Crisi pandemica, guerra in Europa e shock energetico in poco tempo hanno cambiato i punti di riferimento sociali, politici ed economici della nostra società, ridisegnando la mappa di abitudini consolidate e imprimendo un’accelerazione fortissima al nostro presente digitale.
Fin dal primo affacciarsi della “nuova normalità” – sotto forma di diffusione a macchia d’olio dello smartworking – studiosi, osservatori e policymaker hanno evidenziato come sarebbe un errore imperdonabile non cogliere l’occasione per portare il nostro sistema-Paese a livelli di sostenibilità ed efficienza più elevati, sfruttando la leva del digitale e giocando il “Jolly” del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR).
I servizi digitali della Pa per aiutare le imprese a cogliere le opportunità del cambiamento
I fondi assegnati all’Italia nell’ambito del piano Next Generation EU – da gestire attraverso il Pnrr – sono i più cospicui dell’intera Unione europea: 191,5 miliardi di euro, un quarto dei quali (48 miliardi) destinato alla transizione digitale.
In questa strategia, un ruolo cardine è senza dubbio quello che è chiamato a svolgere la Pubblica amministrazione. Dalle realtà centrali fino a quelle più periferiche, la diffusione di una cultura del servizio pubblico capace di tradurre le nuove tecnologie in servizi sarà determinante per favorire la transizione digitale. Non solo nelle abitudini sociali, ma anche in quelle che regolano le relazioni economiche e la vita d’impresa. L’occasione è ancora più importante perché, nella rincorsa alla competitività, lo sviluppo di una Pubblica amministrazione digitale rappresenta una leva chiave soprattutto per le Pmi.
L’offerta di servizi pubblici digitali sta crescendo e, pur se con ritardo rispetto all’Europa, cittadini e imprese stanno sperimentando l’impatto positivo del digitale nella loro vita attraverso molte applicazioni innovative.
Oltre 2,2 milioni di imprenditori hanno già l’azienda «in tasca»
Il cassetto digitale dell’imprenditore impresa.italia.it – varato dalle Camere di Commercio e realizzato da InfoCamere – è un esempio. L’accesso facile e unificato alle informazioni su mercati e operatori, insieme alla possibilità di condividerli rapidamente, è uno dei presupposti della competitività d’impresa.
Il servizio è nato con l’obiettivo di mettere letteralmente nelle mani dell’imprenditore – la sua progettazione ha seguito le linee guida dell’AgiD in una logica mobile first – l’accesso ai documenti ufficiali della propria azienda contenuti nel Registro delle imprese e quelli nello Sportello per le attività produttive (SUAP); la gestione delle fatture elettroniche insieme alla possibilità di firmare digitalmente i propri documenti semplicemente usando lo smartphone.
Cos’è Impresa.italia
Impresa italia.it è una web-app che, entro la fine dell’anno, sarà anche disponibile in versione scaricabile dai principali app store. Progettata secondo la metodologia mobile first, è perfettamente fruibile da smartphone e tablet oltre che utilizzabile anche dal computer della propria scrivania accedendo con SpID o CNS.
Dalla web-app è anche possibile accedere alle pratiche inviate al SUAP (lo Sportello Unico delle Attività Produttive) di oltre 4mila Comuni che utilizzano la piattaforma nazionale impresainungiorno.gov.it realizzata dal sistema camerale, così come agli atti presenti nel fascicolo d’impresa.
Secondo quanto previsto dall’ultimo decreto Semplificazioni, impresa.italia.it svolgerà il ruolo di punto di contatto per consentire alle imprese di dialogare in modo efficiente e trasparente con la Piattaforma Digitale Nazionale Dati (PDND), lo strumento istituito dal Governo per semplificare e velocizzare l’accesso alle informazioni pubbliche
In media, almeno una volta l’anno, ogni imprenditore ha bisogno dei documenti ufficiali della propria azienda (visura, bilancio, statuto, altri atti). Quasi sempre li ottiene pagandoli, senza sapere che – rivolgendosi alla Camera di commercio – per lui sono gratuiti. Se pensiamo che in Italia operano oltre 5 milioni di imprese parliamo di un minimo di spesa complessiva di 50 milioni di euro l’anno. Senza contrare che alcuni imprenditori gestiscono più imprese e altri – ad esempio chi partecipa a gare pubbliche – richiedono più volte i propri documenti durante l’anno.
Gli imprenditori che hanno aderito a impresa.italia.it – – sono più di 2,2 milioni ovvero il 35,8% dei 6 milioni di imprese italiane, e in un caso su due l’accesso è avvenuto via Spid (il Sistema pubblico di identità digitale) e, finora, lo hanno usato per scaricare gratuitamente a oltre 7 milioni di documenti ufficiali, tra visure, certificati e bilanci.
Nel 16 % dei casi si tratta di artigiani, il 18 % guida un’impresa femminile, l’8% sono ‘under 35’ e il 7% sono stranieri. Ancora più interessante è osservare che tipo di struttura imprenditoriale hanno alle spalle. Il 46% sono società di capitali, una quota significativamente più elevata del peso di queste stesse imprese sul totale nazionale (31,2%) mentre, all’opposto, solo il 35% sono imprese individuali, a fronte di un peso preponderante (50%) di questo tipo d’impresa nella nostra struttura imprenditoriale.
Non solo. Se si affina l’analisi alle imprese che – per le attività che svolgono – hanno sviluppato un’attenzione particolare ai temi della certificazione e dell’accountability, si scopre che lo strumento digitale è percepito come un potente facilitatore di competitività.
Le imprese che si occupano di impiantistica sono solo il 3,2% del totale ma, tra di loro, una su due (il 49%) usa impresa.italia.it per avere sempre a portata di mano la propria visura o certificato, indispensabile per attestare la qualifica richiesta per i lavori.
