l’analisi

Agricoltura smart contro i cambiamenti climatici: i vantaggi per l’agrifood italiano



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L’agricoltura può svolgere un ruolo primario nella lotta ai cambiamenti climatici. L’adozione di strumenti e tecnologie che permettono al settore di rendersi innovativo e competitivo è anche la chiave per imporsi sullo scenario globale con prodotti di qualità. E l’Italia in questo campo è leader

Pubblicato il 8 set 2023

Antonio Picasso

Direttore Competere.Eu – Policies for Stustainable Development



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L’agricoltura di precisione è il combinato disposto tra un sentimento ancestrale di amore per la terra e adozione delle innovazioni tecnologiche più avveniristiche e coraggiose per rispettarla e valorizzarla.

Vediamo allora in che modo e con quali strumenti si è diffusa in Italia e quali sono i vantaggi per il nostro settore agroalimentare e non solo.

Agricoltura contro i cambiamenti climatici

Quando si parla di climate change, sarebbe opportuno dare maggior valore all’inestimabile contributo che l’agricoltura potrebbe dare nel contrastarlo. Dalla transizione energetica alla decarbonizzazione di filiere industriali energy intensive: sono tutte policy sicuramente strategiche per rendere l’economa più a misura di ambiente.

Ma la natura non è forse la risorsa produttiva di riferimento dell’agricoltura? Immaginando un settore primario più sostenibile – le buone pratiche, per quanto già in essere, restano circoscritte – la strada per ricostruire gli equilibri tra l’uomo e la natura sarebbe certamente più breve. È un’opportunità. Soprattutto per l’agrifood italiano.

L’agricoltura non è la Cenerentola del capitalismo

È un dato di fatto che l’impatto dell’uomo sull’ambiente sia dovuto all’esponenziale crescita demografica e al parallelo aumento dei consumi. Lo si è detto già anche da queste colonne: più siamo, più mangiamo e quindi più inquiniamo.

Tuttavia, la rapidità dei cambiamenti climatici è solo in parte attribuibile alla nostra presenza sulla Terra. Testimoni di fenomeni atmosferici della portata mai registrata almeno in Europa, osserviamo con altrettanta preoccupazione come la dialettica tra soluzioni scientifiche e approccio ideologico sia, al momento incolmabile. Per non dire in fase critica. Oltre che la responsabilità dei fatti, all’uomo va attribuito il ruolo di programmare e intervenire per contenere i danni.

I riflettori finora sono rimasti puntati su come convertire energia e industria in direzioni più eco friendly. Pensiamo alle fonti rinnovabili, all’auto elettrica, al contenimento della plastica e al suo riciclo. Soluzioni che, da un lato appaiono a misura di ambiente, dall’altro risultano poco sostenibili in termini economici e di benefici di breve periodo.

In ogni caso, tutti i progetti ESG compliant – per dirla in “aziendalese” – hanno come perno l’innovazione tecnologica. Il contributo di digital device e AI è irrinunciabile, se si vogliono raggiungere quegli ambiziosi obiettivi che i massimi protagonisti dell’economia globale si sono posti.

Stati Uniti, Europa e Cina sono tutti orientati a realizzare una nuova alleanza tra capitalismo e ambiente. Almeno sulla carta.

Nel corso degli ultimi due secoli, l’agricoltura ha perso sempre più importanza. Industrializzazione e urbanizzazione hanno trasformato l’identità dell’economia e della società un po’ ovunque nel mondo. Tuttavia, mentre oggi si parla di industria green e smart city, è lecito pensare che il contributo più concreto al ripristino della natura – per riprendere il nome della discussa normativa Ue sull’ambiente – possa giungere proprio dalla Cenerentola dell’economia.

Con il cambiamento climatico, aumenta il rischio di impoverimento quantitativo e qualitativo dei raccolti. Un fattore che va ad aggravare l’emergenza alimentare già in corso. Di conseguenza, se la natura può essere interpretata come la commodity di riferimento per l’agricoltura, quest’ultima ha interesse funzionale a prendersene cura. Ed è qui che il ruolo proattivo dell’uomo si dovrebbe esprimere nella più diretta maniera nei confronti dell’ambiente e delle biodiversità.

Smart agricolture: gli strumenti a disposizione

Macchinari innovativi, monitoraggio satellitare, analisi predittive (deep learning) e machine learning, più efficienti sistemi di coltura, trasporto e stoccaggio alimentare, soluzioni blockchain per la tracciabilità e trasparenza degli alimenti. Questi e altri sono, in ordine sparso, alcuni degli strumenti cui l’agricoltura sta già ricorrendo per assumere un’identità altamente innovativa e per rendersi più competitiva, rispetto ai settori più nobili dell’economia – l’industria in primis – nella corsa alla transizione ecologica.

La loro applicazione sta già portando risultati virtuosi. Per esempio, in fatto di previsione della resa delle colture, arricchimento del suolo dei componenti chimici necessari per renderlo più produttivo e nell’ottica della riduzione degli sprechi. Ma i miglioramenti si osservano anche nell’ambito imprenditoriale e sociale. Ricordiamoci, infatti, che il concetto di Esg compliance, considera interventi altrettanto strategici nel mondo dell’impresa (G come governance) e dell’occupazione (S come social).

