Crisi idrica

Gestione della crisi idrica: progetti e nuove tecnologie in campo

Il deficit di precipitazioni, l’aumento di emissioni di gas serra, la persistenza di elevate temperature, che a sua volta provoca l’incremento dell’evaporazione dagli specchi d’acqua, l’impatto antropico incontrollato che causa la deforestazione, hanno ridotto la disponibilità di acqua. Ecco come correre ai ripari

Pubblicato il 08 Mag 2023

Egle Conisti

Ricercatrice presso il CNR IIA - Istituto sull’Inquinamento Atmosferico del CNR

I cambiamenti climatici accelerano: per Ipcc adattarsi è urgente

La crisi idrica dimostra quanto l’acqua sia un bene a rischio. Dal 22 al 24 marzo 2023 a New-York si è tenuta la Conferenza ONU sull’acqua, per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla crisi idrica globale. L’obiettivo è quello di decidere un’azione concertata per raggiungere gli obiettivi e i traguardi concordati a livello internazionale in materia di acqua.

La criticità della scarsità dell’acqua è un problema di portata mondiale. Ecco come gestire la risorsa idrica e quali sono le risorse in campo per affrontare la crisi idrica.

UN Water Conference 2023 #shorts

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Allarme siccità e rischio desertificazione

A differenza dell’aridità – termine con il quale si indica una condizione climatica naturale permanente in cui la scarsa quantità di precipitazioni annue, associata a elevate temperature, non fornisce al terreno il necessario grado di umidità da promuovere lo sviluppo della vita – la siccità è una condizione meteorologica naturale temporanea in cui si manifesta una sensibile riduzione delle precipitazioni rispetto alle condizioni medie climatiche del luogo in esame.

Sono ormai secoli che a livello globale l’uomo si ritrova a combattere con il problema della siccità e della crisi idrica. Secondo il Gruppo intergovernativo di esperti ONU sul cambiamento climatico (IPCC), l’aumento della temperatura in atto sarà accompagnato da grandi cambiamenti nel ciclo dell’acqua in tutto il Pianeta. Aree umide diventeranno molto più umide, mentre aree aride saranno soggette a siccità più intense e per periodi più lunghi.

Dal 22 al 24 marzo 2023 a New-York si è tenuta la Conferenza ONU sull’acqua. L’obiettivo è stato quello di sensibilizzare l’opinione pubblica sulla crisi idrica globale e di decidere un’azione concertata per raggiungere gli obiettivi e i traguardi concordati a livello internazionale in materia di acqua.

Il problema della mancanza dell’acqua è un problema di portata mondiale. Secondo i ricercatori, circa il 10% della popolazione mondiale vive in paesi con stress idrico o problemi significativi nell’accesso all’acqua.

In Asia, circa l’80% delle persone vive in queste condizioni, in particolare nel nord-est della Cina, in India e in Pakistan. In riferimento a questi luoghi, infatti, essendo il ghiaccio spesso una delle uniche fonti di acqua dolce nelle regioni di alta quota, alcuni studi hanno mostrato come la fusione dei ghiacciai dell’Himalaya e del Karakorum abbia impatti catastrofici sulle riserve di acqua potabile di oltre un miliardo di persone che lì vivono.

Il fenomeno della siccità infatti porta conseguenze disastrose specialmente nelle zone del mondo più deboli e vulnerabili dove la popolazione rischia di andare incontro a carestie, malattie e guerre civili.

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World water assesment programme

Secondo il World water assesment programme, globalmente circa l’80% di tutte le acque reflue industriali e municipali viene rilasciato nell’ambiente senza alcun trattamento preventivo, con effetti dannosi sulla salute umana e sugli ecosistemi.

Questo rapporto è molto più alto nei paesi meno sviluppati, dove le strutture igienico-sanitarie sono spesso inesistenti. Ogni anno si stima che circa 829 mila persone muoiano di diarrea a causa di acqua non potabile e servizi igienico-sanitari non sicuri. Inoltre la richiesta e l’utilizzo di acqua potabile continuano a crescere dell’1% l’anno, dal 1980.

Crisi idrica: -20% di disponibilità di acqua nel 1991–2020

Il deficit di precipitazioni, l’aumento di emissioni di gas serra dovuto all’uso dei combustibili fossili, quindi la persistenza di elevate temperature, che a sua volta provoca l’incremento dell’evaporazione dagli specchi d’acqua, l’impatto antropico incontrollato che è causa di fenomeni come la deforestazione, hanno di fatto ridotto la disponibilità di questa risorsa vitale per il sostentamento degli ecosistemi e dei servizi che le risorse idriche erogano (civile, agricolo, industriale).

