il manifesto

La scuola va difesa dalla “religione” del digitale?



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Dotare insegnanti e studenti dei mezzi digitali comporta la condanna a ridurli ad “applicazione di procedure?” I timori di tre insegnanti, delineati nel manifesto “contro vento”

Pubblicato il 3 lug 2023

Micael Zeller

recuperohd.it, cultura-digitale.com



scuola libri digitale

Tre insegnanti di scuola media superiore hanno pubblicato un manifesto “Per la difesa della relazione educativa dalla religione del digitale”, sottoscritto da Carlo Sini, Silvia Vegetti Finzi e altri studiosi.

Suscitate dal PNRR-Scuola 4.0 le questioni, che il manifesto affronta in modo stringato, rimandano ad alcune problematiche che si trascinano da molto tempo e ad altre molto attuali.

Problemi e risorse

Il manifesto collega gli stanziamenti PNRR per la dotazione digitale degli ambienti di insegnamento all’insorgere di dogmi e un’ideologia di una “religione del digitale“.

Una delle accuse è la sottrazione di risorse dalla riqualificazione di una scuola che ha ancora tanti problemi da risolvere.

I problemi della scuola italiana sono sicuramente ancora tanti, soprattutto per quel che riguarda gli spazi fisici; le aule spesso sono insufficienti, vetuste, a volte cadenti. A ciò si accompagna la scarsa disponibilità di ambienti digitali, di luoghi di apprendimento innovativi e di laboratori, con inevitabili rallentamenti del processo di trasformazione didattica e digitale, soprattutto nell’ambito delle materie umanistiche.

Le prospettive didattiche che l’uso del computer comporta vanno necessariamente affrontate realisticamente, ben consci dei molti ostacoli che ancora si frappongono a un suo utilizzo generalizzato, anche per motivi economici. Tuttavia, tenendo conto di questi limiti strutturali, le nuove tecnologie possono favorire l’apprendimento.

I vantaggi di scrivere col computer

Nel percorso di educazione linguistica, per esempio, poter disporre di computer – uno per ciascuno studente – potrebbe essere la carta vincente. Con l’ausilio del computer, e di qualche stampante, gli studenti possono superare la fatica di scrivere e riscrivere a mano: vengono avviati a utilizzare il linguaggio quale potente strumento di pensiero e di, comunicazione, esplorano nuovi campi conoscitivi, sono sollecitati a esperienze creative.

Un testo sempre modificabile rappresenta il superamento dei limiti fisici e cognitivi imposti dalla pagina scritta, con le sue caratteristiche di linearità e consequenzialità. Scrivere col computer consente agli allievi e agli insegnanti stessi di apportare tutte le correzioni al testo senza defatiganti e frustranti azioni di riscrittura con la penna, avendo come risultato un prodotto sempre ordinato e pulito.

L’arricchimento cognitivo e linguistico che ne deriva è evidente, come innegabili sono i vantaggi psicologici che scaturiscono dal poter manipolare testi e intraprendere avventure scrittorie, a volte anche complesse e impegnative. La scrittura può, in certi casi, diventare gioco linguistico, rielaborazione di testi, memoria e documentazione, oltre che elaborazione di idee. Il vantaggio è di poter frazionare e pianificare un percorso logico strutturato, selezionando, mettendo in relazione, integrando le varie parti del discorso, provando e riprovando soluzioni, anche a livello linguistico e testuale, con possibilità di verifica e correzione.

L’uso del computer promuove l’autonomia del discente, che può scegliere tra alternative diverse, e favorisce un atteggiamento collaborativo e di ricerca.

Con un programma di scrittura l’alunno, iniziata la “brutta” ha veramente l’occasione di godere del piacere di scrivere: può constatare l’effetto globale del proprio scritto, ricomporlo in un ordine diverso, sperimentare l’effetto di sottolineature, grassetti, incolonnamenti, centrature… Inoltre, la possibilità di gestire più file è preziosa in un lavoro collettivo: le diverse fasi di stesura e di riorganizzazione possono essere svolte separatamente, mentre i diversi testi possono essere uniti e armonizzati a lavoro ultimato.

L’avvio della didattica col computer: le difficoltà operative

Nel 1993 il Ministero della Pubblica Istruzione lanciò alcune sperimentazioni di formazione degli insegnanti di materie umanistiche, fra cui il progetto R.e.T.E. (Recupero Tecnologie Educative) rivolto a docenti di Italiano e di Lingue straniere dei bienni della scuola media superiore. Sostenuto anche da IBM Semea, e con l’ausilio dell’Istituto per le Tecnologie Didattiche del CNR di Genova, il progetto si diffuse in tutta Italia, ma ebbe vita breve, sia per le scarse risorse sia per le notevoli difficoltà operative.

