soggetti omografi e delle relative tecniche di disambiguazione. Scopriamo così che sussistono omografi con significati di pari diffusione e importanza ed altri, invece, nei quali sussiste un “significato prevalente” che supera gli altri.
Sono in molti a pensare che, nel mondo della PA e, in particolare, in quello delle infrastrutture, ci si trovi sempre nel secondo caso in quanto la legge dello Stato, saldissimo baluardo di ordine e di chiarezza, indica appunto e comunque quale sia il “vero” significato del lemma, quello che ha il “bollino” supportato e certificato dalla cosiddetta “fonte autoritativa”. In realtà, in tema di definizioni, la cosa non è affatto semplice. Lo stesso nuovo Codice degli appalti, per portare un esempio qualsiasi, non pone il lemma “progetto” tra le definizioni. All’articolo 23 ci dice tuttavia che la progettazione “si articola, secondo tre livelli di successivi approfondimenti tecnici” senza tuttavia definire, appunto, cosa questa benedetta “progettazione” sia. Si dirà che tutti sanno cos’è un progetto: un insieme di relazioni, computi e disegni siglati da un professionista, che guida la realizzazione di un’opera. Peccato che per il CIPE, parte in causa che di quella stessa opera pubblica pianifica il budget poliennale, il significato prevalente della parola “progetto” è quella di progetto, appunto, di investimento pubblico. Tant’è che nel proprio glossario, la definisce come “un complesso di azioni o di strumenti di sostegno, afferenti ad un medesimo quadro economico di spesa…”. E si potrebbe andare avanti con esempi a josa e pure gustosi.
Viene subito da chiedersi chi, tra i tanti contendenti, abbia ragione, chi sia l’esegeta autentico, il portatore del “vero significato prevalente” che può e magari deve costringere gli altri “gerghi” a soccombere miseramente, abiurando ciascuno la propria amata definizione. La risposta è semplice: “nessuno”. Perché il mondo della PA e, in particolare quello delle infrastrutture, è molto “orizzontale”. La classica gerarchia dei termini, che incasella ogni significato in una cascata consequenziale di tipo Linneiano (e che tanto aiuta, prime tra tutti, le scienze naturali), non si adatta al gergo degli uffici che affonda, al contrario, in culture organizzative parallele, spesso molto radicate, e che non è facile (e spesso non opportuno) smontare come fossero castelli di carte. Insomma una partita che, se mai si tenesse, finirebbe tra contendenti esausti, senza né vincitori né vinti.
In mezzo a tutto questo bailamme, sta il povero cittadino. Certo, ogni giorno di più (fortunatamente), dispone di dati aperti, cruscotti, indicatori, dashboard che lo aiutano a capire. Ma viene da chiedersi come l’utilissimo “indice di avanzamento lavori” di Opencantieri, venga a rapportarsi con altri “indici di avanzamento” che trova declinati in altri sistemi di monitoraggio? E lo stesso vale per le intestazioni dei campi delle tabelle degli open data, dove dati analoghi sono presentati in maniera, pur assolutamente “open”, da soggetti pubblici diversi. E, anche in questo caso, gli esempi abbondano.
In definitiva, una situazione pesante ma, vogliamo sottolineare, non senza speranza. In questo ci conforta sempre il Libro sacro che, nel giorno della Pentecoste, ci mostra ancora il Padre eterno che, riparando al passato tiro mancino, unifica nuovamente i linguaggi consentendo agli Apostoli di essere compresi da persone che parlavano lingue diverse: “E com’è”, si chiede il cittadino dei tempi, “che li sentiamo ciascuno parlare la nostra lingua nativa? Siamo Parti, Medi, Elamìti e abitanti della Mesopotamia, della Giudea, della Cappadòcia, del Ponto e dell’Asia, della Frigia e della Panfilia, dell’Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirène, stranieri di Roma, Ebrei e prosèliti, Cretesi e Arabi e li udiamo annunziare nelle nostre lingue le grandi opere di Dio”.
Forte dell’ispirazione, sebbene necessariamente privo di tanta potenza superiore, prova con coraggio a fare un passo avanti il Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti. C’è un prodotto già pronto in “alfa” e in imminente rilascio come “beta”. L’idea è semplice. Si parte dall’harvesting dei glossari tematici disponibili in rete. Si “smontano” nelle loro componenti principali quali “lemma”, “definizione”, “fonte”, “URL” ponendoli in un unico “contenitore” ma conservando le relazioni della struttura originaria in forma di “tripla”: “è definizione di”, “è fonte di”, “è URL di”. Si stabilisce poi un modello concettuale che valga per tutti e che dispone di ulteriori relazioni quali, per citarne alcune, “related”, “broader”, “narrower”, “same as” ben note a chi si occupa di sistemi di organizzazione della conoscenza come SKOS (con il quale il prodotto è assolutamente compatibile). Si “rimonta” poi il tutto linkando manualmente i concetti attraverso questi criteri di omonimia, sinonimia, dipendenza tassonomica, equivalenza concettuale, andando tuttavia a travalicare i singoli ambiti semantici originali e ponendo tutti i necessari “ponti” tra un contesto e l’altro. Si aggiungono (con un paziente lavoro giuridico) i riferimenti normativi, e il gioco è fatto.
Un “gioco” che, pur senza l’intervento diretto del Paraclito, consente tuttavia il “miracolo” di comprendere la comunicazione di tutti, si badi bene, senza che nessuno debba rinunciare al proprio linguaggio. In sostanza sono possibili query del tipo: «Quali sono le diverse declinazioni del lemma “progetto” nei diversi contesti semantici disponibili?», oppure «Come si chiama, nel gergo del MIT, il concetto che nel gergo del CIPE è chiamato “progetto”?». E ancora: «Nei dati aperti dell’Ente “X”, a proposito di una determinata opera pubblica, c’è un campo denominato “Importo finanziato”. Per la stessa opera pubblica, nei dati dell’Ente “Y” c’è invece un campo “Importo del finanziamento”. Qual è il rapporto tra i due?». Non manca poi la possibilità di query giuridiche di grande potenza, tutte cose che vedremo a breve sul campo.
Se e come la cosa funzionerà, lo sapremo a giorni, al rilascio del prodotto. Può darsi pure che qualcuno si secchi, accorgendosi di aver pubblicato in rete definizioni sciatte, legate all’intuizione di un momento ormai superato. Oppure che si determini qualche mal di pancia perché si sono incorporati glossari tratti da relitti orbitanti in internet, provenienti da pagine ben indicizzate da Google ma abbandonate e mai cancellate. Chiunque esso sia, passata l’arrabbiatura e magari brontolando, porrà rimedio. È comunque un passo avanti: la storia in fondo degli open data che, dalla trasparenza, fanno nascere ulteriore trasparenza.
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Giovanni Menduni – Politecnico di Milano
Mario Nobile – Ministero delle infrastrutture e dei trasporti
Alessio Dragoni – Sciamlab
Salvatore Marras e Sergio Agostinelli – Formez