Nei mesi scorsi il Ministro per le Imprese e il Made in Italy, Adolfo Urso, ha espresso l’intenzione di predisporre un Piano Industria 5.0 al fine di “razionalizzare tutti gli incentivi alle imprese, per fare un modo che queste possano fare programmazione”.
L’idea di fondo, pare di intendere, è creare le condizioni più opportune affinché il sistema imprenditoriale italiano, a cominciare dal pervasivo tessuto di piccole e medie imprese che ne costituisce un tratto caratteristico, possano essere protagoniste di quella transizione digitale che dovrebbe non solo rappresentare l’orizzonte di riferimento futuro dell’economia globale, ma anche un vero e proprio cambio di paradigma rispetto al modo di concepire le attività produttive.
La volontà espressa dal governo su questo terreno è molto importante, poiché sta a dimostrare una sensibilità del Ministro e dell’esecutivo verso quello che potrebbe rappresentare, se adeguatamente compreso, un atout fondamentale per la ripresa del sistema paese. Ciò nonostante (anche se siamo convinti che non sia questo il caso del governo) su Industria 5.0 si discute ancora con poca cognizione di causa.
Industria 5.0, la sostenibilità elevate a orizzonte strategico
Troppo spesso, infatti, Industria 5.0 viene considerata come una semplice estensione – senza soluzione di continuità – dei percorsi e delle strategie che in anni recenti hanno segnato l’impegno per politiche in favore dell’innovazione nel mondo delle imprese e delle attività produttive. Ma in realtà non è proprio così, e occorre per quanto possibile esserne consapevoli, perché le implicazioni di questa importante differenza rispetto al passato aprono la strada a un modo radicalmente diverso di intendere il contributo dell’innovazione tecnologica al funzionamento dell’economia, oltre che al suo impatto sulla società e su suo ambiente naturale.
Perché presupposto di Industria 5.0 è la consapevolezza dei limiti mostrati dalla strategia Industria 4.0 (e delle strategie che in quel solco l’hanno preceduta) rispetto allo scenario globale e alla sua prevedibile evoluzione futura. Per chiarire ciò che intendiamo dire si deve considerare che il salto di qualità implicito nel passaggio da Industria 4.0 (e suoi predecessori) e Industria 5.0 riguarda l’interiorizzazione nella nuova prospettiva dell’idea di sviluppo sostenibile.
L’idea di sviluppo sostenibile è ormai istituzionalmente e globalmente associata alla prospettiva indicata da Agenda 2030, il pacchetto di obiettivi di sviluppo deliberato dalle Nazioni Unite nel settembre 2015, sulla cui realizzazione gli Stati membri dell’Assemblea generale si sono impegnati ad assicurare il traguardo del 2030[1]. Tali obiettivi definiscono un concetto di sviluppo sostenibile che non si riferisce esclusivamente all’ambiente, ma assume un significato ben più ampio, includendo un’idea di giustizia sociale distributiva e di equa eguaglianza delle opportunità, una concezione della crescita economica legata a infrastrutture materiali e immateriali durature e innovazione inclusiva, una visione degli insediamenti umani sicura, una prospettiva di tutela delle risorse ambientali. Con ciò, la sostenibilità, declinata in termini ambientali, economici e sociali, viene elevata a orizzonte strategico di riferimento per lo sviluppo futuro del pianeta e a questo nuovo ecosistema tutto e tutti si devono legare.
La promozione di un’industrializzazione e di innovazioni “inclusive e sostenibili”
L’Agenda 2030 e i suoi obiettivi assumono chiaramente una veste normativa (ci dice come il mondo dovrebbe essere, e ci indica un orizzonte temporale entro il quale dovremmo arrivarci), ma questo non toglie che siano stati ormai assunti a riferimento istituzionale da parte di tutti gli stati membri delle Nazioni Unite. Deliberazioni di governi nazionali e istituzioni sovranazionali, come l’Unione Europea, hanno già fatto propri questi obiettivi, definendo così in maniera relativamente omogenea il contesto normativo entro il quale dovranno essere adottate tutte le misure legislative per lo sviluppo. Ciò significa che, dall’Europa nel suo complesso ai singoli stati membri dell’UE, sono tutti tenuti a uniformare le proprie norme e leggi a questi obiettivi, che economisti e statistici hanno già provveduto a tradurre concretamente in indicatori.
