La nuova grande stagione tecnologica alimentata dall’intelligenza artificiale, soprattutto quella generativa, ci porterà lontano, probabilmente. In un altro mondo tech. Ma dove, non si sa di preciso. Né chi saranno i vincitori. Le big tech, che prenderanno ancora più potere – come cominciano a temere le autorità in Europa, Usa, Cina? Oppure si apriranno spazi per nuovi concorrenti?
Gli annunci di nuovi servizi ed evoluzioni si rincorrono ogni giorno e contribuiscono alla confusione del momento. Certo, intendono colpire l’immaginazione di investitori e clienti, per migliorare l’andamento delle vendite e delle quotazioni.
Big tech, dove porteranno gli investimenti nell’intelligenza artificiale
Non è facile capire dove porteranno gli investimenti nell’intelligenza artificiale di big tech, poiché le aspettative degli investitori potrebbero rivelarsi distorte dagli esiti finali degli sviluppi applicativi delle innovazioni una volta scese sul ring del mercato, dove si confrontano con la competizione e con i gusti, a volte sorprendenti dei consumatori.
Anche perché ci sono importanti fattori di disturbo che rendono l’analisi particolarmente complessa, poiché intervengono fattori assolutamente non razionali né facilmente misurabili, come il “confronto di potenza” tra Stati Uniti e Cina, che trova proprio nell’intelligenza artificiale uno dei terreni più accidentati e dinamici in cui esprimersi.
Annunci e investimenti
Come dicevamo, gli annunci, compresi quelli delle società di consulenza, producono effetti reali inattesi. Tra l’altro, sortiscono l’effetto immediato perverso di rendere più costosi gli input e quindi riducono i margini.
Mettiamo pure da parte Elon Musk che ha sempre fatto affermazioni che lui stesso era pronto a smentire nei fatti, prima ancora che con le successive – per altro immancabili – affermazioni di segno opposto. Jeff Bezos già nel 2014 chiedeva ai manager come integrare l’intelligenza artificiale nei servizi di Amazon.
Nel 2016, Sundar Pichai ha cominciato a definire Google come “la prima azienda di intelligenza artificiale”, salvo trovarsi, sette anni dopo, in posizione svantaggiata a causa del successo di OpenAI con la sua ChatGPT[1]. Zuckerberg ha recentemente affermato che l’intelligenza artificiale è la prima area di investimento di Meta, mentre Alphabet annuncia che darà, nella prossima trimestrale gli investimenti in intelligenza artificiale. Intanto ha investito 100 milioni con il suo braccio finanziario CapitalG, in AlphaSense, specializzata in applicazioni di intelligenza artificiale alla finanza, contribuendo ad una valutazione di AlphaSense a livello 1,8 miliardi di dollari.[2]
Figura 1. Investimenti di venture capital e private equity in società di intelligenza artificiale in % del numero di accordi.
Gennaio 2019-marzo 2023. (Fonte: The Economist)[3].
Le aziende più attive in termini di investimenti
Come si vede dalla figura le più attive in termini di investimenti sono Microsoft e Alphabet, seguite da Amazon. Gli annunci che ciascuna piattaforma fa di voler sviluppare il proprio modello di business intensificando il ricorso all’intelligenza artificiale portano il pubblico e gli investitori alla convinzione che essa sia una risorsa pervasiva, che modificherà l’operatività dell’eCommerce, quella della ricerca sulla rete, quella dei social network, quella della stampa on line e dell’editoria in generale, per limitarci ai settori più evidenti.
In questo le grandi società di consulenza, come sempre davanti ad un nuovo ciclo tecnologico, sono in prima linea nel sostenere che l’intelligenza artificiale generativa rivoluzionerà gli investimenti, l’occupazione, il valore aggiunto e soprattutto i margini di profitto negli anni a venire. Accenture ricorre ai neologismi e alle iperboli per convincere il lettore che ci troviamo di fronte ad una “Total Enterprise Reinvention” “Nel post-pandemia gran parte delle aziende sta trasformando le proprie attività in modo rapido e radicale. Ma una piccola parte sta cambiando sistematicamente le regole del gioco del settore in cui opera, adottando un nuovo imperativo strategico.
Sono i Reinventor, che abbracciano la “Total Enterprise Reinvention”, una strategia che stabilisce nuove frontiere delle performance. Una strategia fondata su un forte nucleo digitale che favorisce la crescita e contribuisce a ottimizzare l’operatività.
