limiti della datificazione

Nutriscore e Yuka, l’algoritmo impera anche a tavola: i veri problemi, oltre il sovranismo alimentare

Contro il meccanismo di etichettatura alimentare Nutriscore o l’app Yuka, la battaglia della politica italiana appare di retroguardia, contraria a valori come la trasparenza o la tutela della salute, invece di essere centrata sui limiti della datificazione e sui danni della quantificazione imposta da questi modelli

Pubblicato il 05 Mag 2023

Sabino Di Chio

Docente di Media e Consumi Culturali, Università degli Studi di Bari

disinformazione cop28 clima

Il governo italiano ha scelto la difesa della tradizione gastronomica come argomento bandiera. Il tema è trattato con ricorrenza: no alle farine di insetti o alla carne coltivata in quanto corpi estranei alle materie prime abituali, certificazione della cucina italiana all’estero, indignazione contro la divulgazione di studi storici che mettano in dubbio la narrazione dominante sui piatti tipici.

La più longeva e impegnativa di queste battaglie è quella in Europa contro il Nutriscore, sistema di etichettatura francese che associa ad ogni alimento un semaforo e un punteggio in lettera che indichino sinteticamente al consumatore i valori nutrizionali del prodotto. La certezza che la scure di un semaforo rosso si abbatta su prodotti testimonial come il Parmigiano Reggiano o l’olio d’oliva ha spinto la politica italiana a fare fronte compatto contro il metodo, proposto dalla Commissione Europea come buona pratica da estendere a tutti i paesi membri in attuazione della strategia “Farm to fork”.

La battaglia contro il Nutriscore e Yuka

Nutriscore, o app indipendenti come Yuka, sono lette abitualmente attraverso la lente politica del sovranismo alimentare. Si tratterebbe di complotti genericamente anti-italiani, attacchi alla dieta mediterranea o cavalli di Troia degli interessi della grande distribuzione franco-tedesca. La battaglia tricolore appare così di retroguardia, contraria a valori condivisi come la trasparenza o la tutela della salute invece di essere occasione per una conversazione forse più urgente sui limiti della datificazione, la trasformazione di ogni fenomeno in dato implementata e accelerata dalle tecnologie digitali: i punteggi comprimono il prodotto nelle maglie strette del numero che vi associano, condizionando le scelte dei consumatori con uno strumento di persuasione potentissimo che, dietro la sintesi, nasconde il punto di vista e il potere di chi misura.

Nutriscore e Yuka sono algoritmi che offrono come output una valutazione. Il primo è stato scelto dal governo francese e proposto ai partner europei perché riesce a riassumere con un colore e una lettera i dati della tabella nutrizionale, già presente sulle confezioni ma di difficile lettura. Il punto di vista è scientifico-sanitario, tarato sulla classificazione della Food Standards Agency del Regno Unito, e l’obiettivo dichiarato è promuovere un’alimentazione sana che possa contrastare i costi sociali associati alle cattive abitudini alimentari, come il consumo eccessivo di cibi processati e raffinati. Per questo, l’algoritmo provvede ad associare valori negativi a quantità eccessive di zuccheri, sale o grassi e positivi a proteine, fibre, frutta e verdura.

Yuka, invece, è una app indipendente fondata da un gruppo di informatici francesi sensibili alla sana alimentazione, secondo quando dichiarato sostenuta esclusivamente dagli utenti attraverso l’abbonamento alla versione premium e l’acquisto di libri. Trasforma lo smartphone in scanner e, grazie alla lettura del codice a barre, restituisce una scheda del prodotto (il database riunisce 2,5 milioni di alimenti e 1,5 di cosmetici), anch’essa corredata da colore, giudizio e voto in centesimi. La app perfeziona Nutriscore su cui è fondato il 60% del voto, integrato dalla presenza di additivi (30%) e dalla dimensione biologica (10%). Un prodotto equilibrato dal punto di vista nutrizionale e privo di additivi ma non bio, per esempio, potrà raggiungere al massimo un punteggio di 90 su 100.

