l’analisi

Transizione 4.0 e PNRR: sfida vinta, adesso la politica promuova un nuovo ciclo



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Transizione 4.0 è stata una delle scommesse vincenti del PNRR, ma non vuole solo dire comprare nuovi macchinari e tecnologie: servono formazione e soluzioni fiscali che incentivino lo sviluppo di aggregazioni e per la crescita delle aziende

Pubblicato il 14 giu 2023

Gianpiero Ruggiero

Esperto in valutazione e processi di innovazione del CNR



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Tra le agevolazioni per sostenere gli investimenti delle imprese nel percorso d’innovazione, quelle inserite nel Piano Industria 4.0 costituiscono indubbiamente il volano con l’impatto maggiore sul sistema produttivo.

Transizione 4.0, una delle scommesse vincenti del PNRR

La Transizione 4.0 si è rivelata una delle scommesse vincenti del PNRR. Nel suo ultimo Rapporto sul coordinamento della finanza pubblica, proprio quella Corte dei conti, che si è vista sterilizzare l’azione di controllo concomitante, ha certificato che i crediti maturati complessivamente dalle cinque agevolazioni, nell’ambito del PNRR, sono stati una vero e proprio successo.

I dati economici (export e produzione industriale) registrati in questi primi anni post pandemici, confermano questo andamento positivo e ci dicono che la traiettoria dei piani di digitalizzazione avviati grazie a Industria 4.0 è quella giusta e che il bilancio complessivo, a distanza di sette anni, è positivo. Gli ultimi dati certificati dall’Istat segnalano che nel biennio 2023-2024 l’economia italiana proseguirà un percorso di crescita.

Se da un lato, alcune delle eccellenze manifatturiere hanno da tempo intrapreso la strada dell’innovazione tecnologica, dall’altro, gran parte delle PMI e del sistema politico, indugia troppo sulle azioni di rinnovamento manageriale e si mostra ondivaga sulle misure di accompagnamento per favorire la transizione tecnologica. Ma le imprese sono obbligate a seguire l’innovazione, perché se non si trasformano rischiano la sopravvivenza. Anche la politica deve fare la sua parte, tenendo il più possibile unite le riforme in grado di affermare la competitività del nostro sistema economico: la riforma del fisco, la definizione di una nuova politica industriale e gli interventi sul mercato dei capitali.

Transizione 4.0, una spinta alla crescita

Industria 4.0, da diversi anni, è sempre più centrale nei processi di trasformazione economica del nostro Paese. Varato nel 2016, il piano governativo ha subito evoluzioni e revisioni: da Piano Industria 4.0 a Piano Impresa 4.0 fino al piano nazionale della Transizione 4.0. Durante la pandemia le tecnologie associate al Piano si sono rivelate fondamentali per contrastare la crisi. A febbraio 2021 il presidente del Consiglio Mario Draghi ha espresso la necessità di “estendere e rendere facilmente fruibile il piano nazionale della Transizione 4.0 per accompagnare le imprese nel processo di innovazione tecnologica e di sostenibilità ambientale”.

Cos’è successo da allora? La ripresa post pandemica ha fatto emergere un dato: le imprese italiane hanno mostrato una capacità di adattamento inaspettata. Nel 2021 e 2022 il PIL è cresciuto più dell’economia mondiale nel suo complesso, con numeri per l’Italia superiori a quelli di Francia e Germania. Anche nel primo trimestre 2023 il trend rimane positivo, con una crescita superiore alle attese (+0,5%).

A cosa si deve questa solidità? Sicuramente è il frutto di processi di trasformazione già in atto, come le riforme del mercato del lavoro, ma molto si deve alle politiche di incentivazione del Piano Transizione 4.0, che già prima della pandemia hanno iniziato a rilanciare investimenti in automazione, avviando una fase di crescita della produzione industriale e delle esportazioni. Industria 4.0, senza la quale la manifattura italiana sarebbe stata spazzata via, ha contribuito a far crescere il PIL del Paese. Gli incentivi fiscali hanno messo in moto una mole di investimenti in beni strumentali che hanno reso, per un effetto di trascinamento, la manifattura italiana più competitività.

