La digital afterlife industry rappresenta un settore in crescita. Sul mercato sono presenti diverse compagnie e soluzioni per gestire la perdita e il lutto come WheniLeave.com e SageBeyong, in cui gli utenti lasciano messaggi, foto, video per quando non ci saranno più, o Eterni.me, un servizio che permette di creare un avatar con cui i cari possono interagire dopo la propria morte.
Cosa sono le tanatecnologie
In generale, tutte le tecnologie che vengono usate per fornire supporto tecnico, risorse, conforto, condivisione e assistenza nell’affrontare un lutto fanno capo alla thanatechnology (Sofka, 1997). Tra queste, le death technologies includono tutti quei servizi e soluzioni riguardanti la parte tecnica (come conservazione dei file e memoria digitale di conversazioni, foto, ecc.) mentre le grief technologies sono quelle dedicate al supporto emotivo e alla condivisione del lutto, tra cui griefbot, memoriali sui social, pagine commemorative e tutto ciò che ci permette mantenere un contatto con la persona cara.
Le tecnologie per l’elaborazione del lutto
Le thanatecnologies approcciano l’esperienza della perdita in molti modi prendendo in considerazione dimensione privata e pubblica del lutto.
Possiamo definire chiaramente cosa vogliamo rimanga quando non ci saremo più e fare un vero e proprio testamento digitale per pianificare cosa, come e a chi lasceremo della nostra presenza online.
Le app per gestire il dolore
Per chi invece la perdita l’ha subita esistono app con materiale informativo e risorse che aiutano a comprendere il dolore, a gestire emozioni e pensieri legati al lutto; altre app che promuovo l’autoriflessione incentivando l’elaborazione dei propri sentimenti.
In ambito clinico, ci sono app che forniscono servizi di consulenza e terapia virtuale in forma di chat testuale o video, consentendo agli utenti di connettersi da remoto con terapeuti certificati. Anche la realtà virtuale viene utilizzata per aiutare a elaborare il lutto e a gestire le proprie emozioni attraverso esperienze in ambienti accoglienti o meditazioni guidate.
I griefbot
Ci sono poi i griefbot, cioè dei chatbot che, basandosi sulle tracce digitali del defunto, ne riproducono una copia con cui è possibile interagire e dialogare, come con qualsiasi chatbot.
L’esperienza della morte è anche socialmente co-costruita e condivisa; anche online non mancano luoghi digitali che possono offrire un senso di appartenenza e comprensione grazie al contatto con altri che stanno vivendo esperienze simili.
Spazi sicuri in cui condividere emozioni e consigli
Forum, gruppi sui social, comunità sono spazi sicuri in cui condividere emozioni e consigli, sostenendosi a vicenda; ancora, siti web commemorativi e memoriali online sono bacheche digitali su cui è possibile condividere foto, video, storie e ricordi, consentendo ad amici e familiari di partecipare al processo di elaborazione del lutto; alcuni siti offrono anche funzioni come l’accensione di candele virtuali o i guestbook online per lasciare messaggi di cordoglio.
La morte di una persona cara è un’esperienza privata e allo stesso tempo collettiva; come viene vissuta rimane soggettivo. Le thanatecnologies offrono alternative per chi preferisce un’esperienza più riservata così come per chi invece sente il bisogno di condividere questo vissuto.
Immortalità digitale
Online lasciamo tracce, indizi, segni di noi come e-mail, post di blog o social, fotografie, video, commenti, condivisioni, cronologia di ricerche, spostamenti e telefonate, tutti accessibili anche quando non ci saremo più.
Una buona parte di noi comunque rimane. Con la nostra presenza online si può interagire in diversi modi attraverso una comunicazione unidirezionale e bidirezionale: nel primo caso, la presenza è “in sola lettura”, è possibile visualizzarla, leggerla, lasciare un commento come nella pagine commemorative; nel secondo caso si può dialogare in forma testuale o con vocali e video. La bidirezionalità implica anche una certa agentività da parte della tecnologia (come nei griefbot): poter dialogare con messaggi scritti o vocali, avviare una conversazione in modo autonomo, avere risposte e fare domande, conferisce una certa illusione di realtà (Savin-Baden, Burden & Taylor, 2017).
