La pandemia ha accelerato i processi di innovazione e adozione delle nuove tecnologie in numerosi ambiti delle nostre vite, compreso il settore sanitario. La spesa italiana per la sanità digitale nel 2020 è aumentata del 5% rispetto al 2019 (1,5 miliardi di euro in totale, secondo quanto riporta l’Osservatorio Sanità Digitale del Politecnico di Milano) ed oggi è spesso impensabile una sanità in cui le interazioni tra utenti-pazienti e attori istituzionali non avvenga, almeno in parte, via canali digitali, sia nelle fasi di comunicazione e informazione che in quelle di prevenzione e cura.
PNRR missione “Salute”: così prende forma il futuro della nostra Sanità
Questi pur importanti passi avanti non sono tuttavia sufficienti a definire maturo il processo di digitalizzazione del sistema. Si osserva uno scarso utilizzo degli asset digitali, come il Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE), non ancora sufficientemente e omogeneamente diffuso nei diversi Sistemi Sanitari Regionali. Consultando il cruscotto di monitoraggio dell’Agenzia per l’Italia Digitale si nota, infatti, che solo in Emilia-Romagna, Lazio, Lombardia, Veneto e Toscana più del 30% dei cittadini ha utilizzato il fascicolo negli ultimi tre mesi mentre i dati riguardanti l’utilizzo da parte dei medici sono più incoraggianti e rivelano un utilizzo decisamente più esteso da parte dei professionisti. Tuttavia, il 60% dei medici specialisti e medici di medicina generale ha competenze digitali di base ma il dato si riduce quando si valutano le skill avanzate, come riporta l’Osservatorio.
Rinnovare i servizi cogliendo le opportunità del digitale
Ragionando sulle opportunità di riprogrammazione e ripensamento di servizi e processi, la digitalizzazione può essere vettore di tre processi decisivi:
- raccolta, analisi e impiego strategico dei dati;
- service redesign e re-ingegnerizzazione dei processi;
- coordinamento della rete dei professionisti e degli stakeholder.
Attualmente i dati clinici risultano frammentati e con semantiche non uniformi, sia all’interno delle singole aziende sanitarie che a livello nazionale, il che rende difficile la ricerca e la pratica clinica. La promozione di una raccolta e analisi di dati più omogenea e sistematica può costituire il prerequisito per un utilizzo strategico degli stessi a supporto delle decisioni clinico-organizzative.
Il digitale come attivatore ed amplificatore delle prestazioni sanitarie
Per migliorare il rapporto tra cliente-paziente e la struttura sanitaria di riferimento, diventa fondamentale utilizzare la tecnologia digitale come attivatore ed amplificatore delle prestazioni sanitarie. In particolare, l’utilizzo delle tecnologie digitali e delle piattaforme virtuali può favorire una continua raccolta di dati e informazioni sui pazienti, che possono essere facilmente accessibili e utilizzati da tutti gli stakeholder coinvolti nel sistema.
In questo senso il digitale diventa enabler, ovvero “attivatore” ed evidenzia l’importanza di utilizzare le tecnologie digitali per raccogliere dati in tempo reale sui pazienti. La dimensione di enhancer, invece, fa riferimento alla potenzialità del digitale di ampliare la creazione di valore per l’utente proprio grazie alla mole di dati disponibili. In questo modo, è possibile tracciare i percorsi degli utenti all’interno del sistema e associare ad ogni accesso i contatti di follow-up e gli esiti finali. Si tratta quindi di uno strumento di Population Health Management, che, se applicato a livello di sistema, può avere un impatto significativo sulla salute pubblica e sulla qualità delle prestazioni sanitarie.
I bisogni emergenti e la scarsità di personale
Per quanto riguarda il secondo punto, i bisogni emergenti e la scarsità di personale (specialmente infermieristico) rendono imprescindibile ideare soluzioni innovative che permettano di modificare profondamente i processi di back-office, imponendo riflessioni sulla programmazione delle attività, allocazione di tempi e spazi, e di front-office, incentivando la personalizzazione delle cure e il miglioramento della patient experience. Gli strumenti digitali favoriscono anche il coinvolgimento del singolo paziente nella gestione della propria terapia, attraverso i dispositivi di monitoraggio, e la sua responsabilizzazione rispetto ai risultati delle cure, all’aderenza terapeutica e all’adozione di un corretto stile di vita.
