La corretta gestione del ciclo degli acquisti poggia su quattro pilastri: possesso di adeguate competenze tecnico-manageriali, disponibilità dei dati, definizione di processi robusti, accesso a strumenti quali piattaforme ERP, e-procurement, WMS.
Le competenze sono un fattore abilitante, senza le quali non è evidentemente possibile attivare processi di creazione del valore.
La disponibilità di dati – affidabili – è fondamentale per potere stimare (e anticipare) correttamente il fabbisogno, conoscere il parco fornitori e il mercato, analizzare e valutare l’andamento dei contratti in essere.
I dati e le relative informazioni normalmente vengono prodotti da strumenti [digitali] che sempre di più, assieme alle competenze, fungono da fattore abilitante. I processi, infine, attraverso la definizione delle sequenze di azioni, ruoli e responsabilità consentono un utilizzo ottimale delle risorse disponibili, per definizione scarse.
Queste considerazioni valgono per qualsiasi classe di azienda, sia essa privata o pubblica. Nel pubblico, acquistano ancora più significato in quanto dati e processi, con una chiara definizione delle responsabilità, sono funzionali alla pubblicità e trasparenza degli approvvigionamenti e quindi alla tutela della concorrenza.
Gli acquisti sono, inoltre, sempre più un driver di creazione di valore pubblico e quindi una loro gestione corretta migliora l’efficacia generale delle amministrazioni.
Il nuovo Codice dei Contratti: focus sulle competenze
Queste considerazioni vengono fatte proprie dal nuovo Codice dei Contratti entrato in vigore lo scorso primo luglio. Il codice riconosce, finalmente, il concetto di ciclo dell’acquisto. Nel definire all’articolo 15 il responsabile unico del progetto (RUP) la norma identifica le fasi di programmazione, progettazione, affidamento e l’esecuzione. Allo stesso modo, all’articolo 21, si parla di “ciclo di vita” dei contratti che deve essere impostato e monitorato in modalità digitali. Queste disposizioni spostano l’enfasi sulla necessità di adottare strumenti – digitali appunto – e sul definire dei processi e procedure che guardino agli acquisti nella loro interezza, non solo quindi all’affidamento.
Il Codice stressa, ulteriormente, l’importanza delle competenze:
- formazione ed esperienza del personale sono due elementi di valutazione della capacità delle stazioni appaltanti in sede di qualificazione (art. 63);
- è richiesta l’adozione di un piano della formazione “in coerenza con il programma degli acquisti di beni e servizi e del programma dei lavori pubblici” (art. 15 c.7);
- viene concessa la possibilità di utilizzare una quota delle risorse da destinare agli incentivi alle funzioni tecniche per “attività di formazione per l’incremento delle competenze digitali dei dipendenti nella realizzazione degli interventi” e per “la specializzazione del personale che svolge funzioni tecniche” (art. 45 c.7);
- le stazioni appaltanti assicurano la formazione e il costante aggiornamento in tema di sicurezza informatica e della protezione dei dati personali al personale addetto (art. 19 c.2).
La digitalizzazione dell’intero ciclo di vita dei contratti
Per quel che concerne i dati, la norma, come si è detto, pone l’accento sulla digitalizzazione dell’intero ciclo di vita dei contratti e per questo parla di un vero e proprio “ecosistema nazionale di approvvigionamento digitale” che vede al centro la banca dati nazionale dei contratti pubblici (BDNCP) istituita presso ANAC interconnessa con le “piattaforme di approvvigionamento digitale” utilizzate dalle singole stazioni appaltanti.
La relazione illustrativa al testo di legge, a pagina 37, afferma che “la digitalizzazione della pubblica amministrazione rappresenta la vera grande sfida dei prossimi anni per realizzare, in chiave moderna, la riforma del sistema economico-sociale e per essere, quindi, pronti a creare e a utilizzare la nuova fonte di ricchezza e di conoscenza rappresentata dai “dati””. La digitalizzazione, sempre secondo la relazione illustrativa, “costituisce anche una efficace misura di prevenzione della corruzione in quanto consente trasparenza, tracciabilità, partecipazione, controllo di tutte le attività, in modo da assicurare il rispetto della legalità”.
L’attività di monitoraggio dei contratti pubblici
A interessarsi di monitoraggio dei contratti pubblici non c’è però solo ANAC. Come sintetizza la tabella, nel tempo si è assistita a una vera e propria proliferazione di banche dati.
