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Ascani, Nicita (PD): “Dalle telco dipende il futuro digitale del Paese, i problemi da risolvere”

Il mercato italiano delle tlc è un caso di liberalizzazione di successo che va riconosciuto e difeso, accompagnato da una regolazione pro-concorrenziale, che fa dell’Italia una delle esperienze più avanzate in Europa. Vanno però evidenziate molte criticità, anche per capire come risolverle

Pubblicato il 27 Mar 2023

Anna Ascani

Vicepresidente della Camera dei Deputati

Antonio Nicita

Senatore della Repubblica (PD)

Telecommunication,Tower,For,2g,3g,4g,5g,Network,During,Sunset.

Parlare di crisi delle telecomunicazioni in Italia non è esatto se si guarda complessivamente al settore. La domanda di connettività fissa a banda ultra larga e mobile cresce da diversi anni, come anche gli investimenti in infrastrutturazione. Guardando ai dati dell’Osservatorio Agcom, non può che essere rilevata, nell’ultimo decennio, una dinamica positiva, tanto dal lato dell’offerta quanto dal lato della domanda.

Non a caso il settore registra da tempo l’ingresso di operatori, nel fisso – inclusa la modalità FWA – e nel mobile, con una concorrenza estremamente vivace, che si riflette anche nelle dinamiche delle quote di mercato, che hanno visto una quota crescente e maggioritaria degli operatori alternativi all’incumbent nella rete fissa.

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Questa vivacità pro-concorrenziale si riflette, da anni, in una dinamica dei prezzi retail tra i più bassi a livello europeo e internazionale, per servizi avanzati.

Cresce anche la domanda per servizi di connettività multimediali con l’offerta di servizi integrati, così come la fruizione di servizi di streaming di contenuti.

Nel complesso, il caso italiano è un caso di liberalizzazione di successo che va riconosciuto e difeso, accompagnato da una regolazione pro-concorrenziale, che fa dell’Italia una delle esperienze più avanzate in Europa. Anche sotto il profilo della tutela del consumatore.

Le criticità del mercato italiano

Se da un lato però non si può parlare di crisi del settore, dall’altro vanno evidenziate molteplici criticità, anche al fine di chiedersi quali ambiti di intervento di politiche pubbliche e di regolazione, nazionali ed europee, possano contribuire a risolverle.

Queste criticità vanno valutate anche attraverso il confronto internazionale e nel solco della nuova regolazione europea delle comunicazioni elettroniche.

I problemi della rete fissa

Partendo dalla rete fissa, la prima criticità riguarda, inevitabilmente, l’offerta infrastrutturale a banda ultra larga fissa e mobile. Qui, come sappiamo, il tema che ha riguardato l’ultimo decennio è stato il ritardo infrastrutturale, nel confronto medio europeo, nel passaggio da soluzioni miste rame-fibra alla fibra. E, soprattutto, la distribuzione territoriale di questo passaggio. È, infatti, un dato acquisito che il passaggio alla banda ultra larga in Italia abbia seguito le dinamiche della domanda, anziché la logica degli investimenti nazionali, secondo il principio di un servizio universale aggiornato alla connettività a banda ultra larga.

Le innovazioni tecnologiche delle varie soluzioni VDSL, che hanno via via rafforzato la capacità trasmissiva del rame, hanno finito per soddisfare in modo incrementale la domanda crescente di banda, ma hanno ritardato un convinto salto tecnologico. Per molti anni si è seguita la strada economicamente più sostenibile, dati i più alti costi di scavo della posa di fibra. Due eccezioni sono rimaste tali per molti anni: il piano “Socrate” di Telecom Italia e l’esperienza Metroweb di Milano. Nel primo caso, un importante progetto infrastrutturale pilotato dall’incumbent è stato fermato. Nel secondo, un esempio di eccellenza non è stato immediatamente seguito da altre esperienze nei più importanti capoluoghi italiani. In parte, a questo ritardo hanno contribuito anche strategie politiche di valorizzazione delle frequenze televisive (le connessioni a banda ultra larga avrebbero lanciato la tv via cavo, presente in altri paesi europei, depauperando il business televisivo privato nazionale di taluni soggetti), nonché l’esplosione della connettività mobile che, in taluni casi, ha agito da sostituto rispetto a un deciso salto tecnologico verso la banda ultra larga fissa.