Il coordinamento della rete dei professionisti
Infine, con riferimento al coordinamento della rete dei professionisti, nuovi servizi digitali richiedono attenzione nella progettazione di ruoli, interazioni e flussi di dati che attraversano e collegano setting e servizi. D’altro canto, la configurazione di team multidisciplinari aiuta a sintetizzare gli interessi e le prospettive delle diverse categorie di professionisti e degli utenti fruitori dei servizi. Più in generale, il coordinamento tra i vari setting (in primis e genericamente tra ospedale e territorio, ma anche tra le diverse unità organizzative) abilitato dalla digitalizzazione è condizione imprescindibile di efficacia ed efficienza del sistema.
Opportunità del PNRR e nuove frontiere di innovazione
Il PNRR rappresenta un’importante opportunità per la digitalizzazione del SSN e per la costruzione della sanità del futuro, per solidificare quanto costruito fino ad ora e imprimere un maggiore slancio nel sistema, ma ci sono ancora diverse sfide da affrontare, tra cui lo sviluppo di competenze digitali nei professionisti sanitari e nei cittadini, una migliore governance delle iniziative digitali e una più diffusa collaborazione tra i vari attori del sistema sanitario.
Nello scenario attuale occorre un indirizzo chiaro verso un maggiore, più integrato e migliore utilizzo dei dati in sanità, una presenza maggiore ma ponderata delle iniziative di telemedicina, una maggiore attenzione alle opportunità derivanti dall’Internet of Things (IoT) e dall’utilizzo di app e dispositivi personali, un approccio attento e consapevole alle tecnologie di Intelligenza Artificiale (AI), non dimenticando la sicurezza del sistema e la sua equità.
Il Fascicolo Sanitario Elettronico dopo il PNRR
Il FSE, ovvero la raccolta di dati e documenti digitali di tipo sanitario derivanti dalle interazioni con il sistema sanitario è un archivio digitale che persegue l’obiettivo di costituire una base informativa sulla storia di salute dell’utente-paziente. Ha anche altri due obiettivi dichiarati, più difficili da raggiungere, ovvero agevolare l’assistenza al paziente e offrire un servizio che può facilitare l’integrazione delle diverse competenze professionali. Il FSE è destinato, dopo il PNRR, a diventare non soltanto un repository di documenti digitalizzati, quanto piuttosto uno strumento dinamico di raccolta di dati strutturati, che possano essere più dinamicamente utilizzati, a beneficio informativo del paziente e come strumento di integrazione delle attività dei professionisti. Si dovrebbe, in sostanza, poter visualizzare non solo e non tanto i “pdf” delle proprie analisi, ma i valori registrati per un dato parametro, potenzialmente confrontandoli con quelli passati in maniera agevole e immediata.
FSE e telemedicina “cuore” della nuova sanità comunitaria: come farla davvero
Questi obiettivi sono coerenti con quanto contenuto nella componente “Innovazione, ricerca e digitalizzazione del servizio sanitario nazionale” della Missione Salute, prevede un investimento finalizzato al rafforzamento dell’infrastruttura tecnologica e degli strumenti per la raccolta, l’elaborazione e l’analisi dei dati e prevede l’impiego di risorse pari a 1,67 miliardi di euro. Obiettivi centrali dell’intervento sono infatti relativi al potenziamento del FSE e del Nuovo Sistema Informativo Sanitario (NSIS). Ciò consentirà di monitorare i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) e di programmare i servizi sanitari in modo più efficace. Per uniformare la raccolta dei dati dei pazienti, i medici generici saranno coinvolti in questo processo e le cartelle cliniche verranno aggiornate continuamente.
I pazienti hanno già sperimentato, durante la pandemia, numerose esperienze di assistenza a distanza. Tra queste si possono annoverare, la televisita (visita sincrona effettuata a distanza, per esempio inviando al domicilio del paziente un infermiere mentre lo specialista partecipa collegato da remoto), il teleconsulto (confronto fra professionisti senza la presenza del paziente e senza la contemporanea presenza degli specialisti), la teleassistenza (supporto a domicilio di persone non pienamente autosufficienti, con sistemi di alert, sostengo, ecc.).
L’IoT, attraverso la connessione in rete di oggetti fisici, porta con sé la potenzialità di raccogliere dati direttamente dal paziente. Occorre distinguere i dispositivi medici “ufficiali”, prescritti e che prevedono un telemonitoraggio ad hoc, e quelli raccolti tramite dispositivi personali, come orologi digitali o altri tracker. Il sistema sanitario dovrà essere in grado di “farsi piattaforma”, per sfruttare le interoperabilità dei dispositivi e dunque per raccogliere i dati e renderli disponibili nei processi di prevenzione, diagnosi, cura e ricerca. La vera sfida sarà infatti la fruibilità dei dati da parte degli attori del sistema, in maniera precisa e sintetica.