È questo il contesto entro il quale si inquadra anche Industria 5.0, che risulta in particolare legata all’obiettivo di sviluppo 9, che concerne la promozione di un’industrializzazione e di innovazioni “inclusive e sostenibili”. In una prospettiva integrata che si ispira ai seguenti tre principi fondamentali:
- progettare per eliminare gli sprechi e l’inquinamento;
- mantenere i prodotti e i materiali nell’uso e nella circolazione produttiva;
- rigenerare i sistemi naturali per migliorare le condizioni di assorbimento del carbonio e delle sue emissioni nell’atmosfera.
E lo fa cercando di trovare nelle tecnologie digitali, così come nell’intelligenza artificiale, le innovazioni in grado di agevolare e rendere più rapida questa trasformazione.
L’Europa negli ultimi dieci anni ha peraltro intensificato l’impegno a favore di un cambiamento della produzione industriale che vada in direzione di una maggiore efficienza assicurata dalla connettività digitale e dall’intelligenza artificiale (è di queste ultime settimane l’approvazione da parte del Parlamento europeo del primo regolamento di disciplina dell’utilizzo dell’IA), proprio in un quadro di più generale compatibilità con gli obiettivi di sviluppo dell’Agenda 2030.
Un nuovo equilibrio fra capitale umano, finanziario e naturale-ambientale
Appare perciò molto chiaro il salto di qualità richiesto dal passaggio da Industria 4.0 a Industria 5.0, che riguarda anzitutto il superamento dell’attuale modello di sviluppo estrattivo di produzione e consumo, per andare verso un modello di cosiddetta “economia circolare”, in grado di realizzare un nuovo equilibrio fra capitale umano, finanziario e naturale-ambientale. Ciò che dovrebbe consentire ai nostri sistemi economici e produttivi di essere più resistenti e resilienti rispetto agli shock futuri, dalle crisi economico-finanziarie alle pandemie. Inoltre, parlando di innovazione tecnologica e inclusività in senso ampio, non dobbiamo dimenticare che la tecnologia ha, e avrà sempre più, impatti sul mondo del lavoro e sulla vita delle persone. Ecco perché tutti i progetti che prevedono innovazione dovranno anche prevedere, in una logica inclusiva, nuove tutele e opportunità per i lavoratori sui quali la trasformazione tecnologica andrà a impattare.
Non possiamo dimenticare questo aspetto, come del resto prescrive l’obiettivo di sviluppo 8 a proposito di “crescita economica duratura, in grado di assicurare la piena e produttiva occupazione e un lavoro dignitoso per tutti”. Conciliare pertanto innovazione, sviluppo, sostenibilità, produttività e occupazione, è un obiettivo molto ambizioso, soprattutto per un paese come il nostro, con tutte le sue ben note carenze strutturali. Ma – come dicevano i latini – hic rodus, hic salta! È questa la partita del futuro che si deve giocare, qui e ora, il sistema Italia: da questo orizzonte non si sfugge, ed è bene rendersene conto il prima possibile.
Una prima efficace rappresentazione prospettica di questo modello di sviluppo è offerta dal lavoro prodotto dall’ESIR (Expert group on the economic and societal impact of research and innovation) della Commissione europea nel febbraio di quest’anno[2].
Industria 5.0: un modello di sviluppo industriale “rigenerativo e circolare”
L’investimento in innovazione nella nuova prospettiva di Industria 5.0 deve perciò intendersi come parte integrante di un modello di sviluppo industriale “rigenerativo e circolare”, come sostiene il documento dell’ESIR.
E ciò comporta inevitabilmente una profonda trasformazione dei modelli di business, con una ridefinizione delle catene del valore, l’adozione di metriche e indicatori che rendano misurabili i progressi compiuti, l’introduzione di una nuova prospettiva giuridico-normativa rispetto alla definizione delle soluzioni di policy, e un radicale cambiamento della politica economica e industriale, anche in termini di investimenti finanziari e di corporate governance.
Il tutto collegato a una serie di disposizioni abilitanti, che avranno per lo più la forma di procedimenti amministrativi autorizzati, in grado di riconnettere in maniera sistematica e integrata le azioni di imprese e attività produttive al quadro della cosiddetta “transizione gemellare”, con cui l’Unione Europea intende collegare la transizione digitale alla sostenibilità ambientale e alla salvaguardia del clima.
