Le recenti previsioni di Goldman Sachs rispetto alla quantificazione di 300 milioni di posti di lavoro a rischio entro il 2030 nel mondo, a causa dei progressi dell’Intelligenza Artificiale, e del rapporto 2023 del World Economic Forum sul Futuro del lavoro sono di quelle che spingono verso approfondimenti e studi che consentano di definire meglio il contesto di analisi e confronto.
L’Intelligenza Artificiale sta, tra l’altro, diventando sempre più rapidamente “popolare”, nel senso che, sebbene diffusa da tempo nella gran parte dei sistemi digitali utilizzati quotidianamente, è diventata argomento di discussione e frequentazione anche per i non addetti ai lavori, soprattutto in correlazione con la disponibilità diffusa di un’applicazione conversazionale generativa come ChatGPT, la sua evoluzione GPT-4 e altre che via via si vanno diffondendo e affermando. Con un’accelerazione significativa, legata anche al fascino che ha sempre attratto la fantasia, i sogni e gli incubi di fasce ampie di popolazione, inclusi intellettuali e studiosi, l’argomento ha toccato pervasivamente mass media e social network. Approdando anche in più programmi della televisione generalista e sui quotidiani.
È stato portato, così, in primo piano il tema da sempre associato al digitale e alla tecnologia, ma adesso senz’altro accentuato dalle potenzialità dell’Intelligenza Artificiale, oltre che dai miti legati alla cosiddetta “IA generalista”, dove, semplificando, il punto di vista è di una IA che può sostituire l’umano, fino a rendersi autonoma.
Credo possa essere utile, in questo contesto, un breve contributo alla riflessione collettiva su come disegnare un futuro del lavoro socialmente positivo, e per questo partire con l’approfondimento innanzitutto di tre temi:
- quali possono essere gli impatti dell’IA sulle professioni e le occupazioni del futuro (prossimo);
- quando possiamo valutare “positivi” gli impatti;
- in che modo possiamo favorire sviluppi positivi.
Gli impatti dell’IA sulle professioni e le occupazioni del futuro
Seguendo il recente studio di Goldman Sachs sopra ricordato, in questo decennio un quarto delle professioni potrà essere automatizzata. In particolare, negli Stati Uniti, è quello amministrativo con il 46%, il settore professionale in cui si riscontrano le percentuali maggiori di compiti che potrebbero essere presi in carico dall’intelligenza artificiale.
In Europa le percentuali sono minori, anche se comunque rilevanti. Ad esempio, lo studio valuta a rischio più elevato in Europa il settore professionale degli amministrativi (45%), seguita da tecnici (34%), professionisti (31%), dirigenti (29%), membri delle forze armate (22%), lavoratori specializzati in agricoltura, silvicoltura e pesca (21%). Per l’Europa non si considerano così alcuni settori professionali (come scienze biologiche, fisiche e sociali, servizi sociali) che negli Stati Uniti vedono un impatto valutato al di sopra del 30%.
Allo stesso tempo, lo studio della Goldman Sachs evidenzia che l’introduzione in più settori dell’intelligenza artificiale potrebbe far crescere il Pil mondiale del 7% creando nuove e diverse professioni e opportunità di lavoro.
Un altro importante studio su questo fronte, come citato, è il recente rapporto Future of Jobs 2023 del World Economic Forum.
Secondo questo rapporto, l’elenco delle professioni di cui si prevede una maggiore crescita tra il 2023 e il 2027 include:
- gli specialisti di veicoli autonomi ed elettrici, in cima alla lista dei lavori più richiesti per il 2023, con una crescita di oltre il 40% prevista nei prossimi cinque anni;
- gli specialisti di intelligenza artificiale e apprendimento automatico, con una crescita occupazionale leggermente inferiore, seguiti dai professionisti della protezione ambientale con un aumento previsto del 35% nello stesso periodo;
- gli specialisti della sostenibilità, ingegneri fintech e diversi ruoli di analista – tra cui business, sicurezza delle informazioni e dati – insieme a data scientist, tutti pronti a registrare un tasso di crescita superiore al 30%.
Secondo il rapporto Wef, l’attenzione allo sviluppo sostenibile e la rivoluzione digitale stanno facendo crescere i ruoli basati su digitale e sostenibilità, e si prevede che la prevalenza di alcuni ruoli più tradizionali diminuirà.
