Relazioni Internazionali 2.0

Come cambia la diplomazia con l’intelligenza artificiale: vantaggi e incognite

L’uso di Internet e strumenti digitali al fine di conseguire obiettivi diplomatici di varia natura si dimostra sempre più strategico. Ma non manca il rischio che questi si trasformino in arma a doppio taglio, in cui i dati raccolti vengono usatti per cambiare la percezione della realtà della popolazione dello Stato ospite

Pubblicato il 31 Mar 2023

Emma Bagnulo

Analista Digitale&ICT AWARE THINK TANK

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Le nuove tecnologie hanno rimpicciolito il mondo facilitando le comunicazioni a livello internazionale. Se una volta per fare rapporto al proprio Stato gli ambasciatori dovevano affrontare viaggi lunghissimi, ora i cellulari permettono una trasmissione delle informazioni quasi in tempo reale.

I social sono divenuti il luogo in cui gli Stati s’interfacciano col resto del mondo e lo strumento con cui le politiche estere dei vari paesi s’intrecciano e talvolta si ostacolano vicendevolmente.

Diplomacy in the age of AI | David Cvach | TEDxStockholm

Diplomacy in the age of AI | David Cvach | TEDxStockholm

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L’intelligenza artificiale, poi, svolge già e assumerà presto un ruolo ancor più rilevante nelle strategie estere internazionali. Un esempio interessante è quello della Federazione Russa, che avrebbe apparentemente utilizzato le nuove tecnologie per interferire con gli affari interni di altri Paesi. Operazioni simili non sono un unicum nel panorama internazionale, ma rientrano nello sviluppo di quella che si chiama “digital diplomacy” che sta acquisendo sempre maggiore importanza nel modo in cui gli Stati si relazionano fra loro e con pubblici oltreconfine.

La digitalizzazione della diplomazia tradizionale

Da millenni gli Stati usano missioni diplomatiche per mantenere i rapporti fra loro, negoziare accordi, e ottenere informazioni sugli affari di altri Paesi. Un’ambasciata aveva in primis l’obiettivo di rappresentare il proprio Paese su suolo estero, ma anche di promuovere relazioni più o meno stabili e pacifiche fra gli Stati. Col tempo, il ruolo degli ambasciatori si è evoluto anche a quello di protettori dei cittadini all’estero, compito che ha acquisito una maggiore rilevanza negli ultimi due secoli grazie alla globalizzazione e alla modernizzazione del concetto di cittadinanza. Prima del passaggio dell’individuo da suddito a cittadino non era prioritario offrire né protezione oltre i confini nazionali, né rappresentanza. Solo con l’avvento del terzo stato e la decadenza della nobiltà si sarebbe iniziato a trovare interesse nella salvaguardia degli interessi economici degli abitanti. Prima di allora, si guardava di più ai diplomatici come mediatori o, piuttosto, come spie. Col concerto d’Europa si riconobbe fra gli aspetti della diplomazia ufficiale quello del mantenimento delle pubbliche relazioni.

Sebbene il bilanciamento dei ruoli non sia stato sempre lo stesso, la concezione storica di diplomazia ha avuto effetti ad oggi ancora visibili. È stata la pratica di mantenere un’ambasciata permanentemente in un altro Paese ad aver portato alla consuetudine dell’immunità diplomatica. Il progresso non ha inventato la diplomazia nel senso moderno, ma le ha permesso di rafforzarsi sia nel compito di rappresentare uno Stato e i suoi cittadini in suolo estero, sia in quello meno ufficiale di informare il detto Stato sulla politica interna del Paese ospitante.

Fergus Hanson afferma che con digital diplomacy s’intende l’uso strategico di Internet e strumenti digitali al fine di conseguire obiettivi diplomatici di varia natura. Con l’apertura di pagine web, le missioni diplomatiche raggiungono più facilmente i propri cittadini nel Paese di riferimento. Secondo Molella e Knowles, l’invenzione dei cellulari ha permesso alla diplomazia di velocizzarsi nel trasmettere informazioni non censurate. Anche l’intelligenza artificiale ha un ruolo: grazie ad essa è possibile analizzare una quantità d’informazioni mai pensata prima, il che permette di ottenere quadri più accurati e aggiornati sulla situazione socio-economica di un Paese. A riguardo, Karim Hamidouche in “Artificial Intelligence: A New Tool for Diplomats” sostiene che l’intelligenza artificiale possa automatizzare certe funzioni delle ambasciate, specialmente quelle di routine. Ciò faciliterebbe lo svolgimento delle procedure per i cittadini all’estero, ma anche i lavori di traduzione, visti i miglioramenti di software quali DeepL o Google Translate.

