Per gli influencer e, in generale, per i content creator gli algoritmi sono al contempo “croce e delizia”.
Infatti, poterne conoscere il funzionamento – spesso dagli effetti generati – consente di aumentare le probabilità di rendere virale un contenuto proposto, incidendo così in modo significativo sull’ aumento di valore del proprio lavoro nonché sul proprio engagement rate. Ma allo stesso modo, tutte le leggerezze terminologiche o l’impiego di termini poco graditi ai filtri della piattaforma possono subire le politiche di moderazione impostate dal gestore, il quale si riserva sempre il diritto di demonetizzare il contenuto o, nei casi più estremi, di bloccarlo.
Il rapporto fra influencer e algoritmi dei social network
Così come esistono delle tecniche per sfruttare a proprio favore il funzionamento delle dinamiche dei social network, è possibile anche valutare e perseguire delle vie ulteriori ed alternative rispetto ai sistemi di reclamo previsti dall’art. 17 del Digital Service Act che vengono offerte dalla stessa piattaforma per le ipotesi in cui si incorra in talune decisioni sfavorevoli.
Prima di entrare nel dettaglio della disamina dei potenziali rimedi che possono essere offerti dalla norma, si ritiene doveroso chiarire un punto: per quale motivo si parla di algoritmi in questi contesti? In termini generali, un algoritmo può essere definito come un insieme di regole matematiche che vengono applicate ai social network: al verificarsi di alcune condizioni prestabilite verranno applicate conseguenti rimedi. Alcune di queste regole possono agire per promuovere un determinato contenuto e dunque favorirne la visibilità e diffusione. Infatti, se è un contenuto che il social network valuta come particolarmente apprezzato o apprezzabile dal proprio pubblico in base alle preferenze o abitudini di utilizzo rilevate e ai trend del momento, allora il contenuto viene promosso. Al contrario, se incontra alcuni filtri il contenuto può essere demonetizzato o altrimenti bloccato, impattando in modo significativo sul lavoro del creator.
L’influencer come utente attivo
L’influencer è un utente attivo della piattaforma e si differenzia rispetto agli altri utenti in quanto la propria capacità creativa genera un beneficio dello stesso ecosistema social in cui è inserito, aumentando la capacità di attirare utenti iscritti ed aumentare la permanenza degli stessi attraverso le interazioni.
Il suo lavoro è dunque ciò da cui il gestore della piattaforma trae un beneficio indiretto, ma spesso non appare sufficientemente “remunerato” con una migliore attenzione circa l’attività condotta all’interno del social network. E dunque il rischio è che si trovi ad essere destinatario di imperfette tutele, valide più sulla carta che in concreto sia per effetto di obblighi contrattuali che di prassi applicate dalla piattaforma.
Le Linee guida sui contenuti idonei per gli inserzionisti di YouTube
Si può prendere come esempio YouTube, con le “Linee guida sui contenuti idonei per gli inserzionisti”. Qui viene specificato che ai creator è offerta la possibilità di accettare le regole per pubblicare liberamente contenuti monetizzabili, così come di comprendere quali contenuti non saranno per nulla monetizzati. Di conseguenza, qualora un inserzionista vada a pubblicare un contenuto a monetizzazione piena ma che l’algoritmo del social contrassegna come non adatto alla monetizzazione, lo stesso viene automaticamente demonetizzato. E la stessa piattaforma di YouTube avverte esplicitamente che i sistemi potrebbero adottare una decisione non corretta, indicando come rimedio un sistema di gestione delle richieste di revisione in cui è presente un intervento umano. Tutto ciò ricorda, mutatis mutandis, il diritto all’intervento umano previsto dall’art. 22 GDPR previsto nei processi decisionali automatizzati. Diventa dunque utile e anzi è uno spunto di riflessione chiedersi se e in quale modo tale diritto possa sovrapporsi, nonché se esistano ulteriori diritti esercitabili dall’influencer come interessato per accedere ad una tutela nei confronti dei processi decisionali automatizzati.
L’influencer come soggetto interessato
Nel contesto di utilizzo del social – ad esempio nell’ideazione di campagne o nella gestione della propria pagina – il content creator è anche un interessato al trattamento svolto da parte del gestore della piattaforma. Questi non si pone infatti solamente con il ruolo di titolare o contitolare per quanto riguarda la gestione dei dati personali della propria community, ma vede i propri dati personali trattati dal gestore della piattaforma di social network per l’iscrizione, l’upload dei contenuti, il monitoraggio della propria attività, le interazioni, etc.