L’elenco delle professioni di cui si stima una maggiore perdita di posti di lavoro tra il 2023 e il 2027 include soprattutto lavori di tipo amministrativo, ripetitivi e automatizzabili con buona efficacia, utilizzando sistemi già adesso disponibili. In particolare:
- l’online banking ha portato alla chiusura di molte filiali bancarie fisiche, e di conseguenza i lavori di impiegato di banca subiscono un calo stimato del 40% entro la fine del decennio, il tasso più veloce di qualsiasi lavoro;
- allo stesso modo, la crescente influenza dell’automazione, delle tecnologie dei sensori e dei servizi online sta riducendo la necessità di addetti ai servizi postali, cassieri e biglietterie e personale di inserimento dati. Ciascuna di queste occupazioni dovrebbe diminuire di oltre un terzo nei prossimi cinque anni;
- in termini di perdite di posti di lavoro assolute più elevate, il settore degli addetti ai dati ha una delle peggiori previsioni, con una riduzione di 8 milioni di posti di lavoro entro cinque anni, seguiti da segretari amministrativi ed esecutivi e impiegati contabili. Queste occupazioni rappresentano insieme oltre la metà della riduzione totale di posti di lavoro prevista.
Diverso è invece il discorso per quei posti di lavoro a bassa o nulla presenza di tecnologia. Infatti, se la rivoluzione digitale è un catalizzatore per alcune delle occupazioni in più rapida crescita, si prevede che molti ruoli non tecnologici vedranno i maggiori aumenti nel numero totale di posti di lavoro creati. Ad esempio, tra il 2023 e il 2027 autisti di autocarri pesanti e autobus, insegnanti (soprattutto di formazione professionale) e meccanici e riparatori di macchinari si collocano tra i lavori con i maggiori tassi di crescita assoluta.
Riflessioni sull’impatto dell’IA
In realtà l’impatto dell’IA, se estendiamo l’analisi al suo impiego generale nel mondo del lavoro, e quindi della produzione, è molto più elevato perché è da includere in questo senso l’impiego nei settori della logistica e della produzione, dove la presenza di robot è sempre più spinta e dove il rischio è quello dell’eccessiva automazione, della ricerca della realizzazione della fabbrica e del magazzino senza presenza umana, con il rischio di espulsione dal mercato del lavoro di una fascia significativa di lavoratori.
In questo contesto, se l’esperienza ha già dimostrato che la presenza dell’umano per il monitoraggio dei processi e per le operazioni di completamento e controllo delle operazioni è indispensabile anche per garantire il livello adeguato di qualità del prodotto e del servizio, la prospettiva dei prossimi anni si gioca soprattutto sulla capacità di governo e utilizzo dell’IA. Perché è questa che può consentire, senza aspettare una maturità di medio termine, di intraprendere già da subito una direzione positiva per la collettività.
Come viene sottolineato nei diversi studi, è indubbio che l’impatto sarà notevole e che, se nel medio-lungo termine potrà esserci una riconfigurazione dei lavori e la creazione di nuovi lavori, con uno sviluppo e diffusione di adeguate competenze nella popolazione attiva, è anche vero che nel breve-medio termine la sfida della riqualificazione e dell’adeguamento delle competenze dovrà essere condotta sapendo che è cruciale, richiede una solida infrastruttura per l’apprendimento permanente, e può avere effetti positivi solo in un contesto di gestione della transizione, dove anche questo diventa obiettivo condiviso di efficienza del sistema, al pari dell’efficienza del singolo processo produttivo.
Cosa intendiamo con impatti positivi sulla società
Se questi sono gli scenari potenziali, è infatti chiaro che quanto davvero si realizzerà nel futuro dipenderà dalle scelte che si compiranno oggi. Nulla è già determinato ed è quindi fondamentale che le politiche pubbliche, a livello internazionale e prima di tutto europee, siano in grado di indirizzare l’evoluzione dell’IA lungo un percorso che può consentire di conseguire benefici maggiori per la collettività nel breve e nel lungo termine (intendiamo così definire gli impatti positivi da realizzare).
In particolare, la strada che si appare come la più promettente è quella indicata da diversi protagonisti del campo (accademici, imprenditori). Ad esempio, Erik Brynjolfsson direttore del Digital Economy Lab dell’Università di Stanford ha affermato che “C’è sempre un’ondata di preoccupazione e paura per la perdita del lavoro e se ci sarà o meno una disoccupazione di massa. [..] Ciò che l’IA sta facendo è che sta cambiando il modo in cui lavoriamo. Una cosa che stiamo osservando a Stanford è che occorre tenere gli umani nel loop”.
