L’Online News Act canadese (Bill C-18 ) entra ufficialmente in vigore, dopo aver ricevuto il cosiddetto Royal Assent lo scorso giugno 2023.
Gli obiettivi dell’online news act
La nuova normativa, sulla scorta della pioneristica legge australiana e tenuto conto di svariati provvedimenti di analogo tenore presentati nel corso del tempo, mira a realizzare, nel rispetto della libertà di espressione e dell’indipendenza giornalistica, “un’equa ripartizione delle entrate tra le piattaforme digitali e le testate giornalistiche”, al fine di garantire la “sostenibilità dell’ecosistema dell’informazione”.
La “ratio” dell’intervento, riconoscendo il ruolo sempre più centrale degli intermediari telematici nella circolazione delle notizie su larga scala, incentiva la conclusione di appositi accordi commerciali con l’industria dei mass media. In particolare, all’esito di negoziati predisposti in sede di contrattazione tra le parti su base volontaria (o in subordine, ricorrendo a procedure arbitrali per definire la congruità dell’offerta finale dovuta a titolo di remunerazione), si subordina la diffusione dei contenuti editoriali condivisi online al pagamento di un adeguato compenso stabilito come corrispettivo per l’uso delle informazioni generate dalle testate giornalistiche.
L’ambito di operatività della legge canadese
L’ambito di operatività della legge canadese si estende a qualsiasi “intermediario di notizie digitali” e trova applicazione tutte le volte in cui, tenuto conto delle specifiche circostanze del caso concreto, “esiste un significativo squilibrio di potere contrattuale” tra le piattaforme telematiche e le imprese che operano nel settore dell’informazione.
Per “intermediario di notizie digitali” si intende “una piattaforma di comunicazione online, compreso un motore di ricerca o un servizio di social media, soggetta all’autorità legislativa del Parlamento e che mette a disposizione delle persone in Canada i contenuti delle notizie prodotte”, ad esclusione delle piattaforme di comunicazione online che si limitano a fornire un “servizio di messaggistica il cui scopo principale è consentire alle persone di comunicare tra loro privatamente” (cfr. art. 2).
La reazione delle big tech
Rispetto al nuovo quadro normativo predisposto in materia, non si è fatta attendere la reazione delle “Big-tech”.
Meta
Meta, ad esempio, assumendo una posizione critica a fronte delle novità introdotte dal legislatore canadese, prende tempo nell’adeguarsi alla disciplina emanata con l’intento di imporre alle piattaforme telematiche l’obbligo di pagare gli editori delle testate giornalistiche per la condivisione dei relativi contenuti. Lo riporta un articolo del “Financial Times” che descrive, come possibile strategia “ritorsiva” da parte di Zuckerberg, la scelta di ridurre la visualizzazione indicizzata di notizie di attualità e di politica all’interno del suo network per dare spazio ad altri tipi di informazioni veicolate dagli utenti, valorizzando soprattutto le finalità interattive di intrattenimento in grado di incrementare il livello di engagement. In questo senso, persino il recente lancio della nuova app Threads (accessibile agli account già registrati su Instagram) – che ha in poco tempo raggiunto un’elevata popolarità grazie al notevole numero di iscritti – sembrerebbe avallare il medesimo cambio di rotta perseguito da Meta, stando, appunto, alla ricostruzione delineata dal quotidiano britannico.
Peraltro, lo stesso Zuckerberg ha manifestato il medesimo atteggiamento ostile, prospettando sempre la rimozione delle notizie dalla piattaforma sociale, anche nei confronti della cd. California Journalism Preservation Act (AB-886) – poi sospeso fino al 2024 – che prescrive il pagamento di una “tassa di utilizzo del giornalismo” per la diffusione di contenuti editoriali, nell’ottica di condividere gli introiti pubblicitari generati dall’industria dell’informazione.
Così come Meta, anche Google, secondo quanto reso noto dal “The Guardian”, ha annunciato l’interruzione del servizio di accesso ai contenuti canadesi condivisi online.
In particolare, sulla base di un’argomentata motivazione pubblicata all’interno del suo blog, il Gigante di Mountain View ritiene il citato intervento normativo “impraticabile” e lo critica apertamente come regolamentazione “senza precedenti”, nella parte in cui, introducendo una sorta di “tassa sui link”, altera le tipiche modalità di funzionamento di un motore di ricerca e richiede una remunerazione per “qualcosa che tutti gli altri fanno gratuitamente”.
Dopo una prima fase di interlocuzioni formali promosse in occasione di svariate audizioni istituzionali, al fine di formulare una serie di raccomandazioni e soluzioni elaborate con l’intento di contribuire a migliorare il testo della legge, anche Google ha, dunque, ritenuto inevitabile formalizzare il proprio disappunto di aperta contrarietà alla nuova legge. Per tale ragione, ha dunque deciso di voler procedere all’eliminazione di tutti i link alle notizie canadesi visibili nell’elenco dei risultati di ricerca, come necessaria soluzione funzionale ad evitare di compromettere l’efficiente funzionamento dei servizi digitali nel rispetto della propria “mission” generale di “rendere le informazioni accessibili a tutti”.
