Negli ultimi dieci anni alcuni tipi di robot collaborativi, “agenti artificiali ad autonomia crescente”, hanno ampliato il registro delle loro capacità percettive, empatiche, cognitive ed operative.
Parliamo di robot socialmente interattivi che stanno trovando molteplici applicazioni pratiche in ambienti di lavoro e di vita, come ad esempio nell’ambito sanitario o nell’assistenza alla persona, risultando sempre più graditi sia alle aziende sia ai singoli utenti.
Robofilosofia: come filosofia e ingegneria dialogano per la robotica sociale
Il pensiero antropologico ed etico sul confronto uomo-robot
La riflessione sulle capacità che stanno assumendo i robot, così come l’intelligenza artificiale e tutti i sistemi intelligenti, non deve far perdere di vista il loro fine ultimo che è la persona.
I robot vanno consideranti innanzitutto come un fattore abilitante della persona, uno strumento per facilitare il nostro futuro, mezzi altamente tecnologici da mettere a servizio del bene e del benessere della persona. Certo è che la loro presenza e potenza stanno crescendo a ritmi elevati, anche se meno velocemente rispetto alle previsioni di alcuni anni fa. Se infatti nel 2018 il World Economic Forum prospettava, per il 2025, il 50 per cento delle mansioni lavorative associate ai robot, oggi l’asticella è stata spostata in avanti e le proiezioni parlano del raggiungimento di quei livelli nel 2040.
Se dunque il confronto uomo-robot su larga scala è appena rimandato, è urgente comprendere se e come il pensiero antropologico ed etico riescano a muoversi in questo nuovo scenario, che interpella la nostra responsabilità e la nostra capacità di interpretare questa grande opportunità scientifica. Non vorrei infatti – come talvolta è capitato – che scienza da un lato e filosofia dall’altro iniziassero, da parti opposte, a scavare un tunnel sotto la montagna, finendo però per non incontrarsi mai. La speranza invece è che riescano a trovare un terreno comune di elaborazione culturale, in grado di valorizzare al meglio tutte le risorse per quello che possiamo chiamare “personalismo relazionale”.
Questo spazio sembra possibile individuarlo laddove, come all’Università Campus Bio-Medico di Roma e in altri atenei del mondo, la robotica è terreno di quotidiano confronto tra medici e ingegneri che lavorano insieme per dar vita a una medicina sempre più personalizzata. La tecnologia centrata sulla persona è proprio questo: sviluppo di strumenti utilizzabili dai medici che siano adattabili a un sempre maggior numero di pazienti. Strumenti che possano tener conto dello stato della persona e del loro comportamento, migliorando quindi il rapporto stesso del paziente con il robot rendendolo sempre più fisiologicamente accettabile e quindi effettivamente efficiente e utilizzabile. Ecco perché, per esempio, oggetti innovativi come gli esoscheletri per la riabilitazione dopo gravi lesioni stanno avendo successo e avranno grande sviluppo nei prossimi anni diffondendosi come strumento di cura.
Il rapporto necessario e complesso tra robot e esseri umani
Il ruolo della scienza e della tecnica nell’introduzione dei robot e quello della filosofia nello strutturare il rapporto tra l’uomo e le nuove macchine, con le implicazioni che riguardano la persona e il suo approccio alla realtà, sono state al centro di una lezione aperta lo scorso 22 marzo presso l’Università Campus Bio-Medico di Roma.
Organizzato dal Consulting Commitee – Comitato Universitario per la Filosofia e la Scienza, l’incontro ha ospitato il prof. Paolo Dario, professore Emerito della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa tra i pionieri mondiali della robotica, e offerto il contributo di studenti, docenti e ricercatori universitari impegnati nello sviluppo di progetti integrati nei quali robotica ed etica sono strettamente interconnesse.
Obiettivo: fare il punto sul rapporto necessario ma complesso tra robot ed esseri umani segnalando la necessità di fissare precise regole che pongano alla base il valore della responsabilità umana.
Il concetto di responsabilità
Ed è proprio quando si ricercano e sperimentano le soluzioni più innovative che diventa cruciale tenere conto del concetto di responsabilità. E’ lì che si entra profondamente in contatto con il significato che una tecnologia può assumere quando entra nei gesti che compongono la nostra vita. Soluzioni tecnologiche innovative in grado di sostituirsi alle capacità umane richiedono infatti risultati robusti, che sappiano cioè riprodurre la complessità che normalmente la nostra mente e il nostro cuore sono in grado di gestire. Così la filosofia morale e i suoi valori entrano a pieno titolo nell’ambito della tecnologia e la responsabilità degli scienziati si arricchisce di un ulteriore aspetto particolarmente incisivo.
Se in molti casi, come accade già in alcune parti del mondo come in Giappone, le persone anziane assistite nelle case di riposo hanno mostrato maggiore gradimento per i robot (che li curano e ne riconoscono alcune emozioni) piuttosto che per i tradizionali infermieri, dobbiamo in primo luogo interrogarci sulla necessità di attivare sempre di più fra noi umani un’etica della condivisione, della vicinanza, della gentilezza, dell’accoglienza che a volte si può perdere; dall’altro lato dovremo prendere atto di come queste nuove interazioni modifichino i rapporti sociali generali, ponendo la tecnica al punto cruciale di intersezione fra persona e società.
Da queste correlazioni infatti si creano nuovi ambiti e differenti modelli, in grado di ridefinire la complessità etica delle relazioni umane anche nell’ordine dei comportamenti e nella ridefinizione dei valori in campo. In tale prospettiva tutte le forme hard di antropocentrismo sono destinate ad eclissarsi, per far posto ad un intreccio di relazioni ancora tutte da ripensare, e che possono genericamente essere comprese nel grande capitolo del rapporto fra cultura personalista e tecnologia all’interno del quale l’etica, intesa come rivalutazione dinamica dei valori e dei principi morali sembra assumere un ruolo decisivo.
In riferimento all’ “autonomia” dell’agente artificiale, specie in ordine alle questioni morali, alla costruzione cioè di artefatti artificiali in grado di decifrare la differenza fra bene e male, va detto che potrebbero non esserci limiti di ordine tecnico, ma certamente di ordine etico chiamando in causa la nostra responsabilità morale ed anche politica.
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Conclusioni
Non sappiamo dunque se verranno posti limiti, e quali, alla costruzione dei robot. Di certo esistono oggi limiti netti che noi stessi poniamo (nell’ambito assistenziale come in altri) nel considerare gli uomini come unici soggetti deputati allo svolgimento di determinate mansioni lavorative.
Ancora una volta diventa necessario riaprire la possibilità della creazione di un nuovo circolo relazionale che veda l’anziano (o il malato), il medico, l’ingegnere, il robot e l’infermiere dentro un circuito virtuoso di correlazioni che si intrecciano e si potenziano a vicenda.
Insomma un’etica relazionale di tipo circolare, ma che veda un nucleo generatore negli obiettivi e nei valori indicati dall’uomo. Superata la tradizionale visione totalitaria dell’antropocentrismo, potrebbe insinuarsi una nuova prospettiva, riassunta nella felice espressione, utilizzata da alcuni robotici, “Human in the loop” l’umano nello snodo, nel crocevia delle relazioni, nel punto, sempre dinamico e mobile, di un movimento che non può girare su sé stesso, ma che preveda che sia sempre l’uomo a prendere l’ultima decisione. L’uomo in the loop, ma anche “at the end of the loop”.