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Crisi climatica e formazione tech: le leve che l’Ue deve sfruttare per tornare leader

Il difficile momento che l’ecosistema tech in Europa sta attraversando potrebbe, come spesso capita, rivelarsi un’opportunità. Occorre però fare di più per attrarre i migliori talenti, rimuovere gli ostacoli normativi e puntare sulle molte startup focalizzate sulla lotta ai cambiamenti climatici di cui il Continente è ricco

Pubblicato il 17 Mar 2023

Pierre Byramjee

Head of Southern Europe di Stripe

startup investimenti

È un momento difficile per l’ecosistema europeo della tecnologia. L’inflazione si mantiene alta, i finanziamenti alle startup rallentano e la crisi energetica persiste. Siamo chiaramente in un clima economico mutato e diverse realtà sparse in tutto il mondo sembrano avviate verso la recessione. Qualunque cosa accada nell’anno appena cominciato, serviranno resilienza e capacità di adattamento per superare un periodo che si preannuncia difficile.

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Sfide e prospettive per un’Europa piena di talenti

Detto questo, non tutti i mali vengono per nuocere. Molte startup europee si sono adattate rapidamente alla nuova realtà economica e, a testimonianza di questo, aziende come Unobravo in Italia, o Doctolib in Francia, continuano a crescere rapidamente. La maggior parte dei fondatori e degli investitori è ancora ottimista rispetto alle previsioni future e, a conferma di ciò, l’ultima ricerca di Atomico ha rilevato come oltre tre quarti degli attori dell’ecosistema della tecnologia in Europa sono almeno altrettanto ottimisti, soprattutto confrontando il contesto attuale a quello dei 12 mesi precedenti. Questo perché i fondamenti della filiera sono più solidi che mai.

Per prima cosa, l’Europa è piena di talenti. Il nostro continente ospita quasi il 50% di sviluppatori di software in più rispetto agli Stati Uniti e sono diversi i founder esperti che stanno guidando le loro aziende anche in questa fase di rallentamento. Quando Patrick e John Collison hanno fondato Stripe un decennio fa, non esisteva un gigante tecnologico europeo a cui guardare. Ora, invece, ci sono letteralmente centinaia di aziende tecnologiche ambiziose, da Wise a Spotify, da prendere come modello.

L’ecosistema del Venture Capital in Europa

L’ecosistema del Venture Capital in Europa è ora ben strutturato, con aziende come Atomico, Seedcamp, Kima e molte altre che sostengono le ambizioni dei fondatori europei. E realtà globali di VC come Sequoia o A16z stanno investendo in società europee senza richiedere loro di trasferirsi nella Silicon Valley.

Anche la politica comune europea sta facendo la sua parte. La PSD2 (direttiva europea dei sistemi di pagamento) e il regime di passaporto finanziario hanno reso l’Europa il posto più congeniale al mondo per avviare un’attività fintech. E grazie a campagne come Not Optional, aziende come Stripe stanno iniziando a tassare le stock option in una modalità che rende più facile, per le startup europee, competere per accaparrarsi i migliori talenti.

Ma non bisogna dare nulla di tutto ciò per scontato. In Europa vengono formati decine di migliaia di ingegneri del software ogni anno, molto più che negli Stati Uniti, ma questo non è ancora sufficiente per soddisfare le crescenti esigenze delle aziende tecnologiche. A livello globale, si prevede che il mondo avrà bisogno di quattro milioni di sviluppatori in più entro il 2025 e, in questo senso, la Cina e l’India si trovano attualmente in una posizione di gran lunga migliore rispetto all’Europa per soddisfare questa domanda.

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La necessità di attrarre i migliori ingegneri software

Non si tratta di un semplice gioco di numeri: la necessità di attrarre i migliori ingegneri software del mondo è reale. In Italia, secondo i dati di Indeed (aggiornati a settembre 2022) basati sulla quota di offerte di lavoro tech, si nota una tendenza più forte che in altri Paesi nella riduzione degli annunci di lavoro nel settore tecnologico, segno tangibile del rallentamento in atto nella creazione di impieghi per il settore specifico. Al contrario, la quota di occupazioni è nettamente più elevata in Estonia e Portogallo, dove raggiunge oltre il doppio della percentuale osservata nella maggior parte dei Paesi europei.

A questo fenomeno si accompagna una forte competizione in atto per ricoprire quelle determinate posizioni, situazione che rispecchia le difficoltà oggettive che si presentano per colmare questa lacuna. Guardando sempre ai dati di Indeed, oltre il 45% dei posti di lavoro vacanti nel comparto tech in tutta Europa sono definiti “hard to fill”, o “difficili da riempire” (HTF): ciò significa che, in media, 60 giorni dopo l’annuncio quelle posizioni sono ancora vacanti. In Italia vi è stata una quota elevata di HTF negli ultimi tre anni: il 62% del campione intervistato, composto da fondatori e team dirigenziali, ha sottolineato una crescente difficoltà ad assumere nuovi talenti rispetto a un anno fa.

Il fatto che la maggior parte degli studenti di informatica non metta fisicamente piede in un’azienda tecnologica fino al terzo anno del proprio percorso di studi universitario ostacola il loro potenziale. Nuovi approcci, come ad esempio il corso dell’Università di Limerick che offre stage retribuiti presso le principali aziende del settore, potrebbero incoraggiare un numero maggiore di studenti a intraprendere carriere in ambito software, aumentare l’offerta locale di talenti e rafforzare allo stesso tempo chi ha l’ambizione di avviare un’azienda tecnologica.

