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Medicina di prossimità, come far dialogare territorio e digitale: le proposte



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Il territorio e il digitale, o meglio la medicina territoriale e la telemedicina, non sono antitetiche, ma complementari. Non si tratta quindi di far convivere due opposti nel nuovo assetto della sanità italiana, quanto di individuare alcune linee guida utili affinché le due dimensioni si arricchiscano e completino vicendevolmente

Pubblicato il 27 set 2023

Luca Puccioni

CEO di MioDottore



comunicazione sanità - fascicolo sanitario elettronico

In linea con l’approccio One Health – sostenuto ufficialmente dal Ministero dalla Salute italiano, dalla Commissione Europea e da tutte le organizzazioni internazionali – la componente 1 della Missione 6 del PNRR si propone di perseguire una “nuova strategia sanitaria, sostenuta dalla definizione di un adeguato assetto istituzionale e organizzativo” e individua due principali aree di investimento: le reti di prossimità (con le Case di Comunità) e la telemedicina.

Territorio e digitale non sono in antitesi

Si delineano pertanto due dimensioni principali: quella territoriale e quella digitale, che, almeno all’apparenza, possono sembrare in contrapposizione tra loro. Da un lato, infatti, l’idea di territorio è strettamente connessa allo spazio-tempo; dall’altro, il mondo digitale è capace proprio di trascendere tali vincoli spazio-temporali. Come fare, dunque, per far convivere il territorio e il digitale?

In realtà, a un livello di analisi più profondo, la domanda sembra essere mal posta. Il territorio e il digitale – o meglio la medicina territoriale e la telemedicina – non si configurano come dimensioni antitetiche, bensì complementari. Non si tratta tanto di far convivere due opposti nel nuovo assetto della sanità italiana, quanto di individuare alcune linee guida utili affinché le due dimensioni si arricchiscano e completino vicendevolmente per abilitare un nuovo modello di cura di prossimità.

Prossimità sociosanitaria: quali sinergie tra istituzioni, operatori sanitari e cittadini

L’approccio di prossimità sociosanitaria promosso dal PNRR ha come presupposto il concetto di relazione: esso, infatti, si realizza attraverso la partecipazione di una pluralità di soggetti – istituzioni, operatori sanitari e cittadini – e fa sì che tra di loro non si instauri un rapporto di subordinazione, bensì uno scambio improntato a diritti e doveri reciproci. Una relazione fatta di modalità e tempi giusti di interazione, che non possono prescindere le une dagli altri per realizzarsi. In quest’ottica, la presenza di strutture sul territorio è una condizione necessaria ma non più sufficiente di per sé: la prossimità, infatti, può e deve superare la sola dimensione fisica e abbracciare anche quella digitale per rispondere alle nuove aspettative e necessità del sistema salute.

Da un lato occorre dunque innovare le infrastrutture fisiche – ovvero l’“hardware” della sanità – e dall’altro è necessario ridisegnare la modalità con cui i pazienti fruiscono dei servizi e reingegnerizzare i processi di lavoro dei professionisti, innovando l’aspetto “software”. Infatti, per l’adozione del nuovo modello di assistenza di prossimità, il potenziamento della sanità digitale rappresenta una leva imprescindibile, capace tanto di avvicinare il SSN alla popolazione quanto di favorire un’effettiva interrelazione tra i professionisti nei diversi setting assistenziali. Più nel dettaglio, il digitale e le soluzioni di telemedicina abilitano l’erogazione di prestazioni anche a distanza e, dunque, consentono di trasformare la casa del paziente in un setting adatto per la cura, rendendo l’assistenza ancora più vicina all’individuo.

Creare reti di reti

Al contempo, la digitalizzazione ha oggi anche il compito di supportare la creazione di una “rete di reti”, integrata e formalizzata, per mettere in connessione ciò che già esiste – a partire dal raccordo tra specialisti e medici delle cure primarie fino all’abbattimento dei silos organizzativi del SSN – e ciò che avverrà, come Case e Ospedali di Comunità.

Se la parte “hard”, ovvero quella delle nuove infrastrutture, è stata ampiamente affrontata con un preciso processo decisionale top-down che coinvolge l’intera filiera istituzionale, la dimensione “soft”, ovvero la riprogettazione dei servizi tramite la tecnologia, deve essere delegata al territorio. L’innovazione, infatti, non può che procedere in modo sperimentale e in specifici contesti locali, poiché deve essere contestualizzata a fabbisogni e alle disponibilità specifiche. Questo perché, ad oggi, il sistema salute è a macchia di leopardo e presenta differenze troppo marcate tra territori per poter definire dall’alto dei modelli di riferimento, che anzi risulterebbero poco sfidanti per alcuni contesti e impossibili da perseguire per altri.

Stimolare la co-progettazione della nuova sanità

È necessaria, in altre parole, una progettazione bottom-up: la rete – e la “rete di reti” alla quale il sistema oggi punta – ha bisogno di essere realizzata a partire da una attenta fase di coinvolgimento, ascolto e partecipazione dei professionisti della salute sul territorio. E considerazioni analoghe riguardano anche i cittadini e le organizzazioni civiche e di tutela dei pazienti: sono tutti soggetti che non possono più essere considerati destinatari passivi di riforme, modelli organizzativi e servizi, bensì vanno coinvolti tanto nella fase di progettazione che di implementazione, in ottica di stimolare la co-progettazione della nuova sanità.

Una transizione come questa richiede, infine, un occhio attento all’informazione e alla formazione sia per gli operatori sia per i cittadini. L’utilizzo di nuovi strumenti e di nuovi spazi, tanto digitali quanto territoriali, non può essere lasciato soltanto all’auto-apprendimento da parte dei singoli, pena il rischio di sottoutilizzazioni o di veri e propri insuccessi.

Le tre proposte per far dialogare territorio e digitale

Legami, vicinanza, territorio – da sostenere e promuovere attraverso una intensa attività di networking – sono una parte rilevante del futuro ormai prossimo della sanità. Per avanzare è oggi necessario che il legislatore assecondi l’innovazione e incentivi l’intero ecosistema a svolgere una parte attiva in questa transizione. A tal fine è auspicabile un intervento che vada nella direzione di:

  • Investire in modo mirato, anche i fondi del PNRR, nella formazione del personale medico sul territorio affinché le potenzialità del digitale vengano colte pienamente e adattate alle specificità locali. È importante non lasciare questa fase di miglioramento delle skill digitali solamente all’iniziativa individuale, ma definire dei percorsi strutturati e mirati alla diffusione delle conoscenze, considerando anche i benefici del modello delle partnership pubblico-private.
  • Incentivare l’adozione da parte della medicina di famiglia di soluzioni digitali per la gestione del paziente in tutte le sue fasi, a partire dalla prenotazione fino alla condivisione di informazioni e alla gestione delle campagne di prevenzione. Mentre si avanza verso una sanità di prossimità, che vede al centro la figura del medico di medicina generale, è infatti essenziale informatizzare almeno una parte delle attività di tali professionisti, in modo da ridurre i gap territoriali nell’accesso e nella presa in carico del paziente, ma anche alleggerire il carico burocratico del medico stesso e promuovere la riappropriazione del tempo della cura.
  • Favorire l’integrazione delle soluzioni digitali già diffuse tra i medici con i sistemi informativi pubblici. La creazione di nuovi spazi digitali in relazione tra loro, dove i medici di famiglia, gli specialisti e le diverse strutture presenti sul territorio possono interagire, favorisca la realizzazione del “software” necessario alla gestione e all’armonizzazione della sanità territoriale.

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