In questi ultimi due anni anche zone che non conoscevano la siccità stanno affrontando nuovi problemi. In Europa, si pensi alla Francia, alla Gran Bretagna e al Nord Italia.

Dobbiamo fare i conti con una drastica riduzione di disponibilità idrica registrata negli ultimi trent’anni, rispetto al precedente periodo.

Diversi studi hanno già da tempo evidenziato un aumento statisticamente significativo della percentuale del territorio italiano soggetto a condizioni di siccità estrema su scala temporale annuale. Nell’ultimo intervallo climatologico 1991–2020 infatti, con un valore che ammonta a più di 440 mm, la disponibilità di acqua risulta diminuita del 20% rispetto al valore di riferimento storico di 550 millimetri (ISPRA 2022).

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Il caso Italia

I dati sulla disponibilità di acqua infatti attestano come l’Italia stia attraversando la più grande siccità della propria storia. Il 2022 è stato l’annus horribilis della crisi9 idrica, con precipitazioni in diminuzione ma anche temperature di 2,7 gradi sopra la media.

Attualmente oltre il 28% del territorio italiano è a rischio desertificazione: senza un pronto intervento la disponibilità di acqua potrebbe crollare del 40% entro il 2080.

C’è un significativo e generale decremento del volume annuale che defluisce a mare dai nostri principali fiumi (Po, Adige, Arno, Tevere), caratterizzato da riduzioni pari al 15% per il Tevere e di oltre l’11% per il Po nel periodo 2001-2019 rispetto al precedente periodo 1971-2000. Questo a fronte di un consumo che continua ad aumentare: nel 2022 sono stati utilizzati 9 miliardi di metri cubi di acqua (il 29% in più del Regno Unito) e il consumo pro capite si è attestato a 152 metri cubi.

Secondo L’ANBI (Associazione Nazionale Consorzi di gestione e tutela del territorio e acque irrigue) la Sicilia è sul podio per percentuale di territorio a rischio di desertificazione col 70%, seguono il Molise con il 58%, la Puglia (57%), la Basilicata (55%).

Tra il 30% e il 50% troviamo: Sardegna, Marche, Emilia-Romagna, Umbria, Abruzzo e Campania; tra il 10% ed il 25%: Calabria, Toscana, Friuli-Venezia Giulia, Lazio, Lombardia, Veneto e Piemonte.

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Progetti e nuove tecnologie per affrontare la crisi idrica

L’acqua potabile svolge un ruolo fondamentale per la produzione alimentare, per la salute dell’essere umano e nella conservazione del mondo naturale. Numerose imprese e startup innovative hanno sviluppato diversi progetti che si ripromettono di trovare soluzioni in grado di migliorare la gestione di acqua dolce e aumentarne la disponibilità. Ecco come si affronta la crisi idrica.

La cattura dell’umidità dall’aria

La startup kenyota Majik Water Technologies cattura l’umidità dall’aria e la trasforma in acqua potabile per le aree particolarmente colpite da emergenze idriche e siccità mediante ventilatori industriali, condensazione in acqua mediante gas refrigerante, filtrazione per evitare la proliferazione di eventuali batteri e, infine, mineralizzazione dell’acqua per fornire tutti i
nutrienti essenziali. Attualmente i sistemi di Majik Water Technologies producono oltre 200 mila litri di acqua per oltre 1.900 persone.

I dissalatori contro la crisi idrica

Quella che però ad oggi sembra sempre più una soluzione concreta e realistica per soddisfare almeno parte della sete di acqua dolce dell’umanità è quella dei dissalatori. Ovvero desalinizzare acqua di mare o acque variamente salmastre e renderla disponibile per le attività umane.

Ci sono forti interessi (non solamente sociali e umanitari) a ottimizzare le tecnologie di desalinizzazione e ad abbatterne i costi per l’utilizzo su grande scala. I circa 16.000 impianti di dissalazione disseminati per il mondo sono infatti per la maggior parte concentrati in Medio Oriente e in nord Africa, in contesti economicamente sviluppati e ricchi.