Per molti anni, in Italia, il concetto di banda larga è coinciso con la soluzione FTTC, cioè con la fibra al cabinet, mentre gli investimenti in banda ultra larga si sono concentrati nelle zone più redditizie. Ma molta parte del Paese è rimasta tragicamente indietro nella connettività. Gli anni della pandemia ci hanno addirittura rivelato l’esistenza di un centinaio di piccole città “ultra bianche”, ossia senza connessione fissa e mobile.

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Le politiche pubbliche per la banda ultralarga

Proprio per questa ragione, dal 2015 in poi, i governi di centro sinistra hanno lanciato un piano di investimenti in banda ultra larga con un forte intervento pubblico data l’incapacità del mercato di muoversi autonomamente verso la banda ultra larga nelle aree dove è assente una domanda significativa. Non investendo in molte zone, la dinamica di mercato è stata quindi caratterizzata per molto tempo dalla ricerca di churn rate, cioè di nuovi clienti rubati al concorrente, con margini sempre più bassi e prezzi sempre più competitivi, rispetto a una concorrenza che preferiva puntare su investimenti (e redditività) di lungo periodo.

Le politiche pubbliche, nel rispetto della legislazione sugli aiuti di Stato, si sono concentrate sulla realizzazione di investimenti nelle zone a fallimento di mercato, accompagnate da politiche industriali strategiche come quelle della creazione della società a controllo pubblico Open Fiber, che ha inglobato proprio l’esperienza di Metroweb e che ha operato tanto nei contesti competitivi di mercato, in concorrenza con l’incumbent, quanto nelle zone a fallimento di mercato, come concessionaria dello stato e vincitrice dei bandi per la infrastrutturazione delle zone cosiddette bianche.

Questa impostazione è poi proseguita con il PNRR e il Piano Italia a 1 Giga anche per le zone grigie a fallimento di mercato, che puntano a concretizzare in Italia gli obiettivi di connettività dell’agenda europea 2030 entro il 2026. Le politiche pubbliche hanno poi riguardato anche il tema delle semplificazioni amministrative, ulteriormente accelerate dal Connectivity Act approvato a livello europeo.

Le difficoltà di esecuzione

Le principali criticità in questo ambito riguardano oggi la fase di esecuzione. Ai ritardi nelle cosiddette aree bianche si sommano alcuni problemi: la scarsità di manodopera, l’aumento dei costi energetici, una pigrizia della domanda per servizi, pubblici e privati, a banda ultra larga. Si tratta, in questa fase, di monitorare attentamente la fase di esecuzione e di favorire forme di co-investimento e di collaborazione nell’impiego di manodopera, da un lato, e di incentivazione della domanda dall’altro. A tal fine, va ripensato come impiegare l’avanzo di circa 1.2 miliardi dopo l’assegnazione delle gare del PNRR. Può essere reimpiegato nel coprire l’eccesso di costi energetici e per l’aumento dei costi delle materie prime dovute all’inflazione, come anche nello stimolo della domanda. È una decisione che va assunta al più presto.

I problemi dell’assetto del mercato tlc

Su queste criticità si inserisce, tuttavia, anche l’annosa questione dell’assetto nel mercato delle tlc e, in particolare, il ruolo di partecipazione pubblica oggi coperto sia in TIM (con la partecipazione di CDP) che in Open Fiber. In larga parte del mercato italiano le due società sono concorrenti nella infrastrutturazione e nell’offerta all’ingrosso di servizi a banda ultra larga. Nel resto del Paese, e cioè nelle aree che sono state oggetto di gare pubbliche negli ultimi anni, dovrebbe emergere un’unica infrastruttura. Questa asimmetria, unitamente alla circostanza che TIM, a differenza di Open Fiber, è un operatore verticalmente integrato e presente anche nel mobile, crea da anni una tensione tra duplicazione degli investimenti e concorrenza di prezzo all’ingrosso (wholesale). È una tensione tipicamente italiana, che non ha corrispondenti in altri esempi internazionali. La soluzione a questa tensione non deve essere di tipo ideologico, cioè di rivendicazione sovranista tout court di un controllo pubblico della rete, ma fondata su obiettivi di servizio universale, di sicurezza cibernetica e di sostenibilità di mercato.
Le ipotesi di concentrazione, come quelle che si stanno ipotizzando, rispetto a quelle di co-investimento disciplinate dal codice delle comunicazioni elettroniche, se da un lato semplificano il quadro e generano economie di scala e di coordinamento, dall’altro pongono temi antitrust e richiederebbero rimedi di separazione verticale che potrebbero, alla fine, indebolire la sostenibilità economica e la concorrenza in un mercato nel quale alcuni degli operatori concorrenti manterrebbero forme di integrazione verticale e conglomerale (cioè offerte fisso e mobile integrate).
Qui, alcune soluzioni che potrebbero essere esplorate con successo, contemplano forme di concentrazione di tipo territoriale (dove è presente un’unica infrastruttura) e forme di co-investimento in territori dove sono presenti infrastrutture concorrenti, assegnando il ruolo pubblico di controllo al regolatore.