In un certo senso, diventiamo immortali. O almeno, una consistente parte di noi. Le tecnologie che si nutrono di quello che abbiamo lasciato online per creare avatar o rappresentazioni di noi non tengono conto di come siamo offline, delle conversazioni che abbiamo avuto dal vivo, dei diversi contesti di cui facevamo parte. Attingendo solo dai dati digitali qualsiasi riproduzione non potrà essere realmente fedele all’originale; inoltre andrà a prendere un set di dati cristallizzato in un dato momento, per cui non sarà in grado di adattarsi e diversificare le risposte a seconda del contesto e dell’interlocutore (Elder, 2020).
La nostra eredità digitale
Da un lato possiamo gestire e lasciare una eredità digitale, qualcosa che parli di noi ai nostri cari anche dopo la nostra dipartita. Dall’altro, quello che lasciamo ci rappresenta davvero? Ancora, vogliamo sia noto proprio tutto di quello che abbiamo fatto online e sui nostri dispositivi?
Le nostre tracce digitali potrebbero rivelare aspetti della nostra vita privata di cui non vorremmo alcune persone venissero a conoscenza.
I resti digitali, tutto quello che lasciamo al nostro passaggio, dovrebbero essere considerati alla stregua delle nostre spoglie, considerati come parte integrante della persona e come tali soggette alle stesse limitazioni e diritti (Öhman e Floridi, 2018). I testamenti digitali e le istruzioni su cosa fare della nostra eredità digitale possono rispondere in parte a questa esigenza.
C’è poi da capire cosa resta a chi rimane.
Anche se le thanatecnologies sono utili nell’elaborazione del lutto come strategia di coping e adattamento c’è il rischio che cronicizzino schemi di evitamento e negazione. Abbiamo la tendenza ad attribuire qualità antropomorfe alle tecnologie (soprattutto a quelle che simulano linguaggio umano come i chatbot); non è quindi improbabile ritenere che possano ostacolare il processo di distacco ed elaborazione del lutto (Elder, 2020).
Quello che è tecnicamente possibile non sempre corrisponde a quello che è eticamente corretto.
Conclusioni
Viene chiamata digital afterlife industry appunto perché è un’industria che si basa sul profitto, in questo caso derivato dalla monetizzazione delle informazioni digitali. La capitalizzazione dei resti digitali non viene fatta necessariamente nel miglior interesse delle persone in lutto nè tenendo in considerazione la loro fragilità psicologica: le aziende che mercificano questi dati mettono in atto diverse strategie per mantenere vive le interazioni per esempio inviando notifiche o aggiornamenti per incentivarne l’utilizzo (Öhman e Floridi, 2018; Jiménez-Alonso e Brescó de Luna, 2023). Potrebbe essere dannoso per il processo di elaborazione del lutto non solo perché una perdita è già di per sé una situazione a rischio ma ancora di più con soggetti fragili e vulnerabili.
Le thanatecnologies cambiano il modo di elaborare e condividere la perdita, sono uno strumento per mediare l’esperienza del lutto, per mantenere il legame e per preservare la memoria di chi non c’è più; il confine tra ciò che è opportuno e cosa non lo è rimane nella sfera intima e privata di ogni persona.
Bibliografia
Elder, A. (2020). Conversation from Beyond the Grave? A Neo-Confucian Ethics of Chatbots of the Dead. Journal of Applied Philosophy, 37(1), 73–88.
Jiménez-Alonso, B., & Brescó de Luna, I. (2023). Griefbots. A new way of communicating with the dead?. Integrative Psychological and Behavioral Science, 57(2), 466-481.
Öhman, C., & Floridi, L. (2018). An Ethical Framework for the Digital Afterlife Industry. Nature Human Behaviour, 2, 318–320.
Savin-Baden, M., Burden, D., & Taylor, H. (2017). The Ethics and Impact of Digital Immortality. Knowledge Cultures, 5(2), 11–19.
Sofka, C. (1997). Social Support “Internetworks,” Caskets for Sale, and More: Thanatology and the Information Superhighway. Death Studies, 21(6), 553–574.