Un battito d’ali (o un’immagine frutto dell’AI generativa) sui social media suscita disinformazione, creando un terremoto a Wall Street. La Borsa di New York, qualche giorno fa, ha tremato. Su Twitter è apparsa la notizia, corredata di foto, di un incendio che stava avvolgendo il Pentagono. Un attacco, non si sa da chi perpetrato, ma capace di generare panico sui social media e impatti tangibili a Wall Street.
L’account su cui è apparso il post recava la dicitura “Bloomberg feed”. Aveva i caratteri identici dell’originale. E vantava perfino la spunta blu.
Prima dell’avvento di Elon Musk, il nuovo proprietario di Twitter, la spunta blu era un segno distintivo concesso per certificare la provenienza verificata del profilo. Quindi serviva a combattere quelli falsi, mentre ora viene concessa a pagamento.
Sembra che la foto sia frutto del generatore di immagini DALL-E di OpenAI (la stessa di ChatGPT), quello utilizzato per l’immagine di Papa Francesco avvolto in un vistoso piumino bianco. Immagine assolutamente verosimile che dà la misura del grado di perfezione raggiungibile.
DALL- E è in grado di creare un’immagine basata sul prompt: basta inserire il comando, discernendo cosa esso significa effettivamente. Intelligenza generativa: anche grazie all’apprendimento automatico si possono generare nuovi contenuti.
Sui social anche un figlio adulto può venire fuori dal nulla. Bastano un paio di tessere e il mosaico è fatto. Una foto alterata con face off, un programmino neanche all’altezza dei nuovi sistemi di AI generativa, e un testo accattivante, abbastanza strappalacrime.
Il caso sui social media del “figlio ritrovato”
Qualche giorno fa, mia figlia mi invia una sua foto. Lo fa spesso, per sottoporre alla mia valutazione i suoi cambiamenti di look: dal colore al taglio dei capelli, dal trucco all’outfit (sapendo il fastidio che mi provoca l’uso inconsulto e immotivato di termini anglosassoni).
Questa volta, invece, mi manda una foto che ritrae un bel ragazzo dagli occhi verdi, col pizzetto rado e i capelli lunghetti che, ravviati all’indietro, lasciano libera la fronte. La didascalia non dà adito a dubbi: “Io da uomo”.
La chiamo per ridere un po’ con lei, ma nel parlare, tra una risata e l’altra, mi viene un’idea. Posto la foto su Facebook e l’accompagno con un testo, scritto tra l’altro di getto, senza maiuscole dopo i punti e qualche errore di battitura, per mancanza di tempo. Questo particolare è importante, perché conferisce al post ulteriore credibilità: è partorito senz’altro da una persona emozionata, che sta vivendo un’esperienza pressoché unica.
Eccolo: “in questo momento non so cosa dire. mi sento davvero strano, con mille emozioni e mille sentimenti che si fanno strada dal cuore, dal cervello, da tutto il mio corpo. ma mi dovevo sfogare in qualche modo. è incredibile, e infatti non mi sembra vero. scoprire così, per caso, da un momento all’altro, di avere una parte di te
he è crescita in questi anni senza che ne sapessi nulla, senza che l’avessi neanche
immaginato, è un colpo traumatizzante. in bello, però. benvenuto figlio mio, da oggi il mio amore si sdoppierà, per la mia Emilia e per te, ma ci sarà tanto posto per entrambi nel mio cuore!”.
Subito dopo si scatena l’impossibile.
L’effetto social di un esperimento
Decine e decine di mi piace, cuori, baci. E commenti come se piovesse. Oggi siamo a quota 237 reazioni e 124 commenti. Solo una piccola percentuale di entrambi esprime scetticismo. Per il resto, è un diluvio di commozione, contentezza, amore. Molti notano la somiglianza con mia figlia, senza tuttavia compiere il passo successivo. Una bella cosa, non c’è che dire. Comincio a provare qualche senso di colpa. Non solo io, ma anche mia figlia che ride a crepapelle. Ma c’è di più.
Chi mi conosce meglio, e quindi ha il mio numero di telefono, mi scrive su whatsapp esprimendo felicità per la bellissima novità che ha fatto irruzione nella mia vita, augurando il meglio a me e ai miei figli. Stranamente nessuno mi chiede il nome del ragazzo, né su Facebook né nei messaggi. Tanto meno nessuno mi chiede, neanche in privato, come sono andate le cose, come e dove ho scovato questo pezzo della mia storia nascosto chissà dove.