Il PNRR ha investito 1 miliardo di euro per la Piattaforma Nazionale di Telemedicina e i “progetti che consentano interazioni medico-paziente a distanza e le iniziative di ricerca ad hoc sulle tecnologie digitali in materia di sanità e assistenza”, sottolinea il Ministero della Salute, che nota anche possibili sinergie quando “i dati raccolti durante le prestazioni in telemedicina andranno sinergicamente a beneficio di altri investimenti del PNRR, come il Rafforzamento dell’infrastruttura tecnologica e degli strumenti per la raccolta, l’elaborazione, l’analisi dei dati e la simulazione”.
L’implementazione dell’intelligenza artificiale in ambito sanitario
Tra le prospettive più interessanti, al di là del PNRR, c’è ovviamente l’implementazione dell’intelligenza artificiale in ambito sanitario, specialmente nei campi del monitoraggio dei pazienti, nella diagnosi, nell’analisi genomica e nella robotica medica. Come abbiamo recentemente scritto nel Rapporto OASI con alcuni colleghi (Bobini, Boscolo, Buongiorno Sottoriva, Longo, Rotolo), le esperienze attualmente implementate in Italia non sono poche, in comparazione agli altri paesi europei, ma soltanto in pochi casi sono relative all’ambito clinico e in un numero ancora più ridotto sono parte integrante dei processi clinici. Elsevier nel 2021 ha rilevato che in Europa il 46% dei medici ritiene che tra soli 10 anni la maggior parte delle decisioni cliniche sarà basata su strumenti che utilizzano l’IA. È quindi evidente la necessità di manager capaci di comprenderne le potenzialità e i limiti, di studiarne le applicazioni potenziali, valutarne l’effettiva rispondenza alle necessità dei servizi, e renderle parte integrante degli stessi.
Il digitale colonna portante del ripensamento della medicina del territorio
Il piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) insieme al DM77, il decreto ministeriale che stabilisce Nuovi modelli e standard per lo sviluppo dell’assistenza territoriale nel SSN propongono una “matrice dell’innovazione”: investimenti per l’innovazione delle infrastrutture fisiche, da un lato, e ripensamento dei servizi, dei processi, delle competenze e dei ruoli professionali, dall’altro. Sulla prima variabile sono stati programmati investimenti significativi (costruzione di Case della Comunità e Ospedali di Comunità, sostituzione delle grandi apparecchiature e l’ammodernamento dell’infrastruttura tecnologica) mentre sulla seconda è stata posta minore enfasi a causa della difficoltà di valutazione ex-post degli interventi attraverso le metriche esistenti.
Nel contesto delle cure territoriali, che dovrà adattarsi agli standard stabiliti dal DM77, la presenza della tecnologia digitale non può essere solo un utile supplemento o un modo per migliorare marginalmente l’esperienza del paziente, ma rappresenta invece una leva strategica per promuovere l’integrazione tra ospedale e territorio e tra i vari setting di cure territoriali. Per questo motivo la digitalizzazione diventa elemento fondamentale per garantire organicità del sistema, riducendo le risorse dedicate al coordinamento e aumentando quelle dedicate alla cura del paziente, migliorando al contempo l’esperienza del paziente nell’utilizzo dei servizi a lui dedicati. Gli strumenti digitali diventano così un fattore abilitante per la trasformazione dei servizi, dei processi di erogazione e delle competenze.
Abbiamo di recente proposto un framework per la digitalizzazione delle cure territoriali che ricostruisce i macro-processi amministrativi, erogativi, di back e di front-office, inizialmente ideato nell’ambito del supporto a Regione Lombardia sull’implementazione del PNRR.
Tale framework prevede fasi che interessano gli aspetti gestionali e fasi per il paziente.
Il punto di partenza della prospettiva gestionale è il pooling della domanda (possibilmente sistematizzata in dei piani assistenziali individuali che racchiudano la sintesi e programmazione clinica) correlata con la programmazione della capacity erogativa. Fra lo step 5 (pooling) e lo step 6 (programmazione della capacity) vi è la necessità di definire le priorità assistenziali a causa dell’offerta insufficiente rispetto ai bisogni dei cittadini. Un’offerta strutturalmente insufficiente, bisogna sottolineare, visto il sottofinanziamento del SSN in termini di PIL rispetto ai principali paesi europei.
Il punto di vista del paziente si sostanzia in due fasi: l’accesso alle cure territoriali (spontaneo o guidato dal sistema) e la fase di assessment, erogazione e monitoraggio delle cure. La prima fase ha lo scopo di facilitare l’ingresso dei pazienti nel sistema di cure territoriali, mentre la seconda rappresenta la presa in carico dei pazienti cronici e fragili, che rimangono nel sistema per tutta la durata della loro vita dall’insorgenza del bisogno clinico assistenziale cronico.