Secondo Marco Taisch – tra gli esperti che hanno contribuito a Industria 4.0 – “il trascinamento è stato nei confronti di produttori di macchinari che sono stati costretti a produrre oggetti più evoluti, a creare innovazione, ed esportare quindi a restare in palla”. Non è un caso, infatti, che nella meccatronica e nella meccanica di precisione abbiamo acquisito posizioni di leadership mondiale.

Impresa 4.0 e PNRR, compiti ben fatti

Nell’ambito della Missione 1 del PNRR – Componente 2 “Digitalizzazione, innovazione e competitività del sistema produttivo”, l’Investimento 1 “Transizione 4.0”, con una dotazione finanziaria di 13,381 miliardi di euro (a cui si aggiungono 5,08 miliardi del Fondo complementare), ha l’obiettivo di promuovere la trasformazione digitale delle imprese incentivando, attraverso il riconoscimento di crediti d’importa, gli investimenti privati in beni e attività a sostegno della digitalizzazione dei processi.

L’intervento è articolato nelle seguenti agevolazioni:

  • Credito d’imposta per i beni strumentali materiali 4.0;
  • Credito d’imposta per beni strumentali immateriali 4.0;
  • Credito d’imposta per beni immateriali tradizionali;
  • Credito d’imposta per ricerca, sviluppo e design;
  • Credito d’imposta per attività di formazione 4.0.

La Corte dei conti, nella sua “Relazione sullo stato di attuazione del PNRR”, ha svolto un’analisi approfondita sulla fruizione di questi crediti d’imposta. Lo studio si basa sulle dichiarazioni dei redditi degli anni 2021 e 2022, quindi fotografa la situazione a metà del periodo finanziato dal PNRR, che copre gli investimenti effettuati dal 16 novembre 2020 al 31 dicembre 2022.

Il PNRR prevede il raggiungimento di due distinti target temporali in termini di imprese raggiunte, uno a fine 2024 e uno a fine 2025. Complessivamente, per fine 2025, occorrerà raggiungere 111.700 imprese. Ad oggi il numero è stato abbondantemente superato. A fine 2021, nell’ambito del PNRR, le imprese beneficiarie hanno superato la soglia di 120 mila e i crediti maturati complessivamente dalle cinque agevolazioni ammontano a 6,7 miliardi. Un vero e proprio boom.

Dichiarazioni dei redditi periodi di imposta 2020 e 2021PNRRTARGET T2 2024TARGET T2 2025
N. di beneficiariTotale crediti maturati (mln)
1.1.1 Credito d’imposta per i beni strumentali materiali 4.064.1155.438,417.70026.900
1.1.2 Credito d’imposta beni strumentali immateriali 4.010.07578,727.30041.500
1.1.3 Crediti d’imposta per beni immateriali tradizionali22.83010,013.60020.700
1.1.4 Credito d’imposta per R&D&I (non coperti da PNRR per l’anno d’imposta 2020)8.655559,710.30020.600
1.1.5 Credito d’imposta formazione 4.0 (non coperti da PNRR per l’anno d’imposta 2020)15.023617,41.0002.000
TOTALI120.6986.704,269.900111.700

Fonte: elaborazione Corte dei conti su dati Ministero per le imprese e il Made in Italy

Le agevolazioni che tirano di più

Va però precisato che nella ripartizione per singolo credito d’imposta si rilevano situazioni disomogenee rispetto agli obiettivi definiti a livello nazionale: a fronte del superamento dell’obiettivo prefissato da parte delle agevolazioni per i beni strumentali 4.0 materiali, per quelli immateriali standard e per la formazione 4.0, si registra un dato ancora lontano dall’obiettivo per i crediti d’imposta per beni immateriali 4.0 e per le attività di ricerca, sviluppo e innovazione.

