Entro il 2027 il mondo del lavoro vivrà cambiamenti radicali nell’era dell’AI e di ChatGPT, dove le competenze più richieste dipenderanno dalle esigenze delle aziende. Secondo il rapporto (pdf) 2023 del World Economic Forum (Wef), serviranno più esperti di big data e intelligenza artificiale (AI). Più insegnanti e meno contabili o bancari.
“In questo momento storico il mercato del lavoro sta vivendo una ‘Great Disruption’, come viene definita nello studio BCG ‘Shifting skills, moving targets, remaking workforce'”, commenta Monia Martini, Executive Director delle People and HR Operations di Boston Consulting Group (BCG EMC):”Al centro di questo fenomeno di grande cambiamento ci sono le innovazioni portate da AI, cloud, cyber security e analytics, ma non solo”.
Le competenze che servono entro il 2027
Dal report sul futuro del lavoro del World Economic Forum emerge che l’AI e le nuove tecnologie avranno un impatto sull’occupazione: svaniranno 83 milioni di posti di lavoro, ma ne verranno creati 69 milioni. Nel complesso, sarà uno tsunami di enormi dimensioni, con un saldo negativo. Ma più per effetto del rallentamento economico che della disruption. Però le aziende devono aggiornare quanto prima le competenze dei propri dipendenti. Anche per trattenerli e reclutare nuovi talenti.
Istruzione e formazione continua delle competenze sono le carte da giocare, per farsi trovare pronti dalla rivoluzione in atto. “L’impatto della trasformazione tecnologica, soprattutto con la recente democratizzazione dell’AI“, sottolinea Monia Martini di Boston Consulting Group, “si estende infatti ben oltre i campi tecnici e arriva a toccare aree come la sanità, l’istruzione, il marketing e la finanza“. Le vere sfide da affrontare sono infatti istruzione e formazione. Infatti saranno sempre più gettonati data scientist, esperti di big data, ingegneri ambientali o educatori in un mondo dove imparare è la priorità per affrontare le sfide del cambiamento.
Lavoro, ecco le competenze tech da acquisire subito
Lo studio del World Economic Forum: sull’automazione bilancio positivo
L’indagine del WEF, dal titolo il “Futuro del Lavoro” (“The future of Jobs”), condotto intervistando 803 imprese internazionali in 27 settori, spiega innanzitutto che i posti di lavoro che andranno incontro a una drastica riduzione riguardano la contabilità, i lavori di segretaria o il mondo bancario, ma il saldo non sarà negativo per i lavoratori umani nell’era di AI e automazione.
“La concezione stessa di ‘tech job’ è cambiata e i leader delle organizzazioni”, mette in evidenza Monia Martini di BCG EMC, “così come i dipartimenti HR e chi si occupa di formazione aziendale, sono chiamati a cambiare a loro volta il modo in cui cercano, attraggono e curano i propri talenti”.
Le aziende prevedono una trasformazione copernicana, in cui il 23% dei posti di lavoro dovrà cambiare. Secondo il report del WEF, su 673 milioni di impieghi, 69 milioni saranno creati e 83 milioni cancellati. Sui 14 milioni, pari al 2%, di posti in meno pesa soprattutto l’incognita del rallentamento economico globale, più che l’impatto di ChatGPT, almeno entro il 2027.
Intelligenza artificiale, quali lavori si salveranno e come?
IBM dice che rallenterà le assunzioni, per migliaia di lavoratori, in ambiti back office come contabilità, risorse umane, perché l’intelligenza artificiale potrà svolgere queste funzioni.
Una notizia che infiamma un timore antico. Che la tecnologia, ora l’IA, possa distruggere più lavori di quanti ne crea o possa comunque avere un ruolo negativo su salari e forza contrattuale dei lavoratori.
Finora non è successo, in generale, nella storia della tecnologia e nemmeno – per ora – con l’IA. Un’eccezione è forse la prima rivoluzione industriale dove la trasformazione tecnologica è stata sviluppata senza alcun ammortizzatore sociale (cfr The Technology trap).
Questa volta sembra che a essere colpiti siano in particolare i lavori da colletti bianchi non molto complessi e abbastanza ripetitivi (anche se qualcuno teme impatti pure nel mondo della creatività, vedi sciopero di sceneggiatori USA).