È importante sottolineare che si tratta di accesso multicanale, che include siti web e relative piattaforme (nuovo FSE), il numero telefonico unico 116117, i canali email, i luoghi fisici (PUA nelle CdC) per poter raggiungere target diversi e con esigenze differenti. Per poter funzionare il sistema deve essere tuttavia interoperabile, coerente e organico, ovvero capace di garantire, nei diversi canali, risposte uguali in tempi simili.
I processi dal terzo al nono step sono il cuore del processo assistenziale che vede come punto di partenza del percorso verso il setting più appropriato che si perfeziona con la stesura di un piano assistenziale individuale (PAI) che sintetizza il suo bisogno di salute e le prestazioni sanitarie o socio-sanitarie che dovrà consumare. In questo senso il PAI, oltre a svolgere la funzione di sintesi clinica, deve anche sostituirsi alle normali ricette nella prescrizione e programmazione delle prestazioni.
La tappa successiva nella gestione del PAI riguarda il monitoraggio della compliance del paziente alla terapia prescritta, al controllo delle prestazioni effettuate e agli esiti clinici intermedi raggiunti. Tale fase, definita “case management” necessita strumenti di monitoraggio che permettano agli operatori sanitari di monitorare i pazienti prevalentemente da remoto, intervenendo in caso di alert di scostamento dal percorso auspicato.
Risulta a questo punto chiaro come l’infrastruttura digitale sia la colonna portante del ripensamento della medicina del territorio. Grazie al digitale si può fare integrazione in tre direzioni, ricomponendo i variegati bisogni (e relative prestazioni) del paziente, ricostruendo la relazione fra l’utente e un operatore di riferimento, riorganizzando le relazioni fra i professionisti dei diversi setting e delle diverse categorie professionali. Perciò alla base dei processi digitali devono esservi dati integrati provenienti dai sistemi di customer relation management (CRM) raccolti nei processi di accesso, le informazioni presenti nel FSE e nei PAI.
I rischi attuali del digitale in sanità
Uno dei rischi connaturati all’espansione dell’utilizzo del digitale in sanità è quello legato alla cybersecurity. Nel 2021, ad esempio, il Sistema Sanitario irlandese è stato vittima di un attacco ransomware che ha impedito l’accesso ai sistemi informativi a tutti gli operatori sanitari. In quell’occasione, è stato poi scoperto, l’attacco avrebbe potuto essere molto più esteso, date le fragilità scoperte nel frattempo nei sistemi. D’altronde la sanità è stato negli ultimi anni uno dei settori maggiormente colpiti da attacchi cyber, insieme al settore finanziario e alla pubblica amministrazione, in particolare di phishing e ransomware. L’Unione Europea ha da tempo identificato il settore sanitario come un’infrastruttura critica. In sostanza, l’UE ha riconosciuto che un’estesa interruzione dei servizi sanitari potrebbe generare effetti a cascata sull’intera società. Un sistema sanitario sempre più interconnesso, con attori differenti e molteplici punti di accesso, si espone certamente a rischi maggiori che devono essere bilanciati da investimenti sulla sicurezza delle infrastrutture e sulla prevenzione.
Un altro rischio riguarda gli effetti sull’equità sociale della maggiore digitalizzazione in sanità. Da un lato, l’introduzione di nuovi strumenti e servizi digitali a favore dei professionisti sanitari e delle strutture deve essere legata alla formazione dei lavoratori. Dall’altro, l’aspetto più critico è quello legato agli utenti-pazienti nell’interfacciarsi con servizi sempre più digitalizzati. Il rischio è che utenti che nella loro vita quotidiana non utilizzano internet e non fanno esperienza di servizi pubblici digitali (l’Italia è in entrambe le classifiche in posizioni medio-basse rispetto agli altri paesi europei) si trovino sempre più esclusi dalle opportunità offerte dal sistema. In fase di accesso, ad esempio, l’aggiunta di nuovi canali digitali per l’ingresso ai servizi (siti web, applicazioni, …) non può semplicemente sommarsi ai canali di accesso esistenti, siano essi digitali, analogici o fisici. Le istituzioni devono scegliere strategicamente a quali canali affidarsi e investire sul loro funzionamento, semplificando il numero di porte di accesso e rendendo più facile e immediato il reperimento di informazioni e il percorso dei pazienti. Occorre sempre tenere a mente che lo stato di salute e il livello di istruzione e reddito sono soggetti a una forte correlazione, dunque coloro che più avrebbero bisogno dei servizi sono anche coloro che si trovano in maggiore difficoltà di fronte a servizi che richiedono competenze maggiori da parte degli utenti.