La percentuale sale al 74% tra le imprese (meno dell’1% del totale) che hanno una certificazione SOA – indispensabile per partecipare ad appalti oltre una certa soglia – e supera il 78% tra quelle che hanno una certificazione di qualità ISO (anche in questo caso, si tratta di una piccolissima quota del totale delle imprese italiane, vicina all’1,3%). Nell’empireo di questa community (con l’87% di adesioni rispetto al solo 0,2% di rappresentatività del tessuto imprenditoriale nazionale) si collocano, infine, le imprese che hanno conseguito il rating di legalità dell’Autorità Garante della concorrenza e del Mercato (AGCM). Un’attestazione né tecnica né settoriale ma che riflette la consapevolezza che la trasparenza è un valore che cresce anche grazie all’innovazione.
Il responso dei numeri
Dai numeri emerge dunque il ritratto di un sistema produttivo in parte già in grado di esprimere una domanda evoluta di servizi digitali – soprattutto tra le imprese con una struttura organizzativa più solida e con una cultura della certificazione e della responsabilità verso consumatori e stakeholder – insieme a una conferma del ruolo centrale che l’offerta pubblica di servizi evoluti può e deve avere per la diffusione di una cultura digitale a portata di tutti.
Culture imprenditoriali diverse, diversa capacità delle istituzioni locali di premere sull’acceleratore delle iniziative per l’economia digitale, presenza di competenze digitali di base più spiccate, fanno la differenza in questo ritratto di un’Italia digitale a macchia di leopardo.
All’appello mancano circa 3 milioni di imprese – soprattutto micro e piccole – che di digitale avrebbero un estremo bisogno per non rimanere emarginati da fenomeni che stanno trasformando l’economia e la società. Portare sullo smartphone del loro titolare i servizi della Pa digitale per le imprese dovrebbe rappresentare un obiettivo per tutti, dalle associazioni imprenditoriali che le rappresentano alla Pa stessa che potrebbe rendere più efficiente il dialogo con milioni di cittadini-imprenditori, restituendo valore sotto forma di informazioni utili e di drastica riduzione del tempo da dedicare alla burocrazia.
Tra i segnali incoraggianti in vista del recupero del gap digitale a carico delle imprese più piccole e meno organizzate, va colto quello che viene dalla lettura territoriale dei dati sulle adesioni a impresa.italia.it. Trasposti su coordinate geografiche, i numeri evidenziano la vocazione di alcuni territori ai processi di digitalizzazione delle imprese e soprattutto il dinamismo che negli ultimi anni ha caratterizzato le regioni del Mezzogiorno su questa frontiera. Dopo un avvio che aveva visto crescere rapidamente la diffusione prevalentemente nel Nord-Est, la mappa degli imprenditori digitali si è presto popolata di territori delle regioni meridionali, tanto che oggi tra le prime venti province per tasso di adesione, nove sono al Sud.
Impresa.italia.it
Provincia | Imprese aderenti al 26.07.2023 | % adesione sul totale imprese |
Lecce (LE) | 45.068 | 59,6% |
Vibo Valentia (VV) | 8.179 | 59,0% |
Catanzaro (CZ) | 17.850 | 54,4% |
Crotone (KR) | 9.813 | 54,2% |
Taranto (TA) | 28.075 | 54,1% |
Cosenza (CS) | 34.762 | 50,4% |
Bergamo (BG) | 45.593 | 49,2% |
Bari (BA) | 70.992 | 48,0% |
Reggio Calabria (RC) | 25.902 | 47,6% |
Gorizia (GO) | 4.484 | 46,9% |
Ancona (AN) | 19.760 | 46,6% |
Trieste (TS) | 7.033 | 45,0% |
Prato (PO) | 15.036 | 44,7% |
Sondrio (SO) | 6.240 | 44,6% |
Udine (UD) | 21.034 | 44,5% |
Rimini (RN) | 17.788 | 44,3% |
Isernia (IS) | 4.008 | 44,2% |
Pordenone (PN) | 11.109 | 43,6% |
Pesaro-Urbino (PU) | 16.021 | 42,6% |
Milano (MI) | 161.532 | 42,5% |
ITALIA | 2.155.362 | 35,8% |
Fonte: InfoCamere, impresa.italia.it
L’economia digitale non prevede un piano «B»
Semplificazione amministrativa, diffusione dell’identità digitale, sviluppo dei pagamenti digitali, lotta al cybercrime e alle fake news, tutela della brand reputation, trasparenza del dato economico, intelligenza artificiale. Su questi temi il Sistema camerale italiano sta investendo molto per accrescere la consapevolezza delle Pmi e promuovere una cultura diffusa dell’utilizzo dei servizi digitali, in una prospettiva inclusiva che punti a fare avanzare l’Italia come sistema-Paese.
Quello che continua a tenerci nelle posizioni di coda delle classifiche internazionali (nel 2022 l’indice DESI ci vede in 18ma posizione in Europa e 19ma per i servizi pubblici digitali) è la difficoltà a trasmettere, in modo capillare, il messaggio della trasformazione digitale dai banchi delle scuole alle scrivanie delle aziende. Anche a causa di una comunicazione pubblica forse ancora poco incisiva per far conoscere in modo diffuso alle imprese i servizi a disposizione. Nonostante i continui progressi, secondo l’indice DESI solo il 40 % degli utenti italiani di internet ricorre ai servizi pubblici digitali, un dato ben al di sotto della media UE del 65%.Per superare i ritardi accumulati nel corso degli anni, resta cruciale assicurare un’attuazione sostenuta delle misure previste dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, così come la continua attenzione alla semplificazione e alla crescita delle competenze digitali della Pa, in particolare di quella che guarda alle imprese.