Ora in primo luogo mi devo scusare con tutti quanti. Ho condotto un esperimento a loro insaputa. So che molti mi manderanno a quel paese, con tutte le ragioni del mondo. Nonostante ciò, chiedo perdono a tutti. Prima di passare a qualche riflessione più seria sull’accaduto, devo però raccontare un altro episodio simile, sottolineando una differenza sostanziale.
L’aneddoto
Nell’estate di tre anni fa arriva in città un mio caro amico. Nato qua e vissuto al nord
dall’età di vent’anni. Si presenta coi capelli rossicci un po’ radi, riccioluti dietro, il
tutto sormontato da una paglietta bianco panna. Sembra il clone di Francesco De Gregori.
Andiamo al mare in un noto lido di Scilla. Lì, seduti al tavolo, gli chiedo di fare quella specie di ghigno che si stampa in faccia del cantautore quando sorride, e che immortalo in una foto. La posto su Facebook e corredo di un’intervista a Francesco De Gregori che, avendo tenuto un concerto il giorno precedente a Crotone, non ha voluto perdere l’occasione per visitare la perla della Costa Viola.
Alle domande risponde intercalando qualche parola o un’intera frase in romanesco. Scrivo che non è per niente antipatico o scostante come spesso lo si dipinge. Fa battute, ironizzando molto su sé stesso, su questa sua fama e la sua carriera, parla con leggerezza del rapporto con Venditti (domanda immancabile). Insomma una finta chiacchierata in riva al mare che suscita reazioni e commenti, senza che nessuno metta in dubbio la veridicità del mio racconto.
Un noto esperto musicale reggino commenta riferendo di un suo incontro con Francesco, qualche anno prima, che lo ha deluso per il suo carattere schivo. Intanto, persone telefonano al lido per prenotare chiedendo prima se sarà presente De Gregori, se magari ha prenotato l’ombrellone. Alla fine svelò la burla. Ma nessuno aveva sollevato perplessità su quanto scritto.
Riflessioni sull’AI e i social media
La vicenda del figlio ritrovato suscita alcune riflessioni. Se moltissime persone, che mi conoscono molto bene, hanno creduto a un “figlio inesistente” per una foto postata suoi social, non ci si può ci si può dunque sorprendere se milioni di persone danno credito a foto generato da DALL-E di OpenAI o altri simili.
Lavoratori di Google, lo stesso CEO di OpenAI in audizione davanti alla commissione del Senato USA, migliaia di esperti in tutto il mondo, il Parlamento europeo hanno denunciato rischi dell’utilizzo dell’intelligenza artificiale nel campo della disinformazione (e non solo).
A Bruxelles, qualche giorno fa, il commissario europeo per il Mercato interno, Thierry
Breton, incontrando Sundar Pichai, CEO di Google, lo ha sensibilizzato sull’uso responsabile dell’intelligenza artificiale: “Non c’è tempo da perdere nella corsa all’AI
per costruire un ambiente online sicuro”, ha dichiarato. Il problema è serissimo. Accanto a questa considerazione di carattere scientifico, penso
alle persone e ai loro sentimenti, alle loro emozioni. Ritengo che sia tale il bisogno
di happy end, di amore, da attaccarsi a tutto, senza andare troppo per il sottile.
Davanti all’evidente somiglianza tra mia figlia e il suo ritrovato (inesistente) fratello, quasi nessuno ha pensato a uno scherzo, perché le persone hanno visto ciò che desideravano vedere. Erano felici di trovarsi davanti a una bella storia, da romanzo o da film. Invece, per quanto riguarda il finto “De Gregori reggino trapiantato a Como”, non c’è la manipolazione tecnica dell’immagine, ma semplicemente il desiderio, secondo me, di sapere che un grande della musica era lì, in un lido di Scilla. E che, in fondo, fuori dal suo ambiente e dai suoi riti, era una persona come tutte le altre.
Conclusioni
Bisogna prestare molta attenzione all’utilizzo dell’intelligenza artificiale che deve essere sempre guidata dal fattore umano (ovviamente non quello cattivo), specialmente in ambito militare.
Allo stesso tempo, è stato bello mettere in luce, ancora una volta, il lato migliore della natura e dell’animo umani. Il cuore, accanto al cervello. Il sentimento, accanto alla ragione. Che poi, in sintesi, è l’elemento distintivo tra l’agire umano e quello dell’AI. Distintivo e non surrogabile con l’intelligenza artificiale.