Si continua a parlare di digitale come di un’opportunità di miglioramento di processi e di servizi, in verità è ora di cambiare registro: il digitale è una necessità per garantire i servizi locali a tutti noi, cittadini e imprese, nei prossimi anni. Perché senza, semplicemente non li avremo più. Vediamo perché.
Lo studio IFEL
In uno studio di IFEL presentato qualche giorno fa a ForumPA emerge che dal 2007 ad oggi i dipendenti dei comuni sono passati da quasi 480mila a 343 mila, con un calo del 30%.
Figura 1 – Calo dei dipendenti pubblici dal 2007 ad oggi secondo analisi Ifel
A questo fenomeno, già di per sé preoccupante, dobbiamo sommare l’età media dei dipendenti pubblici molto elevata.
Figura 2 – Età media dei dipendenti dei comuni Ifel
Oltre il 50% dei dipendenti pubblici supera i 50 anni. Questo dato ci porta a citare il responsabile sviluppo risorse umane di IFEL, Galeone: “Sono stati persi 165 mila dipendenti comunali negli ultimi 15 anni ma ciò che preoccupa ancora di più è il futuro.
Abbiamo di fronte sfide enormi, legate all’utilizzo delle risorse disponibili sia del Pnrr che delle politiche di coesione.
Ma attualmente i dipendenti comunali con un’età pari o superiore ai 55 anni sono 143 mila, il 46% del totale. Ifel stima che nei prossimi dieci anni sarà da rimpiazzare ancora un terzo dei dipendenti, diecimila per ciascun anno, personale che andrà sostituito con nuove assunzioni, introducendo diverse forme di gestione delle risorse, acquistando servizi, sviluppando le funzioni in house o in maniera aggregata e recuperando efficienza grazie alla maggiore produttività del personale anche attraverso la transizione digitale”.
Aggregazione e digitale come chiavi per continuare ad erogare i servizi
Galeone evidenzia due necessità: aggregazione e digitale come chiavi per continuare ad erogare i servizi.
Perdere il personale che ha vissuto l’ente locale nelle ultime decadi, in un mondo analogico, significa perdere informazioni ed esperienza, perché nel mondo analogico la principale base dati informativa è il cervello di queste persone, che codifica esperienza, processi, problemi e soluzioni. Quindi oltre all’impoverimento numerico, dobbiamo pensare all’impoverimento informativo che deriva dal pensionamento di tanti dipendenti pubblici che dopo 30-40 anni di servizio e di storia del comune, lasciano il loro incarico. Spesso senza nemmeno fare un passaggio di consegne o, cosa che sarebbe meglio, un affiancamento, per mancanza di sostituti.
Il quadro non è completo se non consideriamo anche che si parla di medie. Ci sono infatti enti che hanno perso più personale ed enti che ne hanno perso meno.
Servizi ancora garantiti, ma di bassa qualità
I comuni più grandi perdono meno personale perché lo assorbono dai territori.
È infatti in corso una migrazione dai comuni più piccoli verso quelli più grandi. Nei comuni più piccoli il dipendente svolge numerose mansioni anche molto diverse. Riducendosi il personale il carico diventa insostenibile e le persone preferiscono andare in strutture più grandi, dove ci sono uffici dedicati per tematica (es. ragioneria, es. anagrafe) e il ruolo è più definito rispetto al ruolo di “tuttologo” che hanno molti dipendenti dei comuni piccoli.
Proseguendo l’analisi, già oggi nei comuni piccoli i servizi sono ancora garantiti ma con erosione della qualità. Il segretario c’è 2 ore la settimana, il tecnico comunale 4 ore, la ragioneria 8 ore, etc etc. Ne consegue che l’ente “non è vissuto”. I ruoli che prima erano centrali dell’ente diventano “as a service” con conseguente riduzione della produttività, aumenti dei tempi di risposta e riduzione della qualità dei servizi.
Questo ci riporta al tema principale: il digitale come necessità. Non ci sarà più personale per erogare servizi analogici, quindi il digitale oltre ad essere come ogni tecnologia o cambiamento di paradigma un’opportunità per valutare l’as-if e progettare un to-be, è passato da opportunità a necessità.
L’alternativa è portare ad un degrado dei servizi tale da renderli percepiti come “non erogati.” Che poi è quello che sta accadendo nella sanità che sta lentamente ma inesorabilmente migrando verso un modello a pagamento.