Rispetto alle altre aziende del loro settore, i Reinventor accrescono il fatturato e riducono i costi, creando valore sostenibile a lungo termine.”[4]
Big tech e startup? Una nuova corsa all’oro
Lina Khan presidente della Federal Trade Commission (FTC) teme che le big tech siano in grado di assorbire tutte le energie che servono allo sviluppo del nuovo mercato dell’intelligenza artificiale generativa: “L’allargamento dell’adozione di IA rischia di produrre una ulteriore chiusura del mercato nelle mani esclusive delle aziende che dominano già le nuove tecnologie. Un pugno di potenti business controlla le materie prime necessarie su cui le start up devono poggiare per sviluppare e mettere sul mercato gli strumenti dell’AI” [5].
Il motivo è che solo le big tech hanno scala, dati e potenza di calcolo necessari per sfruttare queste AI al meglio.
Il grande successo di OpenAI e di Microsoft che in ChatGPT ha investito, sospinge gli investimenti colossali di Google in Bard, la sua versione di AI generativa da integrare in Android, e di Meta che vuole offrire gli strumenti di AI generativa sulla sua piattaforma.
Khan teme anche che l’IA generativa possa rendere molto più efficienti le azioni di coloro che praticano le frodi on line, o possa attivare meccanismi di discriminazione automatica illegali. La FTC si muoverà quindi per garantire sia la protezione dei consumatori sia l’apertura degli spazi di mercato per i nuovi entranti, in particolare le aziende di minore dimensione e le start up.
Abbiamo visto che le big tech stanno muovendosi sul terreno delle startup, con investimenti che segnalano una nuova corsa all’oro, come la chiama John Thornhill sul Financial Times.
Le opportunità delle startup
Alcuni, come Thornill, però mettono in discussione parte delle certezze della Khan. Forse l’IA generativa aprirà nuovi mercati e a nuovi concorrenti?
Così, Google – come emerso in un memo interno dell’azienda (“Non ci sono barriere all’ingresso”)- teme che possano essere Meta o Microsoft i vincitori della corsa all’oro, perché, come recita un memo interno a Google, “non abbiamo barriere” in grado di proteggere l’esclusività della propria soluzione e il valore aggiunto che essa potrebbe rappresentare.
Pesa in particolare la mossa di Meta, che ha scelto di pubblicare open source il proprio Llama, il suo modello AI già allenato, permettendo così la nascita di aziende e servizi di terze parti che hanno potuto sfruttarlo. Se avessero dovuto sviluppare loro il modello da zero, non sarebbero mai riusciti a farlo, dati gli ingenti costi. Meta così spariglia le carte e si vuole ritagliare un posto in un ecosistema dominato da Google e Microsoft; al tempo stesso dice di volere, grazie al modello open, incentivare la crescita del mercato.
Ma forse tutte le big tech si trovano nella stessa incertezza: nessuna governa l’intera gamma delle applicazioni potenziali e ciascuna teme di essere aggirata dalla concorrenza o dalle preferenze dei consumatori.
Così si fa largo la schiera degli investitori in venture capital, che pensa di scommettere sulle start up, puntando a scovare quella che, per la sua agilità e per il suo dinamismo, riesca a fare ciò che i giganti faticano a fare, appesantiti dalle loro pesanti strutture decisionali. E si affacciano nuovi nomi, che potrebbero diventare i nuovi protagonisti della corsa all’oro dell’IA: Anthropic, Cohere, Stability AI, Inflection HuggingFace e AI21 Labs, per citarne alcuni[6].
Questi possono sfruttare l’apertura dei modelli di AI (come LLAMA di Meta) per creare servizi specializzati su una base di dati ridotta e quindi gestibile anche con risorse non da big tech. Servizi AI specializzati che potrebbero crearsi spazi di mercato nel campo potenziale delle big tech.
Ma le big tech sono meglio posizionate
D’altro canto c’è chi invece nota – si veda un recente articolo del Mit Review – che quelle aziende hanno potuto finora sfruttare la generosa apertura dei modelli sviluppati con le risorse delle big tech, che però cominciano a chiudere i rubinetti. Difficilmente le startup potranno avere risorse e competenze sufficienti per sviluppare le versioni più avanzate (da Gpt4 in su ad esempio) dei modelli fondazionali, che quindi resteranno dominio delle big tech.
Come nota qualcuno (su un recente articolo dell’Economist), in effetti le rivoluzioni tecnologiche hanno ribaltato gli incumbent solo quando questi ultimi non le hanno viste arrivare. Non è proprio questo il caso. Le big tech sono anzi i leader di questa nuova ondata. E non sembra inoltre che siano alle porte concorrenti in rapida crescita, svincolati dalle big tech.
Cloud e chip
In tutto questo, rimangono spazi enormi e forse decisivi per coloro che offrono i servizi cloud (usati per l’IA) o che producono i chip ad elevata capacità necessari all’IA. E quindi si torna ad Alphabet, Microsoft, Amazon o, per i semiconduttori Nvidia.