Proprio con l’obiettivo di assicurare un’accelerazione nella dinamica degli investimenti in beni strumentali immateriali innovativi l’art. 21 d.l. n. 50/2022 ha incrementato l’aliquota del relativo credito d’imposta, dal 20 al 50% del costo degli investimenti effettuati a decorrere dal 1° gennaio 2022 e fino al 31 dicembre 2022 (ovvero entro il 30 giugno 2023, a condizione che entro la data del 31 dicembre 2022 il relativo ordine risulti accettato dal venditore).

Quanto alla distribuzione per area geografica, emerge con netta evidenza la concentrazione nelle regioni settentrionali delle agevolazioni per gli investimenti in beni materiali e immateriali, nonché per le attività di ricerca, sviluppo e innovazione. In tutte queste ipotesi le misure impattano per oltre il 60% sulle imprese del nord (Veneto, Lombardia e Piemonte). A diverse conclusioni si perviene, invece, con riguardo al credito d’imposta per la formazione 4.0 che è più utilizzato dalle imprese meridionali (46%, sia in termini di numero di beneficiari sia per importi maturati), dove spicca il dato della Campania, in cui figura il maggior numero di imprese utilizzatrici dell’agevolazione (oltre 4 mila) e l’importo più elevato di credito complessivo maturato (188 milioni).

A corredo dell’analisi della Corte dei conti, sarebbe interessante se il Governo fornisse altre informazioni di dettaglio sulle misure già adesso, senza aspettare il 2024 e il 2025, anche se i target a livello europeo sono fissati per quegli anni, elaborando dati sulla valutazione dell’impatto dei crediti d’imposta in termini di occupazione e PIL regionale.

La politica non molli: spendere velocemente i fondi del PNRR

Al di là dei dati quantitativi, un’ultima considerazione colpisce nel leggere la Relazione dei magistrati contabili, laddove si afferma che “i valori di attuazione finanziaria sono influenzati, in senso positivo, dall’integrale impegno e pagamento in favore dell’Agenzia delle entrate degli stanziamenti per il piano Transizione 4.0, misura che, tuttavia, non richiede onerosi adempimenti amministrativi”.

Una considerazione di carattere qualitativo, con riflessi sulla spesa, che si può parafrasare così: la capacità di spendere le risorse del PNRR per rendere le imprese più innovative è stata molto elevata, questo perché gli impieghi sono affidati alle imprese o a processi di fatto automatici, che non richiedono un coinvolgimento di peso delle amministrazioni da cui dipendono, se non per alcune attività di coordinamento.

La lezione che se ne ricava è che se un sistema di incentivi ha regole semplici e chiare, dove gli ostacoli della burocrazia sono ridotti al minimo, allora la macchina amministrativa procede più speditamente. E sappiamo bene quanto sia importante per le imprese il rispetto dei tempi per ottenere agevolazioni, perché mantenere alta la competitività a livello internazionale è una lotta contro il tempo. A volte sono proprio le regole e le procedure a fare la differenza tra un meccanismo all’avanguardia e adeguato per qualità, serietà, competenza e puntualità e un sistema bizantino che si ingolfa al primo intoppo.

Come ha scritto Ernesto Galli della Loggia (Corriere della sera del 7 giugno 2023) “moltissimo di ciò che nel nostro Paese non funziona rimanda in un modo o nell’altro a un solo fattore: allo Stato, alla sfera pubblica (quella centrale come quella dei territori), alle regole con cui questa funziona e al suo personale. Cambiare il modo d’essere di tutte le amministrazioni pubbliche è ciò di cui l’Italia ha il più urgente bisogno”.

DDL Made in Italy, sfumano gli incentivi alla Sabatini e per Ricerca e Sviluppo

Il 31 maggio il Governo ha approvato il Disegno di Legge (DDL) per la promozione e la tutela del Made in Italy. Un provvedimento ad ampio raggio che contiene alcune misure a sostegno di alcune filiere tipiche e tradizionali, oltre ad azioni di supporto all’internazionalizzazione e al contrasto alla contraffazione e all’Italian Sounding.

