Il mercato della firma elettronica è in continua crescita, trainato dalla necessità di digitalizzare i processi e di semplificare le fasi di raccolta delle firme e del consenso dei cittadini/consumatori. Secondo una ricerca di MarketsandMarkets, si tratta di un mercato che ha raggiunto i 5,5 miliardi di dollari nel 2022 e che dovrebbe arrivare a valere 25,7 miliardi di dollari entro il 2027.
Il che significa che il suo incremento non dipenderà, come è avvenuto nell’ultimo biennio, da un fenomeno come quello della pandemia, che ha reso evidente la necessità di soluzioni a supporto del lavoro a distanza. Sarà dettato da esigenze sempre più sentite di efficientamento e innovazione che riguardano tutti gli attori a vario titolo coinvolti nella trasformazione dei meccanismi di identificazione.
Senza dimenticare che da qualche anno, prima dell’arrivo del Covid-19, la normativa europea aveva intrapreso un percorso per definire un quadro di riferimento in questo ambito.
Le diverse tipologie di firma elettronica
È in particolare con il regolamento UE 917/2014 eIDAS (electronic IDentification Authentication and Signature) che è stata contemplata una base comune per le interazioni elettroniche sicure fra cittadini, imprese e pubbliche amministrazioni che operano all’interno dell’Unione Europea.
Il regolamento stabilisce quali devono essere i mezzi di identificazione elettronica delle persone fisiche e giuridiche che operano in Europa, nonché le norme che riguardano le transazioni elettroniche con valore legale. Trattandosi di un regolamento, e non di una direttiva, la sua applicazione in tutti gli Stati membri dell’UE non ha richiesto il recepimento da parte di ciascun Paese.
In Italia, ad esempio, è stato il fondamento su cui la pubblica amministrazione ha dato vita allo SPID. L’eIDAS, inoltre, ha introdotto il concetto di firma elettronica qualificata (FEQ) come la forma più avanzata e sicura di firma digitale che richiede un certificato emesso da un provider di servizi accreditato.
La FEQ ha lo stesso valore legale della firma autografa e può essere utilizzata per transazioni commerciali di alto valore economico. Differisce dalla firma elettronica semplice (FES) che non richiede particolari misure di sicurezza ed è adatta per transazioni commerciali di valore economico limitato.
In quanto tale, la FES non ha caratteristica probatoria in sé e quindi la valutazione della sua validità si espone al contenzioso in sede giudiziale. Una via di mezzo tra queste due firme è la firma elettronica avanzata (FEA), disciplinata dal Decreto Legislativo n. 82 del 7 marzo 2005, che richiede l’utilizzo di tecniche di autenticazione e di crittografia più evolute rispetto alla FES.
Non solo compliance, è anche questione di experience
Non è detto che per ogni transazione occorra avvalersi necessariamente di una di queste firme, perché dipende dalla specifica esigenza dell’azienda. È anche vero che qualsiasi fornitore che opera in questo ambito deve essere in grado di suggerire all’organizzazione qual è il tipo di firma elettronica più adeguata alle sue tipologie di transazioni, anche alla luce della legislazione specifica che interessa l’azienda.
Non solo. Il fornitore deve anche accompagnare il cliente in un percorso che tenga conto della semplificazione dei processi di onboarding. In altri termini, garantire la compliance normativa risulta insufficiente se poi la stipula di un contratto o l’accesso a un servizio della pubblica amministrazione diventano un percorso a ostacoli per l’utente finale.
Se pensiamo al KYC (Know Your Customer), cioè allo standard previsto da istituzioni finanziarie e altri soggetti per verificare l’identità dei clienti allo scopo di prevenire il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo, la conciliazione di questi due aspetti è evidente.
Il Decreto Legislativo n. 231 del 21 novembre 2007, successivamente integrato dal Decreto Legislativo n. 90 del 25 maggio 2017, prescrive l’obbligo per soggetti che appartengono soprattutto al mondo finance e assicurativo di verificare l’identità dei clienti e di monitorare le loro attività finanziarie.
Questo significa che le soluzioni per raccogliere firma e documentazione devono supportare vari scenari, cercando di minimizzare lo sforzo richiesto sia all’azienda sia al cliente. Che si tratti di una tavoletta per la firma grafometrica o di un sistema per la gestione dell’onboarding a distanza, la prima deve potere poi integrare nei propri flussi le fasi successive all’acquisizione, il secondo deve essere messo in grado di vivere una user experience assolutamente positiva.
Dagli istituti bancari a tutti i settori economici
L’anno scorso Deloitte e ABBL hanno svolto uno studio di mercato riguardo alla consapevolezza e i livelli di adozione di firma elettronica e tecnologie per l’onboarding digitale su un campione di 50 aziende. Per la maggior parte degli intervistati, la firma elettronica è considerata vitale o di estremo interesse. Complessivamente, circa il 60% del campione ha già adottato una soluzione di firma elettronica, generalmente un mix tra semplice, avanzata e qualificata. Sul fronte invece dell’onboarding digitale, pur riconoscendo la necessità di doverlo implementare, solo circa il 20% l’ha già fatto. Questi dati possono essere indicativi di una propensione a optare per l’una o per l’altro soprattutto in funzione di obiettivi di compliance da raggiungere. Va anche ricordato che non sono ovviamente soltanto banche e istituzioni finanziarie a impiegare ormai firma elettronica e digital onboarding.
Oggi qualsiasi azienda, se intende innovare il customer journey offerto ai clienti, non può più prescindere da questi strumenti. È il motivo per cui retail e GDO, utility, telco, sanità pubblica e privata (solo per fare alcuni esempi) adoperano soluzioni di questo tipo. Se prendiamo ad esempio la sanità pubblica, le ASL che si sono servite di sistemi di firma elettronica e di digital onboarding per la somministrazione dei vaccini anti-Covid, hanno accorciato enormemente i tempi di attesa dei cittadini. Analogamente, al di là della circostanza scatenata dalla pandemia, l’accesso alle cure tramite forme di prenotazione dematerializzata contribuisce a determinare indubbi vantaggi in termini di miglioramento dell’esperienza dei pazienti, riduzione dei costi generali, maggiore produttività degli operatori e minore impatto ambientale.
Come far andare d’accordo sostenibilità e convenienza
Il minore impatto ambientale, cioè la sostenibilità, è probabilmente uno degli aspetti su cui è bene fare un accenno in conclusione. La firma elettronica e l’onboarding digitale non solo favoriscono modelli di lavoro da remoto, con la conseguente diminuzione degli spostamenti e quindi dell’inquinamento connesso ai mezzi di trasporto, ma riducono drasticamente il consumo di carta. E questo sia nella fase di acquisizione della firma e della documentazione sia in quella successiva di archiviazione e conservazione. È stato calcolato che in un semplice studio dentistico, sostituendo la gestione documentale cartacea con quella digitale e introducendo la firma elettronica si potrebbero risparmiare in media tra i 5.000 e i 10.000 euro in un anno. Un risparmio computato, oltre che per il venir meno dei costi collegati alla stampante, anche per via dell’ottimizzazione del tempo da parte del personale amministrativo. Con un triplice beneficio, quindi, per il pianeta, l’azienda e il paziente. Un numero inferiore di alberi abbattuti è conveniente per l’azienda, che ha spese più contenute, e genera più soddisfazione nel cliente, che riceve un servizio in maniera più veloce di quanto accadrebbe se si utilizzasse la carta.