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Catturare il cliente creando “abitudini”: così le aziende manipolano le nostre scelte



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Oggi, un’azienda deve non solo essere capace di innovare, ma anche concepire prodotti e/o servizi in grado di entrare nella quotidianità delle persone e far sì che quest’ultime non ne possano più fare a meno: ma come si fa a “creare un’abitudine”?

Pubblicato il 29 mag 2023

Francesco Russo

Esperto in economia dell'attenzione



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La tecnologia che forma le abitudini è già presente nella nostra quotidianità e viene utilizzata per plasmare le nostre vite.

Ma come è possibile che dei prodotti creino abitudini? La risposta è: le producono. Forse una risposta sibillina per certi aspetti, ma per altri no. I fan della serie televisiva Mad Men conoscono bene il modo in cui l’industria pubblicitaria creava il desiderio dei consumatori durante l’epoca d’oro di Madison Avenue. Oggi però quei tempi sono molto lontani.

Per cambiare profondamente il comportamento dei fruitori di ciò che offre un marchio, è necessario farli passare attraverso una serie di esperienze che Nir Eyal – con Ryan Hoover, autore del bestseller “Hooked – How To Build Habit-Forming Products”, edito dalla Penguin Books – definisce “ganci”. Più spesso gli utenti passano attraverso questi “ganci”, e più è probabile che si formeranno in loro delle abitudini.

Pensiamo allo smartphone. Scrive Eyal: “Il 79% dei possessori di smartphone controlla il proprio dispositivo entro 15 minuti dalla sveglia ogni mattina. Forse ancora più sorprendente è il fatto che un terzo degli americani dichiara che preferirebbe rinunciare al sesso piuttosto che perdere il cellulare. Secondo uno studio universitario del 2011, le persone controllano il telefono 34 volte al giorno. Tuttavia, gli addetti ai lavori ritengono che il numero si avvicini all’incredibile cifra di 150 sessioni giornaliere. Ammettiamolo, siamo fissati.”

Come creare abitudini

Hooked – How To Build Habit-Forming Products è un libro dalla doppia anima. Da un lato gli autori illustrano come catturare l’attenzione dei potenziali clienti grazie alle immense opportunità offerte dai dati digitali e dalle molteplici applicazioni che la rete offre, e dall’altro lato denuncia come possano essere messe in atto strategie non del tutto rispettose dei potenziali fruitori di un servizio e/o di un prodotto, arrivando a manipolarne le decisioni.

Le quattro fasi di “aggancio” del cliente

Oggi le aziende per prosperare nel mercato non posso più limitarsi ad accumulare migliaia e migliaia di “utenti” sulla rete. È condizione necessaria ma non sufficiente.

Il valore economico di un’azienda, oggi, è dato dalla capacità dell’azienda di creare delle “abitudini” nei propri clienti.

Per creare abitudini le aziende non possono limitarsi a capire cosa spinge alla CTA (Call-To-Action) gli utenti dei dispositivi digitali, ma devono comprendere cosa fa scattare il meccanismo che spinge a compiere una precisa azione.

Anche affidarsi ad una strategia di marketing costosa è condizione necessaria, ma non più sufficiente. È fondamentale creare un’abitudine nella quotidianità dei clienti e dei potenziali clienti, un’abitudine che si leghi ad una o più emozioni.

Un’abitudine è all’opera quando, ad esempio, una persona si sente un po’ annoiata e apre il proprio social preferito scacciando la noia. Quando una persona si sente sola e senza pensare inizia a scorrere il proprio feed di Facebook per sentirsi “meno sola”. Abbiamo una domanda in mente? Prima di cercare una risposta nel nostro cervello, interroghiamo Google, o ancora meglio un’intelligenza artificiale.

Come si aggancia un potenziale cliente? O si alimenta il rapporto con un cliente già acquisito? Il processo di “cattura” avviene attraverso quattro fasi.

L’innesco

L’innesco è ciò che stimola il comportamento dell’utente. Gli inneschi sono di due tipi: esterni ed interni. I prodotti che formano un’abitudine iniziano con una “notifica” di una e-mail, il link ad un sito web o una notifica sul telefono.

In poche parole, l’innesco non è altro uno stimolo a cui ogni persona può rispondere con un gesto “automatico”, senza “pensare”.

L’azione

Dopo l’innesco l’utente agisce. O meglio ancora, l’utente mette in atto un comportamento in previsione di una ricompensa. Ad esempio, la semplice azione di “cliccare” sulla foto di un post del feed. Questa azione è agevolata da ciò che oggi chiamiamo “User Experience”, cioè da quanto risulta facile all’utente utilizzare una app o un sito web.

Sono due i punti su cui si stimola l’azione: la facilità di eseguire un’azione e la motivazione psicologica a compiere l’azione stessa.

La ricompensa variabile

Ciò che distingue un semplice ciclo di feedback da un vero e proprio “gancio” è la capacità di quest’ultimo di creare un desiderio. Quando si apre il frigorifero si accende la luce, ma questo non ci spinge ad aprirlo più del normale. Ma se ogni volta che si apre lo sportello del frigorifero appare magicamente un dolcetto, sempre differente, questo ci spingerà ad aprire il frigorifero sempre più frequentemente.