Carpini (Maeci): “Perché la diplomazia è cruciale per vincere le sfide dell’era digitale”

Ciononostante, sarebbe riduttivo sostenere che la digitalizzazione abbia esclusivamente effetti positivi per la diplomazia. Il dottor Vacarelu sostiene che un lato negativo sussiste nel momento in cui la rapidità della comunicazione data dai cellulari snatura il compito dei diplomatici a quello di semplici ripetitori di quanto detto dai rispettivi esecutivi. Inoltre, l’intelligenza artificiale permette all’esecutivo di ottenere informazioni senza passare dalle ambasciate come fonte primaria. In futuro si potrebbe assistere alla scomparsa delle ambasciate come le conosciamo e vederle sostituite da e-embassies o ambasciate virtuali, che potrebbero sia gestire le pubbliche relazioni, sia fornire la documentazione necessaria ai residenti all’estero. Un ultimo punto dolente per la diplomazia si trova nella problematicità dello “spiare senza essere spiati” in un mondo dove la capacità di accumulare dati è reciproca.

Il fondamentale ripensamento del funzionamento delle ambasciate non è la sola conseguenza della digitalizzazione. Infatti, le nuove tecnologie democratizzano le pratiche diplomatiche, nel senso che rendono accessibili le relazioni internazionali anche a corpi non necessariamente governativi. Questo avviene soprattutto nell’ambito della cosiddetta “public diplomacy”.

Da Public Diplomacy a Digital Public Diplomacy

La public diplomacy è una branca della diplomazia che coltiva rapporti con i pubblici stranieri al fine di raggiungere obiettivi rilevanti per la strategia di politica estera. Si distingue dalla diplomazia tradizionale poiché essa è rivolta a un pubblico più vasto di élite diplomatiche e governative ed è attuata in potenza da vari attori, anche non strettamente statali. Con la public diplomacy si cerca d’influenzare l’idea che un popolo ha di un altro Paese, di una determinata situazione politica o, se si rivela conveniente, del proprio stesso Paese.

Se una volta era necessario rivolgersi ai media cosiddetti tradizionali per attuare strategie di public diplomacy, le nuove tecnologie hanno di molto facilitato l’accesso alla comunicazione con pubblici esteri. Sono moltissimi i politici, i ministeri, e gli ambasciatori che hanno aperto un account sui social network più popolari, tanto che ad oggi per chi ricopre una carica pubblica è più una regola che l’eccezione avere una presenza social. Ciò permette di avere una relazione diretta con il target di riferimento, le cui caratteristiche parasociali facilitano il lavoro di costruzione dell’immagine nazionale oltreconfine. Questa evoluzione “digitale” della public diplomacy ha portato gli studiosi a definire una nuova sottocategoria: la digital public diplomacy.

Tramite la digital public diplomacy non ci si limita a usare la rete come semplice canale in più per la ripetizione dei messaggi già trasmessi in TV, ma anzi si sviluppa un’agenda digitale specificamente pensata per sfruttare al meglio le caratteristiche del mezzo. Immagini e post sono costruiti affinché la ricezione del messaggio sia la più efficiente possibile. Tuttavia, le strategie digitali non sono limitate nell’uso ai politici e ai diplomatici. Esse sono adottate anche da ONG, multinazionali, gruppi terroristici, ma anche organizzazioni internazionali. Si pensi ad esempio alla strategia social di Hamas per quanto riguarda la striscia di Gaza, oppure all’UE e al corpo del European External Action Service, che dedica una pagina appositamente alla digital diplomacy.

La digital public diplomacy non si limita alla promozione di sé stessi, ma può anche danneggiare eventuali avversari a livello reputazionale, o creare scompiglio interno. Sul web è infatti facile creare divisioni e spingere verso l’estremismo determinate fasce della popolazione più a rischio, cosa che porta al caos interno e indebolisce il governo in carica. Le intelligenze artificiali permettono di falsificare immagini e video, cosa che facilita di molto la creazione di fake news credibili. Con l’uso di bot e troll, poi, la diffusione della disinformazione diventa semplice e capillare.