Il divario tra domanda e offerta di lavoro
Non solo aziende. In questa corsa all’oro sarebbe errore fatale dimenticarsi dei lavoratori; di noi tutti.
La grande ascesa dell’IA non è e non può essere visto solo un gioco tra potenti, vincitori e perdenti come se non ci fossero in ballo anche vite umane.
Secondo Golman Sachs due terzi dei posti di lavoro negli Stati Uniti possono essere raggiunti dagli effetti dei large language models (LLM) come ChatGPT di OpenAI, e in media circa il 40% dei rispettivi carichi di lavoro potrà essere soggetta ad automazione[7]
Se domandiamo a ChatGPT quali compiti potranno essere automatizzati con l’utilizzo dell’intelligenza artificiale generativa ci risponderà:
- generazione di immagini e video;
- generazione di testo;
- composizione musicale;
- conversazione e chatbot;
- ricerca di frodi;
- raccomandazione di contenuti personalizzati;
- traduzione
Nel caso delle principali aziende di big tech, l’Economist ha misurato l’adattamento dell’offerta di lavoro, ossia degli addetti presenti con un profilo Linkedln, rispetto alle dichiarazioni di interesse per le competenze di intelligenza artificiale delle aziende.
Figura 3. Le principali aziende big tech, marzo 2023 (Occupati che dichiarano di possedere competenze di intelligenza artificiale e offerte di lavoro che richiedono competenze di intelligenza artificiale. Fonte: Economist)
Emerge dalla figura che, con la sola eccezione di Alphabet, i lavoratori dichiarano competenze assai diffuse in intelligenza artificiale, che superano, come frequenza, le richieste delle aziende.
È probabile che nel gioco delle parti siano le dichiarazioni dei lavoratori quelle “gonfiate” per soddisfare le aspettative delle aziende, che evidentemente sono sovrastimate dai lavoratori.
Si crea così un mismatch, ossia uno squilibrio tra domanda e offerta, che tuttavia potrebbe non essere affatto rappresentativo della realtà, ma della sua percezione distorta per effetto della ossessiva focalizzazione sul tema da parte delle aziende. Il mismach ci sarà comunque e, come spesso accade, creerà una divisione tra nuove generazioni in grado di operare efficacemente in un contesto innovativo ricco di strumenti nuovi, e i lavoratori più anziani che faticano ad adeguarsi a quel contesto e debbono investire molto per poter essere efficaci nell’utilizzo dei nuovi strumenti.
Chi si farà carico di questa formazione aggiuntiva? Non sarebbe giunto il momento di favorire in modo deciso questi processi formativi per il ricollocamento dei lavoratori maturi? Il problema del displacement derivante dall’adozione degli strumenti di intelligenza artificiale riguarderà comunque lavoratori di media anzianità, in posizioni professionali intermedie che certamente non potranno essere messi in cassa integrazione a vita.
Perché sia una nuova fase a vantaggio di tutti
Qualunque sia il vincitore di questa corsa all’oro, è importante una cosa: che gli sconfitti di non siano i lavoratori, i cittadini, la popolazione. Nel libro Power and Progress uscito quest’anno (di un noto professore del Mit, Acemoglu) si nota come in tutte le rivoluzioni industriali c’è stato questo rischio, che nella prima ha causato grossi problemi per 80 anni; dal dopoguerra agli anni 70 invece la classe media si è irrobustita, attraverso le successive rivoluzioni tecnologiche, perché c’è stato un corretto bilanciamento dei rapporti di forza tra capitale e lavoro.
I benefici dell’industrializzazione sono stati così ben distribuiti. Facciamo che la nuova corsa all’oro dell’IA ripeta lo stesso successo.
Note
- ) Richard Nieva, Alex Konrad, Kenrick Cai, ‘AI First’ To Last: How Google Fell Behind in The AI Boom, Forbes, feb. 8, 2023. ↑
- ) Jonathan Vanian, Alphabet leads $100 milion investment in AI startup AlphaSense, CNBC, April 11, 2023. ↑
- ) The Economist, Big tech and the pursuit of AI dominance, March 26. 2023. ↑
- ) Accenture, Total Enterprise Reinvention, January 17, 2023. ↑
- ) Lina M. Khan, We Must Regulate A.I. Here’s How, The New York Time May 3, 2023. ↑
- ) John Thornhill, The likely winners of the generative AI gold rush, Financial Times, May 11 2023. ↑
- ) Goldman Sachs, Generative AI could raise global GDP by 7%, April 05, 2023. ↑