Il paese leader nella dissalazione in Europa è la Spagna (68% degli impianti) dove risultano installati più di 700 impianti. In Italia la legge Salvamare del 2022 che, tra le altre cose, detta i criteri generali per la disciplina degli impianti, consente la desalinizzazione dell’acqua marina solo in circostanze eccezionali (art. 12).

Soprattutto i costi ancora elevati frenano lo sviluppo di nuovi impianti: la spesa energetica, infatti, incide quasi del 40% sul costo complessivo di un metro cubo di acqua. L’azienda canadese Oneka Technologies ha sviluppato un processo che trasforma l’acqua di mare in acqua potabile usando energia rinnovabile prodotta dal moto delle onde.

Il dispositivo Wave-Powered Watermaker assomiglia ad una zattera che può essere assemblata e installata facilmente nella maggior parte delle condizioni oceaniche. Ha il potenziale di produrre fino a 7 mila litri di acqua pulita a settimana.

Le tre tipologie di impianto

Le tecniche di dissalazione degli attuali impianti fanno capo principalmente a tre tipologie di impianto:

  • dissalazione evaporativa;
  • a osmosi inversa o per permeazione, dominante nel mercato globale (90%);
  • dissalazione per scambio ionico.

C’è da tenere conto però dell’altra faccia della medaglia: per ogni litro di acqua desalinizzata c’è un residuo di 1,5 litri di salamoia – a concentrazione variabile, in funzione della salinità dell’acqua di partenza.

Insomma, a livello globale, a fronte dei 95 milioni di metri cubi di acqua dolce prodotti al giorno, gli impianti di desalinizzazione producono anche 142 milioni di metri cubi di salamoia iperalina.

In un anno la salamoia prodotta sarebbe sufficiente a coprire centinaia di chilometri sotto 30 centimetri di melma caustica. Gli impianti del Medio Oriente che utilizzano le tecnologie di dissalazione termica/ evaporativa producono mediamente da due a quattro volte più salamoia per metro cubo di acqua pulita rispetto agli impianti che utilizzano il metodo della distillazione a membrana per la desalinizzazione di acqua di fiume, più diffusi in Europa e negli Stati uniti.

Bisognerebbe considerare questo scarto di produzione ricco di anti-incrostanti, metalli e cloruri vari, alla stregua di altre scorie industriali pericolose, destinandolo a processi di smaltimento ad hoc.

La corretta gestione di questo materiale è costosa e, al momento, può
rappresentare fino al 33% dei costi operativi dell’impianto. Così accade ciò che purtroppo si vede anche in altri ambiti: lo smaltimento illegale del rifiuto.

La maggior parte della salamoia, infatti, finisce direttamente negli oceani, nelle acque superficiali, negli impianti di smaltimento delle acque reflue attraverso le fognature o, più raramente, in pozzi profondi.

Criticità e riuso

Com’è facile intuire, e come diversi autori hanno sottolineato, la salamoia smaltita in mare altera la salinità dell’acqua in prossimità delle coste (a partire cioè da dove vengono riversate) e compromette l’ambiente marino.

L’elevata salinità produce una riduzione nel livello di ossigeno in acqua, e questo impatta notevolmente sugli habitat degli organismi bentonici, con effetti ecologici osservabili lungo tutta la catena alimentare.

Una soluzione potrebbe sicuramente consistere nell’identificare le possibili opportunità economiche per la salamoia. Potrebbe essere usata per irrigare specie tolleranti al sale, per esempio, e in acquacoltura; dalla melma si potrebbero inoltre recuperare sali, metalli e altri elementi in percentuali significative, come per esempio magnesio, gesso, cloruro di sodio, di calcio, di potassio, di bromo, di litio.

Dove è stata utilizzata per l’acquacoltura infatti si è avuto un aumento della biomassa del 300% ed è anche stata utilizzata con successo per la coltivazione dell’alga spirulina e per irrigare arbusti da foraggio e altre colture.

Alcune delle tecnologie chiamate in causa per questi processi di riuso ed End of Waste finalizzate all’implementazione dei processi di circolarità, sono però ancora immature e richiedono passi in avanti affinché diventino economicamente competitive. Cosa che sembra essere esclusivamente una questione di obiettivi e di investimenti.

Crisi idrica: maggiore consumo sostenibile

Il piano d’azione per una nuova economia circolare è un modello di produzione e consumo. Implica condivisione, prestito, riutilizzo, riparazione, ricondizionamento e riciclo dei materiali e prodotti esistenti il più a lungo possibile.