Il seguito però non fu incoraggiante. Nel 1995 si poteva scrivere:

“[…] Più complesso è il problema dell’organizzazione di un’aula computer. Teoricamente un’ottima aula computer è allestita con Personal Computer (PC) potenti (486), possibilmente un PC ogni due alunni, e tante stampanti a basso costo. Ma non sempre è così. Nel peggiore dei casi la prima esperienza in aula computer può far rivivere la barzelletta dell'”inferno italiano”: macchine potenti, ma con Windows installato solo su due o tre computer, lussuose stampanti che attendono “solo” di essere installate, dischetti affidati alla custodia di un bidello assente…” [Maria Zioni, Word processing e didattica dello scritto nel biennio della scuola media superiore”, in “Educare alla scrittura”, Quaderni del LEND, La Nuova Italia,1995, pag. 229]

Transizione digitale a scuola: una strada in salita

Nei decenni seguenti la scuola ha visto importanti cambiamenti, primo fra tutti l’adozione del registro elettronico (introdotto nell’estate del 2012). Nel corso degli anni il suo uso si è diffuso non senza fatica nella maggior parte degli Istituti. Come mostrano i dati dell’Osservatorio Scuola Digitale, più del 96% delle scuole adotta il registro elettronico, a cui hanno accesso anche le famiglie: i genitori possono vedere i voti, i compiti assegnati e le circolari e le comunicazioni che riguardano la classe.

Non sembra peraltro che siano stati fatti importanti passi avanti nell’uso in classe del Pc. Gli insegnanti, e in particolare i docenti di materie umanistiche, dimostrano nel complesso un atteggiamento verso le opportunità del digitale piuttosto tiepido, anche perché – evidentemente – gli ostacoli organizzativi permangono nella maggior parte degli istituti. I dati riflettono tali difficoltà. L’Italia è il paese con la percentuale più bassa in Europa di studenti con accesso a un Pc a scuola e la percentuale di scuole senza banda larga è tre volte al di sopra della media Ue.

Da anni è previsto che gli editori scolastici mettano online le versioni digitali dei testi scolastici (Legge 6 agosto 2008, n. 133), mentre si rendono disponibili le relative risorse supplementari per gli insegnanti. Ma precarietà della connessione, e la conseguente difficoltà di scaricare gli esercizi in classe, la mancanza di una stampante facilmente accessibile e così via sono spesso ostacoli scoraggianti e l’offerta digitale rimane un prodotto marginale – malgrado un crescente interesse in particolare delle scuole dell’Italia del Sud. Anche i CD-ROM allegati ai libri di testo vengono spesso visti come gadget ai quali dedicare solo un’occhiata curiosa.

Nondimeno, nell’anno europeo delle competenze secondo l’agenda digitale della UE dobbiamo tener conto dell’obiettivo di fornire di competenze informatiche di base almeno l’80% degli adulti entro il 2030.

Chi ha paura del digitale?

Ma gli autori del manifesto “contro vento”, più che porre questioni di efficienza, sembrano paventare il rischio “che la scuola possa ridursi a luogo di addestramento e applicazione di procedure, anziché essere spazio sociale delle domande di senso, del dialogo, della conoscenza disinteressata”.

Dunque, armare insegnanti e studenti dei mezzi digitali comporta la condanna a ridurli ad “applicazione di procedure?”

Forse sì, se per digitalizzazione si intende fornitura di hardware e software e sviluppo di abilità nell’utilizzo dei mezzi, che peraltro sono comunque destinati a evolversi e a cambiare molto rapidamente. Se si tratta di formare una generazione di “abili” (come al servizio militare) nell’uso di scatole nere delle quali ignorano sia i fondamenti tecnici sia le implicazioni nelle dinamiche globali.

Certamente no, se per digitalizzazione si intende anche e soprattutto l’insegnamento di una vera cultura digitale ad ampio raggio, comprendente sia gli aspetti materiali (che cosa sono i dati, come è fatto un file, come è strutturata la rete Internet, dove sono i dati…) sia la consapevolezza dei fenomeni economici, sociali e politici del digitale (oligopolio dei dati, trasformazione del lavoro…).

Una cultura, insomma, che permetta di diventare non schiavi dei mezzi, ma padroni consapevoli, capaci di affrontare con conoscenza le sfide tecnologiche del futuro, a partire da quelle che la AI già ci delinea in modo inquietante.

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