alimentazione

L’illusione di mangiare sano grazie all’algoritmo: i rischi del modello Nutriscore



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Il Nutriscore è un sistema di etichettatura a semaforo che, invece di informare la persona su cosa stia mangiando, pretende di educarla, condizionandone quindi vita e regime alimentare. Le soluzioni efficaci basate sulla tecnologia non possono essere così

Pubblicato il 4 ago 2023

Pietro Paganini

Presidente Competere.Eu – Policies for Stustainable Development



app alimentare

Sarà banale, ma va detto: anche l’algoritmo può sbagliarsi. Soprattutto quando, da strumento tecnologico utile per l’uomo, si trasforma in un giogo di cui l’uomo stesso è schiavo. Osserviamo, ad esempio, il campo dell’alimentazione, in cui si cerca di risolvere i problemi pensando che sia sufficiente un’etichetta sul cibo per far capire al consumatore che sta mangiando bene o male. Tuttavia, è proprio l’innovazione che può invertire la rotta e arrestare la minaccia del Grande fratello alimentare.

Alimentazione, abbiamo un problema

Si parla spesso di emergenza alimentare. Non è allarmismo, anzi. Quando la popolazione mondiale arriva a 8 miliardi di persone – che nel 2050 saranno 10 – e richiede una media giornaliera di 20 trilioni di calorie, c’è un problema. Di sfruttamento, approvvigionamento e distribuzione delle risorse. Siamo in tanti incidiamo sulla disponibilità del cibo e, mangiando, impattiamo sull’ambiente.

C’è poi un paradosso. L’ultimo rapporto sull’alimentazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) denuncia, da un lato, che fattori quali sovrappeso e obesità vanno a colpire circa il 60% degli adulti, dall’altro, che il 10% della popolazione mondiale si ammala ogni anno per aver mangiato cibo contaminato. Di questi, 420mila non sopravvivono.

Conseguenza ancora più scioccante è che l’aspettativa di vita mondiale, che cresce costantemente da decenni, rischia di invertire la rotta, riducendosi per la prima volta, proprio a causa dell’obesità e della cattiva alimentazione.

Alimentazione: la soluzione europea

Uno dei capitoli della transizione ecologica targata Unione europea riguarda appunto l’alimentazione. A Bruxelles va riconosciuto il merito di cercare una soluzione compatibile con il processo di cambiamento climatico e gli squilibri, ma ancor più le patologie legati all’alimentazione. Il dossier Farm to Fork, infatti, definisce nuove politiche agricole, che dovrebbero disciplinare in maniera sostenibile il cibo, dal campo in cui è prodotto, fino alla tavola del consumatore che lo mangia.

Tuttavia, queste nobili e assolutamente condivisibili intenzioni non appaiono sostenute da soluzioni altrettanto realistiche. Invece che incentivare la smart agriculture e le tecnologie più avanzate, da applicare in fase di produzione quanto anche al momento del consumo, il legislatore europeo sembra orientato ad adottare norme draconiane, che, prive di alcun supporto scientifico, rischiano di compromettere la libera scelta delle persone e la libera concorrenza tra le imprese.

L’esempio più immediato di Stato etico di cui si è travestita l’Europa è il Nutriscore, un sistema di etichettatura a semaforo che, invece di informare la persona su cosa stia mangiando, pretende di educarla, condizionandone quindi vita e regime alimentare.

Il sistema di etichettatura a semaforo

Qui urge un rapido intervento didascalico: elaborato in Francia e adottato, al momento, in Belgio, Germania, Lussemburgo, Paesi Bassi e Svizzera, il Nutriscore, per mezzo di un algoritmo, assegna un colore, e dunque un “via libera” o meno, a ogni alimento in base al livello di zuccheri, grassi e sale, calcolati su un parametro di riferimento di 100 grammi di prodotto.

In pratica, al cibo classificato buono e sano viene assegnata la lettera A e corrisposto il colore verde, per poi procedere con cibi di serie B e C, rispettivamente gialli e arancioni, e infine D, i rossi, ovvero i cibi che “fanno male” e che, stoppati proprio dal semaforo, non dovrebbero passare sulla tavola dei consumatori.

Al netto delle battaglie di retrovia sull’olio d’oliva e il parmigiano – che comunque hanno una loro ragion d’essere, è difficile pensare che provvedimenti di questo genere siano sostenibili in termini sociali, economici e addirittura culturali.