In questo modo si estende il ciclo di vita di un prodotto, contribuendo a ridurre i rifiuti al minimo. Una volta che il prodotto ha terminato la sua funzione, i materiali di cui è composto vengono infatti reintrodotti, laddove possibile con il riciclo.

Un altro aspetto quindi sul cui si deve puntare è la conservazione e il riuso. Esistono diversi Paesi ad oggi dove il recupero di acque dolci deriva dalla lavorazione delle acque reflue. Questi trattamenti sono tecnologicamente molto avanzati. Percentuali non piccole della popolazione già le usano per tutti gli impieghi domestici, compreso quello potabile.

La conservazione e il riuso: le acque reflue

Negli ultimi anni, diverse città hanno iniziato a riutilizzare l’acqua proveniente dagli impianti di depurazione. Talvolta è l’unica opzione disponibile per contrastare la crisi idrica. Le acque reflue contengono molti elementi inquinanti: dai metalli pesanti all’ammonio e anioni quali solfati, fosfati e nitrati.

Oggi nei Paesi occidentali la maggior parte delle acque reflue viene lavorata affinché non sia pericolosa, e poi scaricata nel mare o nei fiumi. Ma basterebbe migliorare il processo per poterla riutilizzare anche come acqua potabile, per esempio inviandola a un secondo ed eventualmente a un terzo impianto di depurazione (dopo quello classico) affinché venga trattata con agenti biologici, fisici o chimici in grado di depurarla del tutto. Da lì potrebbe essere reimmessa nel sistema degli acquedotti, oppure scaricata nei mari, nei laghi e nei fiumi. Ma con un grado di purezza che la renderebbe indistinguibile da quella di sorgente, con evidenti vantaggi per l’ambiente, per la salute umana e soprattutto per i corsi di acqua dolce.

Ovunque occorre migliorare i sistemi, avvalendosi anche di metodi moderni e basati sul controllo da parte dell’intelligenza artificiale, per migliorare la qualità e contenere sprechi e rischi. Allo stesso tempo, la popolazione andrebbe sensibilizzata molto di più affinché riduca gli sprechi, e conosca i benefici ambientali dell’acqua riciclata.

Epic Cleantec

Per esempio, Epic Cleantec è un’azienda statunitense di tecnologia idrica specializzata nel riutilizzo di acque in abitazioni.

Nata come startup grazie ai fondi della Reinvent the Toilet Challenge della Bill and Melinda Gates Foundation, un programma lanciato nel 2012 per trovare nuove soluzioni di depurazione delle acque di scarico, Epic Cleantec ha sviluppato OneWater. Il sistema è in grado di riciclare in modo sicuro fino al 95% delle acque reflue di un edificio.

L’acqua riciclata può essere riutilizzata direttamente in loco per applicazioni non potabili come torri di raffreddamento, sciacquoni, orinatoi, irrigazione o lavaggio di indumenti. Anche dal punto di visto energetico il sistema presenta il vantaggio di recuperare energia dal calore delle acque reflue che può essere utilizzato come riscaldamento per la casa.

La startup italiana SIEve

In Italia, SIEve, una giovane startup innovativa, ha l’obiettivo di
sviluppare un filtro in grado di rimuovere specie anioniche, cationiche, ridurre drasticamente la carica microbiologica e degradare alcune classi di farmaci dalle acque reflue.

Il trattamento è pensato per essere circolare dato che si utilizzerà un materiale sintetizzato proveniente da fango rosso, un rifiuto generato dalla produzione industriale dell’alluminio che attualmente viene stoccato in depositi a cielo aperto. SIEve, fondata dai fratelli Yuri e Jess Serra, in poco meno di un anno di studi, ha sviluppato un prototipo di filtro in grado di rimuovere l’ammonio.

bNovate Technologies

Quando l’obiettivo è quello di sviluppare strumenti affidabili e semplici da usare per monitorare rapidamente la qualità microbiologica dell’acqua e che possano funzionare anche al di fuori di un laboratorio, bNovate Technologies, un’impresa svizzera con sede a Losanna, sviluppa tecnologie all’avanguardia.

Nel 2017 bNovate ha lanciato BactoSense, il primo analizzatore batterico completamente automatizzato, in grado di rilevare e quantificare la quantità totale di batteri presenti nell’acqua in soli 20 minuti, sostituendo il tradizionale metodo della conta eterotrofica in piastra, i cui risultati sono disponibili solo pochi giorni dopo la distribuzione e il consumo dell’acqua. Con questo monitoraggio in tempo reale è più facile garantire la sicurezza idrica.