Le ricompense variabili sono uno degli strumenti più potenti che le aziende possono mettere in atto per agganciare gli utenti della rete.

Le ricerche mostrano che i livelli della dopamina, un neurotrasmettitore, aumentano quando il cervello si aspetta una ricompensa. L’introduzione della variabilità moltiplica l’effetto, creando uno stato di concentrazione sull’oggetto dell’abitudine, che sopprime le aree del cervello associate al giudizio e alla ragione.

L’investimento

L’ultima fase del ciclo di “cattura” è quella in cui all’utente si chiede di svolgere un po’ di “lavoro”. La fase dell’investimento implica un’azione che migliorerà il servizio e/o il prodotto la volta successiva. Chiedendo di invitare amici, chiedendo le preferenze, chiedendo di imparare ad usare nuove funzioni, e così via… qualsiasi azione volta a migliorare l’esperienza nel fruire del servizio e/o del prodotto.

L’investimento va sfruttato per rendere più coinvolgente l’azione più facile e la ricompensa variabile più “eccitante”.

Un nuovo superpotere che richiede responsabilità

Il fatto che abbiamo un accesso sempre maggiore alla rete attraverso i vari dispositivi digitali (smartphone, tablet, televisori, console per videogiochi e tecnologia indossabile) dà alle aziende una capacità enorme di influenzare il comportamento dei propri clienti e potenziali clienti.

Quando le aziende combinano la loro maggiore connettività con i consumatori, con la capacità di raccogliere, estrarre ed elaborare i dati dei clienti a una velocità superiore, ci troviamo di fronte a un futuro in cui tutto diventerà potenzialmente più abitudinario.

In altre parole, oggi, le aziende sono nella condizione di manipolare le scelte dei propri clienti e dei potenziali clienti. Condizione che di fatto stimola un serio confronto sulla “moralità” della “manipolazione”.

Le azioni che portano alla costruzione di abitudini implicano delle responsabilità. Se usate in modo irresponsabile, si possono creare “cattive abitudini”, che possono rapidamente degenerare in dipendenze insensate.

C’è da sottolineare che prodotti e/o servizi capaci di creare abitudini possono fare molto più bene che male. La vera sfida, quindi, per le aziende, è aiutare le persone a fare scelte migliori (secondo il loro giudizio) che portino ad abitudini utili e positive per le persone stesse. Una sfida non di poco conto, ma che nell’era del digitale è fondamentale raccogliere.

Per riuscire in questo le aziende devono aiutare “semplicemente” le persone a fare le cose che già vorrebbero fare, ma che, per mancanza di una soluzione, non fanno.

La letterale proliferazione dei dati a disposizione delle aziende offre opportunità senza precedenti per sviluppare il proprio business, ed allo stesso tempo, creare abitudini positive nei propri clienti e potenziali clienti.

La tecnologia può migliorare le nostre vite, le nostre relazioni, ci rende più intelligenti e aumenta la nostra produttività. Ma se usata correttamente, sia da parte delle aziende che da parte degli utenti. Questo è uno dei motivi per cui mi impegno quotidianamente nelle mie consulenze a sensibilizzare lo sviluppo della metacognizione e degli effetti negativi dei dispositivi digitali.

La natura delle abitudini

Le abitudini sono uno dei modi in cui il cervello apprende comportamenti complessi. I neuroscienziati ritengono che le abitudini ci diano la possibilità di concentrare l’attenzione su altre cose. Memorizzando delle risposte automatiche nei gangli della base del cervello.

I gangli della base sono raggruppamenti di sostanza grigia all’interno degli emisferi del cervello. Chiamati anche nuclei basali o nuclei cerebrali, i gangli della base si trovano in ogni emisfero al di sotto dei ventricoli laterali. Sono un insieme di nuclei sottocorticali del cervello che svolgono un ruolo molto importante nel controllo dei movimenti volontari e involontari. In particolare, la funzione primaria dei gangli della base è il controllo e la regolazione delle attività delle aree corticali motorie e premotorie in modo che i movimenti volontari possano essere eseguiti fluidamente. Il cervello impara rapidamente a codificare i comportamenti che ripetiamo “senza pensare”, come ad esempio guidare l’automobile, cioè quei comportamenti frutto di abitudini.

Ecco un semplice esempio: mangiarsi le unghie. Mangiarsi le unghie è un comportamento comune che si verifica con poco o nessun pensiero cosciente. Inizialmente, una persona che si morde le cuticole potrebbe iniziare a farlo per “modellare” un’antiestetica unghia. Tuttavia, quando il comportamento si verifica senza alcuno scopo cosciente, semplicemente come risposta automatica a uno stimolo – l’abitudine è sotto controllo. Ma per molti “mangiatori di unghie”, il fattore scatenante inconscio può essere una spiacevole sensazione di stress. Più il “morditore” associa l’atto di mangiarsi le unghie con un sollievo temporaneo, più diventa difficile cambiare la risposta condizionata (è per questo motivo che nelle mie consulenze aiuto le persone non a “perdere” le cattive abitudini, ma a sostituirle con nuove “buone” abitudini).