Il Nutriscore, infatti, non nasce dalla scienza e dal suo metodo sperimentale, bensì dalla burocrazia che, di fronte a un’emergenza, preferisce ricorrere alle soluzioni più semplicistiche e superficiali e senza farsi alcuno scrupolo di strumentalizzare l’Intelligenza artificiale.

Non c’è una ricerca empirica, infatti, che dimostri l’efficacia di questi sistemi. Ci sono studi, piuttosto inutili, che dimostrano che ai consumatori il Nutriscore piace. O meglio, risulta comodo. Come avviene per un semaforo in strada: rosso mi fermo, verde passo.

Il rischio di di iPhonizzazione alimentare

È facile ottenere consenso con questi trucchetti. Guardando i fatti, però emerge chiaramente che questo device, tanto fintamente sofisticato, non abbia portato alcun miglioramento della salute pubblica. Certo, è passato poco tempo. Come affermano i sostenitori del Nutriscore, sono ancora tanti i prodotti che non utilizzano questi sistemi valutativi. Sta di fatto che per ora di risultati non se ne vedono.

Sistemi a semafori o, come si stanno diffondendo in altri mercati extra-Ue, a stelline o puntini, sono dannosi perché illudono il consumatore che, grazie a un banale algoritmo, possa di mangiare sano.

Al contrario, questi sistemi sono l’anticamera della dieta universale, una sorta di iPhonizzazione alimentare.

La logica dietro questi schemi è semplice: il consumatore cerca il verde che gli viene proposto come salutare. La grande distribuzione gli va dietro. L’azienda produttrice deve altrettanto adeguarsi. Il doping di questo paradigma è dato dall’ente supremo, nel nostro caso la Commissione Ue che, se decidesse di imporre il Nutriscore a tutti i mercati dell’Unione, porrebbe tutte le forze produttive della filiera dell’agrifood di fronte a un bivio: modificare le ricette in funzione del Nutriscore A (verde, sano, giusto), restare escluse.

Le conseguenze di questo secondo caso sono evidenti: le aziende chiuderebbero. La prima opzione è invece più complessa. Riformulare le ricette secondo l’algoritmo vorrebbe dire rinunciare all’identità del prodotto. Tradizioni e sapori anche di lunga data verrebbero traditi. Le piccole imprese, incapaci di riformulare, sarebbero destinate a sparire. Solo le major del settore, peraltro non tutte, potrebbero permettersi di investire in innovazione e quindi sopravvivere.

Tecnologia buona

Nulla è perduto, però. La vera scienza, infatti, sta adottando efficaci e veritieri strumenti di studio dei fattori che più concorrono a condizionare – non determinare – la nostra salute. Dna, metabolismo, macrobioti, attività motoria, celebrale, stress, eccetera. Mai come oggi si è avuta la possibilità di studiare questi e altri elementi del nostro essere e averne una conoscenza panottica.  

L’Internet delle Cose e l’Intelligenza artificiale (quella buona), infatti, ci consentono di sapere in tempo reale – come la telemetria delle auto – come stiamo, quanto consumiamo, di cosa abbiamo bisogno. Dal telefono cellulare al più banale frigorifero aiutano ciascuno di noi a monitorare le esigenze alimentari, formulando così una dieta personalizzata.

Attenzione, però. Si tratta di trilioni di dati sanitari e personali che riguardano chi siamo nel nostro intimo più profondo. Si tratta di algoritmi che possono aiutarci a scegliere, ma che possono anche sensibilizzarci a scegliere o imporci cosa scegliere. L’algoritmo e l’Ai possono non essere neutri. Per esempio, un supermercato può consegnarci a domicilio quella barretta proteica di cui abbiamo – inconsapevolmente – necessità. Lo sa l’Ai, lo sa il supermercato, ma non lo sappiamo noi.

Conclusioni

Di questo si deve occupare il legislatore europeo. Questa è la sfida. E se non ce ne convinciamo, saranno altri che, prima e meglio di noi, maneggiare e manipolare la tecnologia a loro interesse. Cina, India, paesi mediorientali, o USA ci forniranno servizi, app e prodotti che noi europei utilizzeremo. Intanto, le nostre aziende saranno state bloccate da un semaforo, che non ha alcun impatto sulla salute ma che ci ha illuso di farci stare bene. 

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