Bisogna evitare, in altri termini, di perseguire un’evoluzione tecnologica che si proponga la sostituzione dei lavoratori in nome di una presunta efficienza, per disegnare invece un contesto di collaborazione tra lavoratore e macchina. E d’altra parte, occorre anche occuparsi della regolamentazione complessiva dell’evoluzione dell’IA, per cui un’iniziativa come l’AI Act in fase di elaborazione da parte della Commissione UE rappresenta un passaggio cruciale.
Favorire impatti positivi
Rispetto alla narrativa di un futuro distopico per cui in modo irreversibile l’evoluzione tecnologica legata all’IA conduce all’espulsione progressiva dal mondo del lavoro del personale impiegatizio, è utile tener presente che il mantenimento del coordinamento del lavoro dell’IA nelle diverse applicazioni è l’unico approccio che consente di garantire l’efficacia del risultato finale. Ed è lo stesso motivo per cui, ad esempio, si sono abbandonate progressivamente le soluzioni di magazzini completamente automatizzati. La logica di prospettiva è, quindi, di operare per una configurazione di collaborazione e coordinamento tra persona e tecnologia, mantenendo alla responsabilità dell’umano, e alla sua competenza, la decisione finale sui risultati e quindi sull’impatto finale verso società.
In questo senso i lavori si rimodulano e richiedono competenze maggiori.
Secondo il rapporto del Wef, i datori di lavoro stimano che il 44% delle competenze dei lavoratori verrà ridisegnato nei prossimi cinque anni. Si dice che le capacità cognitive stiano crescendo più rapidamente, riflettendo la crescente importanza della risoluzione di problemi complessi sul posto di lavoro. Le aziende intervistate riferiscono che il pensiero creativo sta acquisendo una maggiore rilevanza più rapidamente del pensiero analitico. L’alfabetizzazione digitale è la terza competenza di base in più rapida evoluzione. Gli atteggiamenti socio-emotivi che le imprese ritengono stiano assumendo un ruolo più rilevante sono la curiosità e l’apprendimento permanente. Le altre competenze in maggiore crescita sono resilienza, flessibilità e agilità; motivazione e consapevolezza di sé. Il pensiero sistemico, l’intelligenza artificiale e i big data, la gestione dei talenti, l’orientamento al servizio e il servizio clienti.
Sempre secondo il rapporto del Wef oggi solo la metà dei lavoratori ha accesso a adeguate opportunità di formazione. La massima priorità per la formazione delle competenze dal 2023 al 2027, secondo i dati provenienti dalle aziende intervistate, è il pensiero analitico, seguito dalla promozione del pensiero creativo, dall’utilizzo dell’intelligenza artificiale e dei big data, e poi dallo sviluppo delle capacità dei lavoratori in termini di leadership e influenza sociale; quindi resilienza, flessibilità e agilità; e infine curiosità e apprendimento permanente. Due terzi delle aziende prevedono di vedere un ritorno sull’investimento nella formazione delle competenze entro un anno dall’investimento, sia sotto forma di maggiore mobilità tra i ruoli, maggiore soddisfazione dei lavoratori o maggiore produttività dei lavoratori
Conclusioni
Non è, così, un caso che la Commissione UE nella sua proposta di Raccomandazioni del Consiglio sui fattori abilitanti fondamentali per il successo dell’istruzione e della formazione digitale abbia rivolto un pensiero specifico al cambiamento necessario nell’insegnamento nelle scuole rispetto all’avvento delle tecnologie emergenti. Una delle raccomandazioni inserite è proprio: “promuovere l’inserimento degli orientamenti etici sull’uso dell’intelligenza artificiale e dei dati nell’insegnamento e nell’apprendimento, per aiutare gli insegnanti delle scuole primarie e secondarie a integrare efficacemente l’intelligenza artificiale e i dati nell’istruzione scolastica e a basarsi su di essi per tenere conto delle implicazioni dell’uso improprio di tecnologie emergenti quali l’intelligenza artificiale generativa e contrastarne i rischi”.
Puntare su questo tipo di accrescimento delle competenze nella scuola è il miglior modo per costruire nel medio-lungo termine un futuro positivo per il lavoro.