Olio di palma: un modello di resilienza e sostenibilità

Parlando di smart agricolture, ci piace portare l’esempio della filiera dell’olio di palma, che, da responsabile di massicci interventi di deforestazione, ha saputo trasformarsi e così diventare modello di sviluppo sostenibile. Grazie a normative che Paesi produttori e imprese si sono imposti e al ricorso a tecnologie innovative.

Senza perdersi in una ricostruzione esegetica dell’accaduto, ci basta ricordare che i produttori di palma da olio sono stati accusati, per anni, di deforestazione e sfruttamento delle condizioni di lavoro. A questo si è aggiunta l’accusa all’olio di palma di nuocere gravemente alla salute. Si è trattato di uno shitstorm declinato nel più classico delle sue modalità. Manipolato dall’ideologia e fomentato dalla scarsa propensione a informarsi da parte del consumatore. Ne è conseguita una campagna di greenwashing, da parte di alcune aziende che hanno abbandonato l’olio di palma preferendo altri oli vegetali. Peraltro pagandone lo scotto in termini di mercato. Oltre che di vero e proprio ostracismo.

A tutto questo la filiera ha reagito affidandosi alla scienza e alla tecnologia. Le accuse di essere un prodotto malsano sono state smontate da autorevoli nutrizionisti, le cui teorie indiscutibili hanno ricevuto l’appoggio e sono state condivise dalla Fao, quanto da istituzioni governative internazionali e nazionali.

Ma soffermiamoci sull’aspetto tecnologico. Il World Resources Institute (Wri) pubblica annualmente l’outlook sulle policy antideforestanti adottate dai Paesi produttori di commodity agricole. Cacao, zucchero, soia, allevamento e, tra gli altri, anche olio di palma. L’Outlook 2022 rileva la controtendenza di quest’ultimo rispetto al resto del mercato. Il dato è positivo ormai da anni, ma restando nell’attualità dei grafici del report, se si considerano i Paesi produttori di olio di palma, in particolare i primi quattro importatori in Europa – Indonesia, Malesia, Colombia e Guatemala – si nota la spirale virtuosa innescata in parte dalle normative UE, che hanno incentivato l’adozione di policy anti-deforestanti, realizzate grazie alla lungimiranza delle imprese stesse, che hanno accolto la sostenibilità coma sfida per introdurre innovazioni tecnologiche e destinare investimenti pro ambiente.

Come spesso accade quindi, la pratica ha anticipato la teoria. Le certificazioni di sostenibilità, quali il Roundtable on Sustainable Palm Oil (Rspo), sono state introdotte dagli stakeholder – sia i Paesi produttori sia i loro clienti in Occidente, le imprese di importazione e trasformazione – ben prima che l’Unione europea emanasse i suoi giustamente rigorosi provvedimenti sulla sostenibilità. Non da ultimo il Regolamento sui Prodotti a Deforestazione Zero (European Deforestation-free products Regulation, Eudr).

Un risultato, questo, che poggia sull’applicazione delle più innovative progettualità digitali e tecnologiche. Dal monitoraggio satellitare all’adozione di mezzi agricoli sempre più sofisticati. E su quest’ultimo passaggio l’Italia vanta un punto di merito.

Italia centrale nell’agrifood sostenibile

Quando si parla di agricoltura di precisione, l’industria meccanica italiana è leader mondiale. Secondo FederUnacoma, l’associazione di categoria delle aziende produttrici di macchine agricole, il Made in Italy del settore ha raggiunto i 15,5 miliardi di euro di fatturato, nel 2022, segnando una crescita del 13,3% sull’anno precedente.

L’incremento record, legato inevitabilmente alla congiuntura favorevole della crescita dei prezzi, è dettato in termini strutturali dall’aumento della domanda di un prodotto di alta qualità che solo l’industria italiana può fornire.

Perché questo nostro punto di forza? Trattrici, macchine agricole e componentistica per l’agricoltura vanno viste come l’indotto di quest’ultima, o meglio dell’agrifood, filiera con una quota più che rilevante del nostro Pil. Se hai un comparto che fa da traino, devono esserci i gregari che ne garantiscano l’eccellenza.

L’Italia ha smesso di essere un paese agricolo meno di un secolo fa e la sua trasformazione produttiva si è orientata non solo verso le fabbriche, ma anche verso l’industrializzazione dell’agricoltura

Conclusioni

L’innovazione applicata alle colture è all’ordine del giorno nelle nostre campagne. E, oggi dopo averle applicata in casa, facendo dell’agrifood italiano un comparto competitivo anche in termini di sostenibilità, si è passati a esportare le nostre best practice. Non è un caso che, dalle hacienda modello in America Latina, ai piccoli coltivatori di caffè nel corno d’Africa, passando anche per le piantagioni dell’olio di palma, il nostro brand sia un fil rouge di successo.

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