La sociologia della quantificazione tra gli scaffali del supermercato

Il voto di questi servizi, quindi, è esclusivamente un flash sulle proprietà nutrizionali e sull’impatto sulla salute di 100 grammi di prodotto, mai un giudizio sulla qualità del cibo, sul suo sapore, sulla sua storia o sui suoi significati culturali. Il problema è che lo diventa. La preoccupazione dei politici italiani, infatti, non è infondata: la quantificazione agisce come trappola cognitiva. Tra gli scaffali del supermercato, il consumatore ha poco tempo ed è sommerso dagli stimoli, in questa condizione non ottimale gli si chiede di “fare la cosa giusta”, pensando ai suoi desideri ma anche al risparmio, all’ambiente, alla salute. Il dato nutrizionale-sanitario arriva come una bussola nella tempesta e, in mare aperto, impone una visione specifica, per quanto benemerita, su tutte le altre, dal gusto alla convivialità, che il cibo sa tramettere ma non trasformare in cifra.

Gli studi sulla sociologia della quantificazione di Wendy Espeland[1] aiutano nella comprensione: i numeri attivano un’autorità culturale. Integrano procedure complesse in un’astrazione che trasuda obiettività nonostante sia costruita sul punto di vista del misuratore e anche sui suoi bug: nel caso in esame, ad esempio, la taratura dei valori nutrizionali su 100 grammi di prodotto offre una visione potenzialmente distorta degli effetti dannosi di cibi consumati con scarsa frequenza o a piccole dosi[2]. Il problema è che “sembrare” razionali ha la stessa forza espressiva che “essere” razionali perché i numeri sono immediatamente associati alla virtù di un pensiero ordinato e privo di cedimenti emotivi. E meno si è competenti, più l’autorità cresce perché i numeri offrono, secondo la sociologa statunitense, una peculiare forma di populismo: illudono di colmare le distanze tra esperti e non esperti.

Conclusioni

Le valutazioni inoltre non sono innocue, cambiano il mondo: ogni classifica setta uno standard che si fa norma da seguire attraverso la modifica dei comportamenti dei non eccellenti. Lo stesso può accadere con Nutriscore o Yuka: i servizi trasformano la valutazione sugli aspetti sanitari del cibo in un indice con effetti collaterali prevedibili: creazione di un confine artificiale tra buoni e cattivi ben oltre le intenzioni di salute pubblica dei programmatori; narrazione celebrativa di chi è ben valutato e condanna etica per tutti gli altri; pressione sui produttori per adattarsi alle metriche cambiando le ricette al solo fine di aumentare i punteggi (la “retroazione degli indicatori” di cui parla Derosières[3]), dinamica che spesso sfocia nel cheating. Sono meccanismi noti a tutti coloro che lavorano in ambiti interessati dai ranking e che possono riprodursi senza sorprese nelle scelte alimentari.

La datificazione è qui per restare e dilatare la quantificazione in tutti gli ambiti di vita attraverso classifiche, comparazioni, ranking, rating. Di fronte, due strade: o rifugiarsi nella narrazione consolatoria dei complotti o affiancare alla necessaria educazione alimentare magari un’educazione digitale che attrezzi l’opinione pubblica a non idolatrare il dato ma a destrutturarlo criticamente per prendere coscienza del percorso che lo ha costruito con le sue parzialità, i pregiudizi e le scelte mirate del misuratore.

Note

  1. Si vedano, tra gli altri, Espeland W., Stevens M., “A Sociology of Quantification”, European Journal of Sociology / Archives Européennes De Sociologie, 49(3), 401-436; Espeland W., Sauder M., Engines of Anxiety. Academic Rankings, Reputation and Accountability, Russell, New York, 2016.
  2. Questo è il principale oggetto di contestazione che ha spinto i Ministeri della Salute, dello Sviluppo Economico e dell’Agricoltura a sponsorizzare un sistema di etichettatura digitale alternativo, il Nutrinform Battery, meno immediato ma graduato sulle porzioni giornaliere consigliate dalla Società Italiana Nutrizione Umana.
  3. Desrosière A., “Buono o cattivo. Il ruolo del numero nel governo della città neoliberale”, Rassegna Italiana di Sociologia, LII,3, 2011

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