Relazioni Internazionali 2.0: come riscrivere la realtà

La digital diplomacy assume particolare significato nel momento in cui si va ad applicare a situazioni in cui un Paese è coinvolto in un conflitto. È in questo contesto di innovazione che s’inseriscono le campagne di disinformazione russe durante la guerra in Ucraina. Un esempio lampante del potenziale dell’intelligenza artificiale è quello del deepfake di Zelensky intento ad arrendersi circolato a marzo 2022. I deepfakes possono essere utilizzati per generare scompiglio e minare la fiducia nella leadership avversaria. Stando a quanto sostenuto in un report di Brookings, i deepfake costituiscono una minaccia tale per cui si renderebbe necessaria la creazione di protocolli a parte simili a quelli già presenti sulla cybersecurity. Nel caso russo l’obiettivo, per quanto non raggiunto, era di screditare il leader ucraino e farlo passare come un codardo, in contrasto con i leader e i soldati russi, dipinti come un esercito di liberazione.

Non è un caso che nelle campagne mediatiche la Russia abbia posto così tanta enfasi sulle cosiddette “violazioni dei diritti umani” nella regione del Donetsk a scapito della minoranza russofona. La Russia si presenta al resto del mondo come protettrice dei russi e dei valori tradizionali in tutto il mondo, in opposizione a un Occidente che vuole imporre la propria visione del mondo. La costante ripetizione del messaggio tramite l’uso spregiudicato dei social, ma anche di Russia Today e TASS, permettono di convincere della propria narrativa quelle parti della società che dubitano sulla veridicità di quanto comunicato dai propri governi.

Il caso russo risulta essere particolarmente interessante nel momento in cui ci si rende conto di come le missioni diplomatiche russe sui social non sembrino particolarmente interessate al mantenimento di buoni rapporti con i Paesi ospitanti. Sempre su Twitter, infatti, si vedono post volti per lo più a instillare il dubbio sulla legittimità delle azioni di Stati quali Francia, Regno Unito o Stati Uniti, fra gli altri. Si accusano i Paesi Occidentali di essere contro la libertà di parola e religiosa, strizzando l’occhio a quelle parti della popolazione con tendenze antisistema e collocata agli estremi dello spettro politico. L’obiettivo diventa la radicalizzazione di queste fasce a rischio, potenzialmente con l’obiettivo di rendere più difficile, trattandosi di democrazie, il processo decisionale che può portare all’invio di armamenti all’Ucraina.

Il futuro della diplomazia

Ad oggi si è visto che la diplomazia non è più limitata all’opera delle ambasciate, ma si fonde e collabora con organi propagandistici. Lo strumento diplomatico passa da essere fonte d’informazione e di costruzione di rapporti positivi con l’estero a una sorta di arma a doppio taglio, in cui i dati raccolti vengono utilizzati per cambiare la percezione della realtà della popolazione dello Stato ospite.

Sebbene il deepfake di Zelensky sia stato scoperto subito, il tentativo russo è comunque un segnale della rilevanza che queste tecnologie assumono e assumeranno nei conflitti, e dell’importanza di prepararsi a contrastarli. Infatti, eccetto casi mediatici eclatanti, non è dato di sapere come si stiano attualmente usando le intelligenze artificiali all’interno dell’ambiente diplomatico. Certo è che questo avrà sempre una maggiore rilevanza nel modo in cui sono concepite le relazioni internazionali, con una potenziale automatizzazione di certi processi ma anche un rischio crescente di fughe d’informazioni importanti. Quanto a queste ultime, starà agli esecutivi determinare strategie per evitarle, e capire quanto le decisioni di una IA siano strategicamente più efficienti di quelle prese da una persona in carne e ossa.

Bibliografia

Freeman, C. W. and Marks, . Sally (2022, March 13). diplomacy. Encyclopedia Britannica. https://www.britannica.com/topic/diplomacy

Hamidouche, K. (2021). Artificial intelligence: A new tool for diplomats. In Artificial intelligence and digital diplomacy (pp. 25–32). Springer International Publishing. https://doi.org/10.1007/978-3-030-68647-5_2

Hanson, F. (2010). A digital DFAT: Joining the 21st century. Policy Brief, (pp.1–14). Lowy Institute for International Policy.

Tsvetkova, N. (2019). Russian digital diplomacy: A rising cyber soft power? In Russia’s public diplomacy(pp. 103–117). Springer International Publishing. https://doi.org/10.1007/978-3-030-12874-6_6

Vacarelu, M. (2021). Artificial intelligence: To strengthen or to replace traditional diplomacy. In Artificial intelligence and digital diplomacy (pp. 1–23). Springer International Publishing. https://doi.org/10.1007/978-3-030-68647-5_1

Deepfakes and international conflict

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