L’impatto di Industria 5.0 sui procedimenti amministrativi
A tal proposito non possiamo non pensare al nostro caso, come quello di molti altri professionisti che avranno il compito di supportare le imprese in questa trasformazione. Ad esempio, provate a pensare, in questo contesto, che cosa diventino strumenti quali le autorizzazioni amministrative previste per l’insediamento di attività produttive, a partire dalla comunicazione di inizio attività, per arrivare fino alla valutazione di impatto ambientale. Sono passaggi quotidiani decisivi per assicurare la compatibilità con gli obiettivi di sostenibilità di cui abbiamo parlato.
Qui l’importanza di un procedimento amministrativo rapido e semplificato per l’implementazione efficace delle politiche pubbliche collegate alle linee di investimento del PNRR a cui abbiamo più volte accennato si associa, in prospettiva, con una nuova funzione del procedimento stesso, inteso come condizione di garanzia per assicurare la coerenza delle attività produttive in essere con gli obiettivi per uno sviluppo sostenibile.
E il ruolo dei professionisti che si occupano di pratiche amministrative diventa fondamentale. Poiché non si tratta più soltanto di agevolare l’accesso al procedimento amministrativo di molte attività imprenditoriali, mettendo a disposizione le competenze professionali che si hanno in ambito digitale. Ma si tratta di rappresentare un passaggio indispensabile per la verifica quotidiana dell’allineamento fra scopi economici dell’impresa, obiettivi produttivi della collettività e compatibilità con il modello di sviluppo sostenibile adottato in prospettiva europea.
L’importanza di un procedimento amministrativo rapido e semplificato
Nel momento stesso in cui Industria 5.0, nel quadro della normativa europea sul nuovo modello di sviluppo economico per i paesi membri, ridefinisce l’orizzonte degli interventi a sostegno e incentivo delle innovazioni tecnologiche, poiché condiziona tale orizzonte all’assolvimento di un più ampio insieme di obiettivi di sostenibilità, non solo ambientale, ma economica e sociale, e di inclusività, l’impatto della trasformazione digitale deve necessariamente essere considerato sotto diversi punti di vista. Facciamo un esempio per chiarire meglio ciò che intendiamo dire. Consideriamo gli adempimenti amministrativi inerenti l’insediamento di una qualsiasi attività produttiva, anche perché si tratta del terreno sul quale noi professionisti delle pratiche amministrative possiamo vantare una chiara esperienza. Una volta a regime, Industria 5.0 sarà destinata a produrre diverse conseguenze sui procedimenti amministrativi. Non soltanto rispetto allo snellimento e alla semplificazione delle procedure burocratiche, che grazie al contributo sempre più incisivo delle tecnologie digitali potranno essere più facili e veloci. Perciò autorizzazioni che oggi, a seconda della complessità, possono richiedere ancora settimane se non mesi (si pensi a un centro commerciale), si potranno completare in tempi molto più rapidi ed essere molto più omogenee fra sportelli di amministrazioni diverse.
Dobbiamo superare il gap che esiste oggi tra territori dove il rilascio di una autorizzazione in termini di tempo, determina la scelta dell’insediamento produttivo, qualunque esso sia. Ma anche rispetto alla verifica e alla conseguente attestazione della compatibilità con gli obiettivi strategici per lo sviluppo sostenibile, che certamente imporranno modifiche alle attuali procedure di autorizzazione, che grazie alle tecnologie digitali potranno essere realizzate senza un ulteriore aggravio dei procedimenti, sempre che vi siano le competenze necessarie a realizzare questi passaggi con efficacia e rapidità.
Un divario digitale da colmare con urgenza
E qui veniamo a un punto dolente, quanto meno per quel che riguarda il nostro paese: l’elevato digital divide che ancora oggi contraddistingue ampie fasce della nostra popolazione. Come ben sappiamo dai Rapporti sulla digitalizzazione dell’economia e della società degli stati membri UE, solo il 46% degli italiani dispone delle cosiddette competenze digitali di base, a fronte di una media europea che si attesta al 54%. È infatti di queste settimane l’avvio del piano per la “Rete dei punti di facilitazione digitale”, per il quale nel PNRR sono stati stanziati 135 milioni di euro, che dovrà portare alla realizzazione di 3.000 punti di facilitazione sul territorio. Uno sforzo senza dubbio imponente, ma che potrebbe anche non risultare sufficiente. Teniamo presente che, rispetto alla superficie e alla popolazione del nostro paese, stiamo parlando di un punto di facilitazione ogni 100 km, ovvero ogni 20 mila persone.