L’Online News Act, infatti, ad avviso di Google, non sembra prendere in considerazione il rilevante sostegno economico e operativo fornito dall’azienda californiana al giornalismo canadese nell’ambito, tra l’altro, del programma Google News Showcase promosso non solo per aiutare “gli editori a guadagnare attraverso annunci e nuovi abbonamenti” (garantendo loro “cinque miliardi di visite all’anno […] senza alcun costo”, al solo fine di “aumentare il numero di lettori” e incrementare gli introiti sino ad “un valore stimato di 500 milioni di dollari”), ma, altresì, per consentire agli utenti “di trovare siti di notizie più di 24 miliardi di volte al mese” (di cui “quasi l’80% dei canadesi riceve le notizie da un’ampia varietà di fonti, come siti di notizie online, app, newsletter, aggregatori, feed di social media, TV e stampa”, sulla scorta di quanto tiene a precisare il quartier generale di Google).
I rischi della normativa canadese secondo Google
Le critiche manifestate da Google entrano, altresì, nel merito della menzionata normativa canadese.
Oltre a porre a carico degli intermediari telematici l’obbligo di retribuire gli editori delle testate giornalistiche senza, invece, valutare lo straordinario valore economico del ritorno pubblicitario generato dal traffico virtuale di ricerca per la viralizzazione delle notizie che circolano nell’ambiente digitale, l’intervento del legislatore si ritiene censurabile poiché potrebbe ridurre il livello qualitativo del giornalismo: alla luce di una formulazione troppo vaga e generica delle disposizioni introdotte, infatti, la possibilità di attribuire il diritto a ricevere il compenso indistintamente a qualsiasi blog gestito da due o più persone per diffondere “questioni attuali o eventi di interesse pubblico” sarebbe astrattamente in grado di incentivare, sia pure in modo indiretto, finalità speculative di massimizzazione del profitto derivante dal pagamento corrisposto per l’indistinta generalità di contenuti condivisi online, anche rispetto a possibili fonti propagandistiche di disinformazione tossica. Da ciò discenderebbe, pertanto, come rilevante pericolo, la proliferazione di contenuti nocivi, fuorvianti e dannosi, a discapito di standard minimi di pertinenza, accuratezza e precisione da dover assicurare, come assoluta priorità di inderogabile salvaguardia, nella circolazione delle informazioni veicolate alla collettività.
Inoltre, inficiando la neutralità e la libertà di accesso a Internet, ad avviso di Google, “l’Online News Act darebbe alle autorità di regolamentazione un’influenza senza precedenti sulle notizie”, conferendo, ad esempio, alla Commissione canadese per la radio-televisione e le telecomunicazioni (CRTC) il potere di riconoscere e/o negare lo status di giornalista, di qualificare le notizie come ammissibili o meno e di stabilire l’entità dell’importo da versare a titolo di compenso per l’utilizzo dei contenuti veicolati online mediante un ampio sindacato decisionale, alquanto discutibile anche in ragione della possibilità di irrogare sanzioni e di incidere sulle dinamiche concorrenziali del libero mercato.
Digitale e crisi dei mass media
In attesa di verificare l’impatto effettivo che tali interventi normativi determineranno nella concreta prassi, resta centrale, come complesso problema sistemico attuale, la crisi generale dei mass media di fronte alle nuove dinamiche comunicative che caratterizzano l’ambiente digitale, ove risulta sempre più difficile il reperimento selettivo e accurato di fonti di qualità, affidabili, autorevoli e veritiere rispetto alla significativa mole di informazioni che si disperdono nel flusso di contenuti veicolati online.
Alla luce di tale scenario, le descritte riforme legislative rappresentano davvero una soluzione efficace per rilanciare l’editoria digitale, ponendo a carico delle piattaforme telematiche stringenti adempimenti di carattere patrimoniale da cui trarre risorse utilizzabili nell’ambito di inediti meccanismi redistributivi della ricchezza prodotta dalla nuova economia tecnologica, piuttosto che stimolare una proattiva visione di pervasivo cambiamento culturale in grado di realizzare la rigenerazione complessiva dell’industria dei media?
Non si corre, piuttosto, il rischio di incrementare, mediante l’allettante prospettazione di incentivi lucrativi indistintamente elargiti “a pioggia”, la proliferazione di contenuti virtuali ancora più polarizzati e sensazionalistici pubblicati al solo fine di catturare l’attenzione della generalità degli utenti verso flussi estremizzati verosimilmente prodotti anche da fonti imprecise, false o fuorvianti per ottenere una maggiore viralizzazione online grazie al maggiore numero di click in grado di generare elevati ricavi?