Attenzione allo spreco e innovazione per contrastare la crisi idrica

Altro aspetto fondamentale nella lotta alla desertificazione, all’interno della grande tendenza della sostenibilità, è la riduzione dei consumi d’acqua.

Per raggiungere questo obiettivo, l’innovazione tecnologica arriva nuovamente in soccorso. Per esempio Washout, una startup di Car Care a domicilio per privati e business fondata nel 2016 e acquisita nel 2020 da Telepass, permette di risparmiare fino a 160 litri d’acqua per ogni lavaggio.

Nel 2021 il risparmio complessivo è stato di circa 26 milioni di litri d’acqua. Presente in sei città italiane (Bologna, Firenze, Milano, Monza, Roma e Torino), da gennaio 2022 ha cominciato il suo percorso di internazionalizzazione.

La sostenibilità del modello non riguarda solo l’eliminazione dell’acqua. Nelle città dove opera Washout si è riscontrata una riduzione delle emissioni di CO2 di 6.800 kg che equivalgono a 45.000 km di spostamenti casa/lavoro-autolavaggio.

Lo spreco di acqua in casa

Per quanto riguarda lo spreco di acqua in casa, la startup britannica Ondo si avvale di un sistema LeakBot (B2B InsurTech). Collegato alle tubature di casa, emette notifiche in caso di guasti e perdite.

I device LeakBot sono dispositivi intelligenti, ideati nell’ambito di un innovation lab nel 2016, in grado di rilevare tempestivamente la presenza di perdite d’acqua tramite la misurazione della temperatura dell’acqua e dell’aria.

Non appena viene individuato un problema, i sistemi inviano una notifica sullo smartphone dell’utente. In caso di perdite gravi, LeakBot fornisce anche assistenza tramite una rete di idraulici e professionisti. È stato stimato che il 40% dell’acqua in Italia non arriva al rubinetto per le perdite massive durante il tragitto lungo le tubature.

Altered

Altered, invece, startup svedese fondata nel 2016, ha sviluppato un filtro rompigetto, adattabile alla doccia e a tutta la rubinetteria della casa, che riduce fino al 98% il consumo di acqua.

La startup The Circle

Nel campo dell’agricoltura sostenibile invece c’è da menzionare The Circle. Fondata a Roma nel 2016, la startup ha realizzato un impianto di acquaponica di 5.000 metri quadrati, il più grande d’Europa. L’impianto è un connubio simbiotico tra allevamento ittico e agricoltura che permette di risparmiare il 90% di acqua rispetto all’agricoltura tradizionale: gli ortaggi che vengono coltivati fuori suolo e l’acquacoltura beneficiano in un circolo chiuso l’una dagli scarti dell’altra.

The Circle quindi non produce nessun rifiuto e nessuna emissione e prevede una produzione per ettaro doppia rispetto alla norma, un risparmio annuale di emissioni di CO2 di 33.000 kg e un risparmio di 135 litri d’acqua per kg di prodotto.

Non utilizza diserbanti, fertilizzanti di sintesi e antiparassitari e aumenta la velocità di crescita delle piante coltivate.

Le altre startup contro la crisi idrica

Anche la startup SmartIslad, fondata in Sicilia nel 2014, ha sviluppato diverse tecnologie per la sostenibilità idrica. Daiki, per esempio, è in grado di monitorare il fabbisogno idrico e climatico delle piante fin dal momento di piantazione.

Con la Data Analysis, invece, permette di rilevare informazioni sullo stato di coltivazione della pianta. Agrow Analytics, fondata a Malaga nel 2021, ha sviluppato una piattaforma online che consente di risparmiare fino al 30% d’acqua nel settore agricolo monitorando il terreno e pianificando l’irrigazione distinguendo quali terreni necessitano di acqua e quali invece sono ancora abbastanza umidi e quindi troverebbero l’irrigazione precoce dannosa.

Orygini

Innovativa e molto giovane (fondata nel 2022 e presentata a Palazzo Biscari a Catania), Orygini sfrutta il mare per la propria sperimentazione vinicola.

In collaborazione con le cantine vinicole Benanti e Passopisciaro, saranno svolte analisi di affinamento sottomarino su più di 2000 bottiglie poste ad una profondità di 50 metri sotto il livello del mare, in parallelo all’analisi di altri vini soggetti a invecchiamento tradizionale.