Il confronto con la Sanità
Se per fare una visita urgente devo aspettare un anno cercherò un’alternativa, che si chiama “sanità a pagamento”. Il percepito diventa che il servizio sanitario non è più adatto alle mie esigenze e quindi pur esistendo è fondamentalmente sentito come non valido. Il che aprirebbe un capitolo che lanciamo solo come spunto: perché pagare le tasse se il servizio più importante (quello sanitario) non è più erogato secondo parametri accettabili? Ovvero o pago o sto male, o peggio posso morire?
“Il meglio deve ancora venire”, perché la sanità è PA e la PA ha un’età media alta, senza turnover quasi bloccato per 15 anni. Pensiamo ai medici di medicina generale:
Figura 2 – Età media dei medici di medicina generale – Dati Ministero della Salute
Secondo la tabella sopra indicata il 70% di medici di medicina generale ha compiuto oltre 27 anni dal giorno di laurea e solo il 30% hanno meno di questa distanza dal giorno di laurea. Considerato che un medico si laurea tra i 25 e 30 anni, è facile capire che il 70% dei medici ha più di 50-55 anni. Ovvero tra 20 anni avremo la metà dei medici di medicina generale. Per quello la telemedicina non è solo utile, è necessaria, perché altrimenti non sarà più possibile essere visitati in tempi ragionevoli (sempre che qualcuno visti ancora oggi perché spesso dopo il covid si è passati a whatsapp).
La scuola
Una piccola parentesi la merita anche la scuola: secondo dati OCSE il 58% degli insegnanti di scuola primaria ha più di 50 anni. Ma mentre in sanità i pazienti anziani e quindi gli utenti aumenteranno sempre più, il vantaggio della scuola è che è in contrazione anche il bacino di utenza, quindi la riduzione dei docenti bilancia la riduzione dei bambini.
Figura 4 – Proiezione dei cittadini italiani al 2031 rispetto al 2021, fonte Italian Institute For The Future, studio Demografia 2032 Italiana
Il digitale ormai è una necessità
Tornando al tema più leggero del digitale, speriamo sia evidente quanto il digitale sia ormai una necessità. A seguito dei dati presentati abbiamo evidenziato i motivi interni di questa analisi, ma dobbiamo considerare anche i motivi esterni.
I nuovi cittadini saranno nativi digitali e quindi sempre meno propensi all’analogico e sempre più al digitale; quindi, sono necessari servizi a loro misura.
Se fino ad oggi ci siamo chiesti: “come faranno gli anziani con il digitale?”, ora dovremmo cominciare a chiederci, invece: “come faranno i giovani con la carta?” perché l’inclusione digitale è bidirezionale, ovvero dall’analogico al digitale ma anche viceversa.
Inoltre, l’utente cerca un servizio efficace, non necessariamente di persona. Infatti la necessità di recarsi ad uno sportello, ridottasi dopo il periodo covid19, deriva sempre dalla paura di non riuscire a completare correttamente una pratica da remoto.
Se invece il servizio fosse funzionale (avviso 1.4.1 Esperienza del Cittadino), le notifiche fossero immediate (Avviso 1.4.3 app IO), i pagamenti fossero semplici (avviso 1.4.3 pagoPA), i dati fossero corretti (avviso 1.3.1. PDND) e i servizi fossero sempre disponibili (avviso 1.2 Migrazione al Cloud), il cittadino potrebbe tranquillamente chiedere quanto gli serve online.
In fondo, qualcuno è mai andato a un ufficio di Amazon?
Conclusioni
Il digitale è passato da opportunità a necessità, perché senza servizi digitali non avremo più modo di avere servizi. Rendere interoperabili le basi dati, automatizzare i processi a basso valore aggiunto possono essere grandi spinte a liberare tempo alle persone, senza perdere tempo in lavori che può fare meglio e più velocemente una macchina. Per questo ci sono gli avvisi PNRR, le tecnologie come le RPA, possono aiutare anche l’intelligenza artificiale, anche se non serve nemmeno di scomodarla per efficientare la PA.
Superando la dimensione tecnologica che poi è anche organizzativa, e passando a quella meramente organizzativa, alcune strade di miglioramento dei servizi ci sono: ad esempio l’aggregazione ovvero l’erogazione sovracomunale dei servizi, oppure, ma questo è più complesso, l’eliminazione degli enti sotto un determinato numero di abitanti. Oggi sembra difficile, ma domani, pensiamo davvero che dovendo scegliere tra avere un servizio rinunciando al proprio “campanile” o non averlo, sceglieremo di non averlo?
In fondo in sanità è già stato fatto: quanti ospedali sono spariti? E dire che il servizio sanitario è più importante del certificato dell’anagrafe. Pensiamo quindi davvero che con queste traiettorie i “presidi” comunali possano rimanere come sono oggi?