E dal momento che il GDPR attribuisce taluni specifici diritti agli interessati, anche l’influencer in quanto tale può valutarne l’esercizio al fine di ricevere talune tutele alternative o ulteriori rispetto ai reclami.
Ad esempio, l’art. 22 GDPR prevede il diritto dell’interessato «di non essere sottoposto a una decisione basata unicamente sul trattamento automatizzato, compresa la profilazione, che produca effetti giuridici che lo riguardano o che incida in modo analogo significativamente sulla sua persona» contemplando delle eccezioni a tale divieto.
Cos’è un processo decisionale automatizzato
Un processo decisionale automatizzato, secondo le Linee del Gruppo di Lavoro Articolo 29 WP 251, è infatti “il processo esclusivamente automatizzato consiste nella capacità di prendere decisioni impiegando mezzi tecnologici senza coinvolgimento umano”. E il funzionamento degli algoritmi dei social network rientra chiaramente in tale definizione dal momento che:
- hanno un funzionamento basato su tecnologie automatizzate;
- non prevedono alcun intervento significativo umano;
- producono effetti giuridici rilevanti.
In questo ambito si riconduce dunque la decisione di demonetizzazione, blocco o comunque applicazione di un filtro ai contenuti generati dall’influencer comporta effetti giuridici quali ad esempio la limitazione dei benefici che è possibile trarre come corrispettivo.
Per superare tale divieto generale è necessario che sia presente una delle eccezioni contemplate dall’art. 22 par. 2 GDPR, che in questo caso si riscontra nella necessità della decisione per la conclusione o esecuzione di un contratto, in tutti i casi in cui l’intervento umano nel processo decisionale sarebbe impraticabile. E tale contratto è l’adesione e la partecipazione al social network come utente attivo, secondo i termini e le condizioni d’uso stabilite dal gestore della piattaforma che peraltro qualificano espressamente come contraenti tali categorie di utenti.
Il criterio di necessità richiamato dalla norma può essere certamente soggetto ad un margine di interpretazione, che però viene rimesso in forza di accountability in capo al titolare, il quale dovrà anche dimostrare di aver selezionato il metodo di trattamento più rispettoso della vita privata dell’interessato. Non solo: dovrà anche stabilire garanzie adeguate a tutela di diritti, libertà e interessi legittimi degli interessati, fra cui «almeno il diritto di ottenere l’intervento umano da parte del titolare del trattamento, di esprimere la propria opinione e di contestare la decisione.» (art. 22 par. 3 GDPR).
Diventa opportuno ricordare che i social network offrono già degli strumenti che permettono ai content creator di richiedere l’intervento di un operatore così da verificare l’eventuale errata decisione del proprio algoritmo, ma questa seconda revisione non è detto che costituisca un reale intervento umano effettivo qualora si limiti a un’adesione acritica ad un processo decisionale già maturato e non ad una revisione della decisione. In questo caso, però, l’unica tutela esperibile non può che essere un reclamo o perseguire un percorso giurisdizionale.
La trasparenza
Nella prospettiva di non dover “subire” il funzionamento dell’algoritmo il gestore deve garantire una trasparenza sia preventiva che responsiva. Il diritto di essere informato circa la “logica utilizzata” è infatti previsto dagli artt. 13 par. 2 lett. f) e 14 par. 2 lett. g) GDPR nonché in riscontro all’esercizio di un diritto di accesso. E tali informazioni devono essere significative e sufficientemente complete affinché l’interessato possa essere in grado di comprendere il modello decisionale adottato, le valutazioni che è possibile ottenere e soprattutto le conseguenze previste dalle stesse. Nel caso degli influencer dovrebbero essere specificamente indicate anche tutte le conseguenze specifiche riferibili agli elementi che valorizzano e distinguono la conduzione della propria attività lavorativa attraverso la piattaforma. Quanto meno consentendo di stimare la portata degli effetti anche in relazione alle metriche del social network.
Conclusioni
Sebbene sia possibile reperire dei rimedi ulteriori e concorrenti all’interno della normativa in materia di protezione dei dati personali, la chiave di lettura fondamentale sta non tanto nella volontà degli influencer di intraprenderli in modo pionieristico bensì nel riconoscimento effettivo del loro ruolo di utenti attivi da parte dei gestori della piattaforma. Ruolo che è ben diverso rispetto a quello degli utenti “classici”. In assenza di un’evoluzione in tal senso, il rischio è che si vada a giungere a tutele inefficaci ed incomplete nei confronti di quella categoria di utenti che, in forza di un rapporto contrattuale naturalmente asimmetrico intercorrente con il gestore della piattaforma, dovrebbero invece essere i destinatari di particolari obblighi di protezione.