Il risparmio energetico è uno dei punti chiave del progetto. Non è necessario regolare la temperatura e l’umidità con climatizzatori, né creare cantine isolate termicamente perché l’ambiente è naturalmente refrigerato. Si stima che verranno risparmiati 68 chilogrammi di CO2 ogni 1.000 bottiglie immerse. Un sistema di blockchain monitorerà la vita di ciascuna bottiglia.

La startup PROiNOS

Sempre nell’ambito della produzione di vino, PROiNOS, startup veneta fondata nel 2017, ha l’obiettivo di risparmiare acqua per annaffiare le vigne tramite sensori collocati sui vigneti che emettono un segnale quando necessitano di irrigazione.

La Cantina Sociale di Orsago ha promosso il progetto, che ha raccolto un numero sempre maggiore di aziende. L’articolazione tecnica del progetto prevede quattro fasi (difesa dalle attività, fertilizzazione, irrigazione e certificazione) che mirano a ridurre l’impatto generato dalla coltivazione della vite sull’acqua sia dal punto di vista qualitativo (inquinamento da nutrienti e antiparassitari) sia da quello quantitativo (scarsa efficienza d’uso della risorsa), anche nella prospettiva degli effetti indotti dai cambiamenti climatici.

La necessità di una guida operativa per l’ambiente

Il rapporto delle Nazioni Unite sullo sviluppo idrico mondiale, pubblicato alla vigilia della dell’ultima conferenza, afferma che il 26% della popolazione mondiale – 2 miliardi di persone – non dispone di acqua e il 46% – 3,6 miliardi di persone – non ha accesso ai servizi igienici di base.

La ricerca delle Nazioni Unite mostra anche che quasi la metà della popolazione mondiale soffrirà di un grave stress idrico entro il 2030.

Nell’Unione Europea, in risposta al preoccupante scenario ambientale e di crisi idrica che si delinea davanti ai nostri occhi, si inserisce, all’interno del programma Next Generation EU (NGEU), il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), un pacchetto da 750 miliardi di euro, concordato in risposta alla crisi pandemica.

Il Piano si sviluppa intorno a tre assi strategici condivisi a livello europeo: digitalizzazione e innovazione, transizione ecologica, inclusione sociale. La principale componente del programma NGEU è il dispositivo per la Ripresa e Resilienza (Recovery and Resilience Facility, RRF), che ha una durata di sei anni, dal 2021 al 2026 e prevede che nessuna misura finanziata dai PNRR nazionali comporti un danno significativo all’ambiente (Regolamento UE 241/2021, art. 18).

Il principio di DNHS (Do Not Significant Harm) prevede diversi àmbiti di valutazione:

  • la mitigazione dei cambiamenti climatici;
  • l’uso sostenibile o la protezione delle risorse idriche e marine;
  • l’economia circolare, inclusa la prevenzione, il riutilizzo ed il riciclaggio dei rifiuti;
  • la prevenzione e riduzione dell’inquinamento;
  • la protezione e il ripristino di biodiversità e degli ecosistemi.

Conclusioni

Resilienza, dunque, non implica un ritorno ad uno status quo o di equilibrio, ma un continuo adattarsi, apprendere e trasformarsi in modo da mantenere le funzioni necessarie a che il sistema continui a funzionare.

Un sistema resiliente non ‘guarda’ indietro, ma guarda avanti. Vuol dire potenziare le capacità di un sistema di anticipare, assorbire o recuperare uno shock e adattarsi a tali condizioni, per migliorare il sistema e renderlo più sicuro. Anche in uno scenario di crisi idrica. Ciò implica adottare principi di equità, correttezza e accessibilità alle risorse ed evitare di privilegiare un singolo individuo, gruppo, settore o istituzione.

Sostenibilità e resilienza devono lavorare in tandem in modo da permettere di elaborare politiche vincenti per la conservazione di risorse limitate. L’accoppiata impone che le politiche di sostenibilità debbano essere pensate e attuate in maniera adattiva, mitigando il rischio all’origine.

Abbiamo perciò bisogno di approcci che siano allo stesso tempo pragmatici e più politicamente inclusivi, gli impegni assunti dovranno essere tradotti in pratiche precise che permettano di muoverci sufficientemente bene sulle onde, invece di tentare di fermare l’oceano.

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