Gli ostacoli normativi

Anche gli ostacoli in ambito normativo restano un problema persistente. In un recente sondaggio di Stripe, due terzi delle startup hanno affermato che crescerebbero molto più velocemente se le regole fossero coerenti a livello internazionale. In particolare, hanno evidenziato il tempo e le risorse spesi per interpretare e rispettare la regolamentazione. Il progresso delle startup sarebbe più rapido se le regole fossero armonizzate tra i diversi mercati e se lo strumento del passaporto, che è stato così importante nei servizi finanziari, venisse esteso ad altri settori altamente regolamentati. L’introduzione di linee guida di conformità di facile utilizzo per le startup, insieme alla creazione di un circolo virtuoso di feedback tra fondatori e responsabili politici, sono fattori che renderebbero più accessibile e di supporto anche la regolamentazione stessa. L’Europa era solita rimpiangere la mancanza di giganti tecnologici globali, mentre ora sono ovunque. Nonostante una sostanziale riduzione anno su anno, l’Europa ospita ancora oltre 350 unicorni.

Dare supporto agli unicorni

Rispetto ai numeri del 2022, secondo Dealroom 105 nuove realtà hanno superato il miliardo di valutazione e soprattutto nell’Europa meridionale e centro-orientale abbiamo assistito alla nascita di decine di unicorni: si osservano cambiamenti importanti nell’intero ecosistema europeo così come nell’ampiezza e nella profondità del pool di talenti. Dal 2021 al 2022, il Sud Europa ha aggiunto 4 nuovi unicorni (+21%) e nello stesso tempo l’Italia ha coniato le sue società da oltre 1 miliardo: Satispay e ScalaPay.

Ora che abbiamo i tanto agognati unicorni dobbiamo dare loro il supporto di cui hanno bisogno per diventare leader globali. Prendiamo ad esempio il fintech, un settore di cui gli europei possono giustamente vantarsi: la PSD2 ha messo l’Europa all’avanguardia, ma ora serve mantenere le promesse. Ciò significa compiere i passi successivi in materia di Open Banking e Open Finance, consentire ai soggetti non bancari di accedere all’infrastruttura della banca centrale e di realizzare l’idea di un euro digitale per modernizzare l’infrastruttura dei pagamenti che è alla base dell’economia europea.

Un altro modo per monitorare gli ecosistemi europei deriva dall’osservazione del numero di startup: analizzando il censimento di startup verificate di Dealroom (al 31 ottobre 2022), mentre Regno Unito, Francia e Germania ospitano un un numero più che proporzionale di startup, Italia e Spagna includono solo il 7% e il 6% delle startup del continente, poco al di sotto della loro quota relativa di abitanti europei.

Passando invece ai dati di sentiment relativi al contesto politico europeo per startup e scaleup, Italia e Francia sono i paesi dove le condizioni per l’imprenditoria innovativa sono state rese “più favorevoli”, rispettivamente per il 56% e il 47% degli intervistati. Oltre 10 anni fa, lo Startup Act italiano ha dato vita a diverse iniziative a sostegno delle startup: i dati confermano quindi gli sforzi compiuti nell’ultimo periodo per costruire un ecosistema più progressista e favorevole all’avvio di imprese innovative.

Il ruolo delle startup nella lotta al cambiamento climatico

Abbiamo anche la possibilità di essere pionieri in una delle più grandi sfide tecnologiche del nostro tempo: il cambiamento climatico. L’Europa si è posta alcuni degli obiettivi di riduzione della CO2 più audaci a livello globale, ma la sua filiera della tecnologia climatica è piuttosto piccola. Startup come 44.01, Mission Zero e Climeworks hanno sviluppato nuove tecniche di rimozione dell’anidride carbonica– aspirandola direttamente dall’aria, spruzzando polvere reattiva alla CO2 sui campi agricoli e trasformandola in roccia – ma abbiamo bisogno di migliaia di altre di queste aziende per avviare il cambiamento. Con il 65% degli investimenti globali in tecnologia del clima che lo scorso anno è stato destinato alle startup climatiche statunitensi, d’ora in poi possiamo sicuramente fare di meglio.

Perché ad esempio non replicare lo schema che ha permesso lo sviluppo delle principali società fintech del mondo e dare alle startup tecnologiche europee la spinta di cui hanno bisogno? Potremmo introdurre regole più flessibili, come le sandbox normative che hanno funzionato così bene per il fintech, e migliori incentivi per aiutare le aziende di tecnologia climatica ad arrivare più rapidamente sul mercato. La politica potrebbe contribuire a creare legami più forti tra la nuova generazione europea di fondatori di startup per il clima e i fondi di investimento. Abbiamo inoltre bisogno di un maggior numero di istituzioni, governi e imprese europee che stabiliscano standard elevati per la rimozione permanente della CO2, agendo come clienti e aiutando queste aziende a crescere.

Conclusioni

Periodi storici come questi portano automaticamente ad una maggiore avversione al rischio. Gli imprenditori si trattengono dall’avviare una nuova società. I VC si concentrano meno sulle opportunità a lungo termine. E la politica è tentata dallo spostare l’innovazione in fondo alla lista delle priorità.

Ma deprioritizzare la tecnologia in Europa sarebbe un grosso errore. Da Ford negli anni ’30 a Google negli anni 2000, le recessioni rappresentano anche un terreno fertile per lo sviluppo di aziende “generazionali”. E non c’è dubbio che molte grandi realtà tecnologiche emergeranno da questa recessione. Quindi, invece di discutere se questa sia davvero la fine di un’epoca d’oro per la tecnologia, perché non preparare la prossima generazione di Founder europei ad avere successo?

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