Come nel caso del mangiarsi le unghie, molte delle nostre decisioni quotidiane vengono prese semplicemente perché in passato abbiamo trovato una soluzione ad uno stimolo, ed in presenza dello stesso stimolo o di uno simile le replichiamo. Il cervello deduce automaticamente che se ciò che ha fatto “ieri” è stata una buona scelta, allora è probabile che quella scelta può funzionare anche “oggi”, e la ripete.

Se i nostri comportamenti “programmati” sono così influenti nel guidare le nostre azioni quotidiane, sicuramente sfruttare abitudini può divenire un vantaggio per le aziende.

I vantaggi dei prodotti che stimolano la creazione di abitudini

I prodotti che stimolano la creazione di abitudini presentano un grandissimo “vantaggio”. Il motivo? Perché il cliente non deve essere costantemente stimolato in modo esplicito da annunci pubblicitari o promozioni di varia natura.

Gli imprenditori devono, quindi, valutare l’impatto delle abitudini degli utenti sul loro modello di business e sui loro obiettivi di business. Promuovere le abitudini dei clienti e dei potenziali clienti è un modo efficace per aumentare il valore di un’azienda. Quando i clienti formano una nuova abitudine legata ad un prodotto ed arrivano a dipendere da esso, diventano meno sensibili alle variazioni di prezzo, in particolar modo quando il prezzo aumenta.

A dicembre 2013, più di 500 milioni di persone hanno scaricato Candy Crush Saga. Il modello “freemium” del gioco ha portato all’azienda produttrice del video gioco quasi un milione di dollari al giorno.

Phil Libin, amministratore delegato di Evernote fino al 2015, ha raccontato come l’azienda ha trasformato gli utenti non paganti in utenti che generano profitti. Ha pubblicato un grafico, oggi noto come “grafico del sorriso”, che riportava la percentuale di iscrizione al servizio sull’asse delle Y e il tempo trascorso dalla data di iscrizione in cui l’utente ha scelto di passare alla versione a pagamento del servizio sull’asse delle X. Il grafico mostrava che, sebbene le iscrizioni al servizio a pagamento crollino in un primo momento, con il passare del tempo aumentano a dismisura. Questo man mano che le persone prendono l’abitudine all’uso del servizio. La curva di discesa e salita che ne risulta ha dato vita all’emblematica forma di un sorriso. Con l’aumentare dell’utilizzo di un servizio nel tempo, aumentata la disponibilità di chi ne fruisce a pagare.

Le abitudini degli utenti sono un vantaggio competitivo. I prodotti che modificano le abitudini dei clienti sono meno suscettibili agli “attacchi” di altre aziende.

Non servono “nuovi prodotti e basta”

Molti imprenditori cadono nella trappola di costruire prodotti che sono solo marginalmente migliori rispetto alle soluzioni esistenti, sperando che la loro innovazione sia abbastanza buona da allontanare i clienti dai prodotti esistenti. Ma quando si tratta di scuotere le vecchie abitudini dei consumatori, questi imprenditori ingenui spesso scoprono che non sempre i prodotti migliori vincono. Molte innovazioni falliscono perché i consumatori sopravvalutano il “vecchio” mentre le aziende sopravvalutano il nuovo. I nuovi prodotti devono essere tanto “migliori” rispetto a prodotti della loro fascia già esistenti tanto da riuscire ad influenzare le abitudini dei clienti e dei potenziali clienti.

Perché? Il motivo è che ciò che impedisce la formazione di nuove abitudini sono le “vecchie abitudini”. Le ricerche suggeriscono che le vecchie abitudini sono dure a morire. Anche quando vogliamo scientemente cambiarle. I percorsi neurali restano percorsi neurali, rimangono impressi nel nostro cervello, pronti a riattivarsi quando perdiamo la concentrazione, e i vecchi schemi riaffiorano.

Conclusioni

In conclusione, le aziende, in particolar modo di chi fa dei dispositivi digitali lo strumento principe della propria forza commerciale, se non è in grado di determinare nei propri servizi e nei propri prodotti l’attitudine a creare un’abitudine nei potenziali clienti e nei clienti, oggi, non può avere una lunga e prosperosa vita.

Nel valutare quanto un prodotto e/o un servizio possono essere capaci di creare un’abitudine l’azienda dovrà valutare due fattori: la frequenza (quanto spesso si verifica il comportamento che vede l’uso del servizio e/o del prodotto) e l’utilità percepita (quanto è utile e gratificante il comportamento nella mente dell’utente nel fruire del servizio e/o del prodotto).

Alcune abitudini possono formarsi in poche settimane, altre per formarsi possono richiedere svariati mesi. Insomma, oggi, un’azienda deve non solo essere capace di innovare, ma anche concepire prodotti e/o servizi in grado di entrare nella quotidianità delle persone e far sì che quest’ultime non ne possano più fare a meno.

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