In attesa della pubblicazione del testo ufficiale, nell’ultima versione sarebbero saltate alcune norme di peso come il rifinanziamento della nuova Sabatini, 274 milioni nel 2023 per “assicurare continuità alle misure di sostegno agli investimenti produttivi delle micro, piccole e medie imprese e far fronte alle difficoltà connesse al progressivo incremento di tassi di interesse”.

Insieme al rifinanziamento degli incentivi per gli investimenti in beni strumentali, sono sfumati anche le misure per l’innalzamento delle aliquote del Patent box (misura che consente alle imprese di beneficiare una tassazione agevolata sui ricavi derivanti dalla commercializzazione di prodotti brevettati) e del credito d’imposta per spese di Ricerca e Sviluppo.

Misure che erano tutte presenti nelle prime bozze circolate. Sarebbero spuntate una serie di misure per il settore creativo e per quello agroalimentare. Diversi punti interrogativi sorgono in merito alla struttura finale del Fondo sovrano che, dalle bozze in circolazione, potrebbe trovare collocazione presso Patrimonio Rilancio, la società veicolo di CDP creata dopo il covid per la ricapitalizzazione delle imprese medio-grandi.

Se al momento sul Piano Transizione 4.0 sembra esserci una “dimenticanza” e non si delinea ancora un visione organica di politica industriale, il Governo tuttavia starebbe pensando per il futuro a un Piano Industria 5.0. La linea è stata delineata tempo fa dal ministro delle Imprese, Adolfo Urso, secondo cui “alle aziende serve una riforma complessiva delle risorse a cui poter attingere per investire e crescere da un punto di vista innovativo”. L’annuncio di Urso era arrivato a poche settimane dal lancio del progetto europeo Sure5.0, finanziato dalla Commissione europea e finalizzato a sostenere le PMI europee che lavorano sugli ecosistemi industriali.

Staremo a vedere quale saranno le decisioni finali del Governo e su quale traiettorie vorrà puntare per dare continuità al Piano Transizione 4.0. È chiaro, infatti, che avere una legislazione frammentaria e incostante non agevola i percorsi di innovazione e di crescita delle imprese. Occorre invece un quadro stabile, nel lungo e breve termine.

Una politica industriale con riforme convergenti

La nuova scommessa per l’Italia passa da un nuovo sistema industriale, che tenga insieme un piano basato sulla digitalizzazione del made in Italy, che non è solo cibo e moda, ma è soprattutto meccanica e automazione. Bisogna aiutare non solo la domanda, ma anche l’offerta di tecnologia, aiutare i produttori italiani di beni strumentali a diventare più competitivi. La politica industriale deve tendere ad avere un ruolo più proattivo, tracciando delle linee guida.

La prima è quella delle tipologia di imprese che vogliamo avere. Accanto ad un tessuto straordinario di PMI, accanto al modello azienda familiare, vogliamo avere grandi imprese capaci di competere a livello globale? desideriamo avere un filone di start-up che ambiscano a diventare grandi e ad alimentare processi innovativi che creano ricchezza e occupazione?

Se la risposta è affermativa, allora ha senso parlare di politica industriale e di un secondo tema, che è quello del mercato dei capitali e della sua crescita. Il mercato dei prestiti bancari è ampiamente sufficiente a mantenere lo statu quo del tessuto di imprese, senza far emergere alcuna azienda di scala globale. Se invece l’obiettivo diventa quello di avere un sistema di imprese più diversificato e orientato alla crescita, allora una riforma fiscale che non sia “schiacciata” solo sugli scaglioni Irpef diventa prioritaria. Un Paese come il nostro l’enorme ricchezza privata accumulata dalle famiglie (5.300 miliardi) può diventare un fattore decisivo in questo progetto di creazione di modalità stabili e chiare affinché una parte di queste risorse contribuisca a finanziare a medio e lungo termine le aziende che voglio crescere.