I ritardi nel 5G

Una seconda criticità riguarda il ritardo nell’affermazione di servizi 5G. L’Italia è da sempre una eccellenza nell’esperienza del mobile: come penetrazione, come utilizzo, come evoluzione tecnologica. Siamo stati il primo Paese a bandire una gara europea per il 5G, registrando una domanda che lasciava presagire forti investimenti. Anche qui, il PNRR ha previsto importanti risorse per gli investimenti infrastrutturali e forme di semplificazione per le autorizzazioni. La forte concorrenza nel mobile rivela anch’essa l’aspettativa di crescite di mercato, per quanto, anche qui, la dinamica concorrenziale appare agganciata alla guerra di prezzi e non a strategie che puntino sulla qualità dei servizi.

È vero che, secondo alcuni osservatori, il mancato consolidamento tra operatori può avere l’effetto di ridurre i margini per investimenti ma, secondo altri, non si può imputare alla sola concorrenza o all’approccio antitrust sulle concentrazioni il fenomeno di mercato che si osserva, specie in una fase di transizione ai servizi 5G.
Qui la criticità è più verosimilmente connessa alle mancate complementarietà tra banda ultra larga fissa e infrastrutturazione 5G, ma si tratta di una criticità che il PNRR aiuterà a risolvere. Anche qui, vale la pena riflettere su possibili misure di sostegno dal lato della domanda per il passaggio a nuovi e innovativi servizi di connettività 5G e 6G.

Il nodo del fair share

Infine, l’ultima criticità che vale la pena segnalare riguarda il tema posto da alcune associazioni di operatori circa il “peso” del valore dei servizi di comunicazione elettronica sul totale del valore della transizione digitale che si rivolge alle grandi piattaforme online. Si parla di “fair share”, considerata dagli operatori di tlc una misura di equità in virtù della quale i principali fornitori di servizi internet contribuiscono economicamente alla copertura parziale dei costi attribuibili al traffico dati che generano. È un tema di cui si discute a livello europeo e che, tuttavia, non può essere affrontato come tema negoziale o contrattuale, ma in un contesto ampio e rinnovato di riflessione del ruolo degli operatori di comunicazione elettronica nella formazione del valore del dato, nonché di protezione e controllo a garanzia degli utenti. Ma siamo agli inizi ed è, appunto, un dibattito che esige un confronto almeno europeo, per condividere e confrontare competenze, conoscenze e ricerche.

Conclusioni

Il futuro del settore delle Telco ha un peso cruciale nell’esito della rivoluzione digitale proprio perché riguarda l’eccellenza del nostro Paese in termini di ricerca applicata e infrastrutturazione, a loro volta indispensabili per portare a termine la transizione. I player del settore hanno oggi un ruolo decisivo nello sviluppo del sistema Paese poiché le loro performance sono direttamente collegate alle performance delle imprese e alla crescita del PIL nazionale e, di conseguenza, all’attrattività della nostra economia all’estero. La diffusione delle reti e dei servizi di telecomunicazioni a banda ultra larga hanno infatti un effetto positivo diretto sui processi di innovazione industriale, ma i vantaggi economici e sociali saranno realmente raggiunti solo se l’adozione su vasta scala di reti ad altissima capacità riguarderà l’intero territorio.

Ciò sarà possibile solo una volta superate le criticità sopracitate e, più in generale, intervenendo sulla semplificazione normativa, incentivando gli investimenti e favorendo la diffusione di cultura e competenze digitali. Se non investiremo in innovazione, ricerca e nuove generazioni, non sarà infatti possibile conseguire un livello di competitività in grado di affrontare le sfide di un futuro in cui dovremo essere in grado di governare l’innovazione e non di subirla. Di attuare il cambiamento senza improvvisare e di considerare il digitale, non come un settore, ma come il futuro dello sviluppo economico di tutti i settori, innovativi e tradizionali.

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