Referente | Banca dati | Codice | Richiesta codice / Trasmissione dati |
ANAC | Banca Dati Nazionale dei Contratti Pubblici (BDNCP) attraverso il Sistema Informativo Monitoraggio Gare (SIMOG) | CIG | In un momento antecedente all’indizione della procedura di gara |
DIPE | Sistema Monitoraggio Investimenti Pubblici (SMIP) | CUP | All’atto di approvazione del piano annuale, e comunque entro la data di emissione dei provvedimenti amministrativi che ne determinano il finanziamento pubblico |
MIT | Servizio Contratti Pubblici (SCPA) alimentato da Osservatori Regionali Contratti Pubblici | CUI | All’atto di inserimento nei documenti di programmazione |
Archivio Informatico Nazionale delle Opere Pubbliche (AINOP) | IOP | Non specificato, alimentato dove possibile con dati MOP | |
MEF | Banca Dati Amministrazioni Pubbliche (BDAP) – Monitoraggio Opere Pubbliche (MOP) | – | Dati forniti con cadenza almeno trimestrale |
Banca Dati Unitaria (BDU) – Sistema nazionale di monitoraggio progetti finanziati da fondi per la Coesione, FEASR (Fondo Europeo Agricolo per lo Sviluppo Rurale), e FSC (Fondo Sviluppo e Coesione) | – | Attraverso Sistemi Monitoraggio Locali a seconda delle esigenze informative locali, sia gli adempimenti richiesti a livello comunitario e nazionale | |
Regis – Sistema nazionale di monitoraggio progetti finanziati dal PNRR | – | Dati forniti con cadenza mensile |
Il Codice dei contratti non sembra affrontare il tema.Sebbene ribadisca il principio dell’unicità di invio del dato (art. 19 c.2) e affermi che le piattaforme di approvvigionamento devono essere interoperabili con la BDNCP, non si menzionano le altre banche dati che le amministrazioni devono alimentare, caricando, molto spesso, gli stessi dati più volte. Al di là del dispendio di risorse si pongono due temi tra loro connessi: i) quanto sono utili e utilizzabili i dati caricati su queste piattaforme e ii) quale utilizzo ne viene effettivamente fatto.
Il nodo della qualità dei dati
Dell’utilità di disporre di dati sugli approvvigionamenti / investimenti si è già discusso in precedenza. Andando a guardare i vari tracciati emerge come in linea di principio si cerchi di raccogliere le informazioni chiave di contratti e interventi. L’utilizzabilità di quei dati dipende anche dalla qualità degli stessi, oltre che dall’avere a disposizione le necessarie chiavi di lettura e adeguati strumenti di analisi.
Molte attività di ricerca condotte nell’ambito di Osservatorio MaSan e di InvestinIT Lab di SDA Bocconi poggiano proprio sull’analisi di quei dati pubblicati in formato aperto. Abbiamo cercato qui di rappresentare alcune difficoltà nella loro analisi che richiedono una verifica anche dell’effettiva qualità dei dati e degli usi che se ne possono fare.
Proponiamo una casistica che possa rappresentare le varie incongruità che si possono riscontrare nell’analisi della BNDCP:
- Perimetro di analisi: 467.696 lotti su due milioni appartengono a gare il cui valore complessivo è inferiore a 40.000€, nonostante il CIG andrebbe richiesto solo per le gare superiori a quell’importo (tranne che per i contratti PNRR).
- Valore dei lotti: 20mila lotti hanno un valore inferiore a 70€. Non va meglio negli importi aggiudicati per cui circa il 12% del totale riporta valori di aggiudicazione inferiori a 100€.
- Incongruenze tra valore dei singoli lotti e valore della gara: dall’altro lato si possono avere casi di lotti, come quello rispondente al CIG 919271760C, di 22,4 miliardi ma per una gara il cui valore complessivo era di 74 milioni.
- Incongruenze tra il valore aggiudicato e il valore bandito: i dieci principali lotti per valore aggiudicato da soli, se sommati, cubano 234 miliardi di euro, purtroppo complessivamente il valore a base d’asta degli stessi lotti fosse di 9,6 miliardi.
- Mancato aggiornamento dei dati: il 100% dei CIG risulta essere “attivo”, in altre parole non viene mai chiuso o cancellato. Il 39% dei lotti nel periodo 2018-2022 risulta aggiudicato, 39 risultano essere stati revocati / annullati. I valori mancanti cosa rappresentano? Gare in corso o mancate aggiudicazioni? Non è possibile saperlo con certezza perché non si può essere sicuri se il campo sia volutamente lasciato vuoto oppure no,
- Missing value: il 48% delle osservazioni non contiene informazioni sul comune in cui ha luogo il contratto.
- Incongruenze sulle date riportate: 18.924 osservazioni, il 2,3% del totale aggiudicato in termini di valore, riportano una data di aggiudicazione definitiva antecedente a quella di pubblicazione.
Conclusioni
Queste evidenze dimostrano come siamo ancora piuttosto lontani da una cultura del dato. La stessa ANAC è intervenuta il 9 maggio scorso con un comunicato del presidente per sollecitare le amministrazioni ad individuare correttamente i codici CPV, il nomenclatore degli appalti pubblici. Il tema vero è che sebbene si sia lavorato molto nel definire strumenti di monitoraggio, ancora oggi si fatica a scorgere delle ricadute pratiche in termini di utilizzo effettivo di questi dati ai fini della gestione degli appalti. Fino a che le amministrazioni, i singoli dirigenti/funzionari responsabili dei progetti e contratti non inizieranno ad avere dei ritorni informativi e fare uso dei dati che vengono raccolti e inviati, difficilmente assisteremo a un miglioramento della loro qualità e tenderà a prevalere una logica di mero adempimento.