La speranza di una fiscalità che crei un ponte fra risparmio e imprese e differenzi le aliquote sulla base del comportamento virtuoso delle aziende è possibile.

Redditività e resilienza aumentano con l’innovazione

Circa il 20% delle aziende italiane, secondo una ricerca di EY Europe West Consulting, che hanno scelto un modello di crescita orientato all’innovazione e all’internazionalizzazione hanno livelli di redditività molto più alti di quelle focalizzare sul mercato nazionale e una maggiore capacità di resilienza. Le altre azione, più orientate al mercato locale, agiscono in un contesto prevedibile e con più basse prospettive di crescita, bassa capitalizzazione e difficoltà di accesso al credito, inasprite dall’incremento dei tassi. Nell’attuale incertezza, questo modello di sviluppo “locale” presenta dei seri rischi di sopravvivenza.

Un’analisi comparata indica che le imprese italiane medio-grandi internazionalizzate hanno livelli di redditività molto più alti di quelle focalizzate sul mercato nazionale; queste aziende sono caratterizzate peraltro da una maggiore attenzione a politiche di innovazione (impiegano il 15% in più di lavoratori specializzati in ricerca e sviluppo e il doppio in IT) e da una maggiore agilità di adattamento, grazie all’integrazione nei mercati esteri dove è più facile intercettare i cambiamenti in atto.

Elemento chiave è l’adozione nei processi produttivi di tecnologie innovative. Secondo EY, il 50% dei Ceo europei intende investire sull’adozione di soluzioni di robotica per aumentare la produttività (11%) e per il 24% investire nella transizione digitale è la priorità per creare valore a lungo termine. I trend degli investimenti sulle tecnologie emergenti convergono sull’IA (l’80% delle imprese sta investendo o ha intenzione di farlo entro l’anno), l’automazione e la robotica (79%), l’edge computing (69%) e l’IoT (62%).

Dare impulso a un nuova Transizione 4.0

Diventa fondamentale che il maggior numero di imprese del nostro tessuto produttivo, soprattutto le PMI, mettano in campo investimenti tecnologici coerenti con i trend globali. Se le grandi imprese erano già pronte a sfruttare le occasioni con piani di investimento nei cassetti, adesso si tratta di aiutare le piccole a recuperare terreno.

È tutto interesse del Governo continuare a puntare su Transizione 4.0, una misura che si è rivelata vincente, mettendo in campo un piano che abbia un orizzonte pluriennale, sostenendo maggiormente l’ambito della formazione, che è la via maestra del successo, ma anche è assai deficitaria nelle PMI, dove qualcuno potrebbe decidere di comperare le macchine, per ritrovarsi poi senza i macchinisti.

A tal proposito, è giusto ricordare che con la riforma degli istituti tecnici e professionali si è teso ad allineare i curricula alla domanda di competenze proveniente dal tessuto produttivo del Paese, orientando i percorsi verso i processi di trasformazione digitale che caratterizzano il contesto di riferimento Industria 4.0.

L’adozione della riforma degli Istituti Tecnologici Superiori, che dispone la modifica dell’organizzazione del sistema di istruzione e formazione tecnica superiore (legge 15 luglio 2022, n. 99 “Istituzione del Sistema terziario di istruzione tecnologica superiore”), affida agli ITS Academy il compito di potenziare la formazione professionalizzante di tecnici con elevate competenze tecnologiche e tecnico-professionali, in particolare, nelle aree tecnologiche innovative considerate strategiche per la transizione digitale.

Sono tutte iniziative che avranno bisogno però di tempo per iniziare a dare i primi frutti.

Conclusioni

Transizione 4.0 non vuole solo dire comprare nuovi macchinari e nuove tecnologie, ma significa modificare modelli produttivi e organizzativi, cambiare la cultura industriale. È importante proseguire sulla strada degli incentivi fiscali per l’acquisto di tecnologie, ma risulta fondamentale la formazione a tutti i livelli e servono anche soluzioni fiscali che incentivino lo sviluppo di aggregazioni e per la crescita delle aziende.

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