Senza dimenticare che talvolta il deficit di competenze digitali viene accusato anche dal sistema delle imprese, soprattutto da quelle medio-piccole e micro.
Siamo perciò dell’avviso che affinché Industria 5.0 possa funzionare al meglio sarà indispensabile anche il contributo dei professionisti delle pratiche amministrative che con le loro competenze, nella loro attività quotidiana, potranno assicurare il rapido accesso alle procedure amministrative digitali, oltre che agevolare l’attestazione degli obiettivi strategici per lo sviluppo sostenibile laddove richiesto, contribuendo al tempo stesso – a fianco dei punti di facilitazione digitale – al definitivo superamento del digital divide che ancora siamo costretti a scontare, cittadini e imprese, rispetto a molti altri paesi europei. Tra l’altro per noi non sarebbe nemmeno una novità visto che è dal 2000, con l’avvento della firma digitale applicata ai procedimenti amministrativi che svolgiamo un ruolo di facilitatori e divulgatori di cultura digitale.
Conclusioni
Il tempo stringe e perciò occorre che quanto prima, gli interlocutori istituzionali cui spetta il compito di innescare questo processo, a cominciare dal dicastero competente (il MIMIT), avviino una fase di ascolto, confronto e concertazione, che non deve limitarsi a sentire la solita cerchia ristretta di soggetti, proprio perché oggi più che mai tali soggetti non possono intendersi come protagonisti in via esclusiva del mondo che verrà. Per realizzare una “transizione gemellare” in grado di ancorare il nostro sistema economico e produttivo al modello di sviluppo che in sede europea si sta delineando sotto le insegne di Industria 5.0 è necessario un confronto continuo, sistematico e costruttivo con le diverse rappresentanze del mondo delle professioni e dell’impresa, consapevoli che l’obiettivo che si intende raggiungere implica un cambiamento culturale e di paradigma che potrà dare i suoi frutti soltanto se sarà condiviso. Noi di UNAPPA siamo pronti a fare la nostra parte.
Note
[1]È bene ricordare quanti e quali siano questi obiettivi di sviluppo sostenibile, noti al pubblico degli esperti come SGD (Suistainable Development Goals):
- porre fine alla povertà in tutte le sue forme in tutto il mondo;
- porre fine alla fame, realizzare la sicurezza alimentare e una migliore nutrizione e promuovere l’agricoltura sostenibile;
- assicurare la salute e il benessere per tutti e per tutte le età;
- garantire un’istruzione di qualità inclusiva e paritaria e di promuovere opportunità di apprendimento permanente per tutti;
- raggiungere la parità di genere e l’empowerment di tutte le donne e le ragazze;
- garantire la disponibilità e la gestione sostenibile delle risorse idriche e servizi igienico-sanitari per tutti;
- assicurare a tutti l’accesso universale e affidabile ai servizi di produzione di energia moderni a prezzi accessibili;
- promuovere una crescita economica duratura, inclusiva e sostenibile, la piena e produttiva occupazione e un lavoro dignitoso per tutti;
- costruire infrastrutture resistenti, promuovere l’industrializzazione inclusiva e sostenibile e promuovere l’innovazione;
- ridurre le disuguaglianze all’interno e tra i paesi;
- rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, sicuri, flessibili e sostenibili;
- garantire modelli di consumo e produzione sostenibili;
- adottare misure urgenti per combattere il cambiamento climatico e le sue conseguenze;
- conservare e utilizzare in modo durevole gli oceani, i mari e delle risorse marine per lo sviluppo sostenibile;
- proteggere, restaurare e promuovere l’uso sostenibile degli ecosistemi terrestri, gestire in modo sostenibile le foreste, lotta alla desertificazione, e fermare e invertire il degrado del suolo e arrestare la perdita di biodiversità;
- promuovere società pacifiche e inclusivi per lo sviluppo sostenibile, fornire l’accesso alla giustizia per tutti e costruire istituzioni efficaci, responsabili e inclusive a tutti i livelli;
- rafforzare le modalità di attuazione e di rivitalizzare il partenariato globale per lo sviluppo sostenibile.
[2] European Commission, Directorate-General for Research and Innovation, Dixson-Declève, S., Renda, A., Isaksson, D.et al., Transformation in the poly-crisis age – , Publications Office of the European Union, 2023, https://data.europa.eu/doi/10.2777/360282.