A salvarsi sono certo:
- I lavori che l’IA non riesce a fare proprio almeno nel prevedibile futuro: quelli manuali di destrezza (camerieri, infermieri, idraulici, muratori), quelli dove rapporti e relazioni sono importanti.
- I lavori che l’IA potrebbe pure fare ma il risultato finale è insoddisfacente e se l’automazione fosse completa potrebbe peggiorare la società. Insegnanti in primis.
- I lavori che se l’IA facesse da sola in totale autonomia sarebbe un disastro e per fortuna ci sono regole a impedirlo. Medici, chirurghi.
Chiaramente su questi ultimi due punti soprattutto è previsto che l’IA affianchi, “aumenti” (augmentation) il lavoro umano.
Ciò considerato mi allineo con quella corrente di esperti secondo cui sarebbe un errore affidarsi all’auto-regolazione del mercato e al solo re-skilling dei lavoratori verso funzioni non automatizzabili. Il rischio, come scrive ora anche il Financial Times (non certo il manifesto) è che le aziende siano portate perlopiù a ridurre i costi per massimizzare i profitti, con perdita di salari e posti di lavoro; sia perché non tutti possono imparare a fare lavori non automatizzabili sia perché alcuni lavori ora sono per gran parte basati su funzioni automatizzabili e non è scontato che quei lavoratori, grazie al tempo risparmiato, possano poi spostarsi su altre funzioni a maggiore valore aggiunto. Dipende anche dalla volontà delle aziende che dovranno resistere alla tentazione del risparmio.
Il rischio, come sempre, è un aumento delle diseguaglianze e una crisi economica come quella del 1929, anche causata da un’automazione indiscriminata.
Nel dopoguerra non è successo anche e forse soprattutto grazie alle lotte sindacali, che hanno permesso una distribuzione più equa e quindi più equilibrata dei profitti, da cui è venuta una crescita del benessere collettivo.
Bisogna insomma confidare che i colletti bianchi, di fronte alla nuova sfida dell’automazione, sappiano sindacalizzarsi con forza, tempismo e intelligenza; come hanno fatto gli operai.
Per il bene non solo loro ma dell’economia tutta.
Alessandro Longo
Le competenze richieste
A creare nuovi posti di lavoro saranno la transizione energetica, il reshoring di filiere della produzione industriale. Ma anche l’inversione di rotta delle delocalizzazioni. E il progresso tecnologico e la trasformazione digitale nell’era data-driven e della centralità dei dati nella logica dell’architettura cloud. Sempre più richiesti saranno dunque data scientist ed esperti di big data. Ma anche specialisti dell’AI e professionisti della cyber security. Accanto agli ingegneri ambientali, agli esperti di sostenibilità, agli insegnanti e ai tecnici dell’agricoltura 4.0.
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Conclusioni
Il bilancio tra creazione e distruzione tecnologica non sarà affatto apocalittico. Il saldo finale è negativo solo per l’incognita del rallentamento economico, ma in futuro chissà, mentre le banche centrali sono costrette ad alzare i tassi per raffreddare e domare l’inflazione. Il bilancio finale, dunque, potrebbe perfino essere positivo, ma i Paesi e le aziende devono affrontare le sfide poste da automazione e intelligenza artificiale. Senza perdere tempo in triti dibattiti fra apocalittici ed integrati. inutili polemiche fra apocalittici e integrati.
“Non basta ricercare nuove competenze“, conclude Monia Martini di BCG EMC, “diventa sempre più importante formare i propri dipendenti per prepararli alle disruption che si trovano ad affrontare come singoli e come azienda”.
Sei dipendenti su 10 dovranno infatti acquisire nuove competenze nei prossimi cinque anni. Ogni lavoratore ha l’esigenza di aggiornare, in media, quasi il 50% delle proprie skill. L’Ai automatizzerà le attività ripetitive e a basso valore aggiunto, invece serviranno esperti di algoritmi, cloud, data analytics.
La strada giusta è quella di politiche e strumenti da mettere in campo subito, per l’istruzione, la formazione continua e la riqualificazione dei lavoratori. L’Italia è in ritardo. Ma, se non vuole perdere questa sfida epocale, dovrà affrettarsi entro i prossimi cinque anni, anche perché ha pochi laureati STEM rispetto al resto del G8 e difficoltà nel trattenere i dipendenti.