Sostegno al reddito

Contro la povertà grigia, più sinergia pubblico-privato



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Aumenta in Italia la povertà “grigia”, ossia di chi ha un lavoro ma stenta a far fronte alle spese quotidiane. Tra le forme di sostegno al reddito ci sono i buoni pasto. Vediamo come, con un supporto coordinato tra aziende e comuni, si potrebbe intervenire per supportare meglio le famiglie

Pubblicato il 14 set 2023

Mariacristina Bertolini

Vice Presidente e Direttrice Generale Up Day



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Se c’è qualcosa che il periodo pandemico ci ha insegnato è che la sinergia tra pubblico e privato non solo è possibile ma è anche fondamentale. Non averlo capito è stata un’occasione mancata.

Quando alcune realtà erogatrici di buoni pasto hanno supportato i comuni, durante la pandemia, con l’erogazione dei buoni sociali, è stato dimostrato che lavorare insieme ai sindaci e insieme ai responsabili di welfare comunali ha permesso in pochissimo tempo di aiutare tantissime persone.

Cresce la povertà in Italia

Da quell’esperienza è nata una ricerca condotta con Tecnè che, a fine 2022, aveva evidenziato come un elevato numero di persone si trovava al di sotto o vicino alla soglia di povertà. La ricerca stimava infatti che il peso dell’inflazione avesse spinto sotto la linea di galleggiamento milioni di individui che, con un tasso di inflazione tra il 12 e il 14%, portava il 35% delle famiglie (27 milioni di individui) a vivere una qualche forma di disagio, che va dalla povertà assoluta a una vulnerabilità lieve. Questo tipo di situazione ha costretto le famiglie più esposte a far quadrare il bilancio con complesse strategie di contenimento delle spese. Dalla ricerca emerge che l’86% delle famiglie vulnerabili ha tagliato i consumi che riguardano l’abbigliamento, il 78% ha ridotto i consumi delle utenze domestiche, il 72% ha risparmiato sulla spesa alimentare e il 54% ha rinunciato a visite mediche.

La realtà dei “working poor”: la povertà “grigia”

Diventa dunque necessario rivalutare il concetto stesso di povertà; non possiamo più considerare povera solo una persona che non ha un lavoro, ma dobbiamo prendere in considerazione anche la realtà dei “working poor”, ovvero coloro che hanno un lavoro, il quale purtroppo non garantisce più un reddito sufficiente per una vita senza stenti. Si tratta di una condizione di povertà che viene definita grigia. Infatti, nel lavoro dipendente, l’incidenza della povertà tra il 2007 e il 2021 è salita dal 7 al 10% e nelle famiglie operaie dall’11 al 17%.

Questi lavoratori vivono costantemente in bilico a causa del rapporto tra lo stipendio che percepiscono e i prezzi elevati dei servizi e dei beni, e ogni situazione problematica o imprevisto, come ad esempio l’apparecchio per i denti dei figli che si rompe o l’auto che ha bisogno di una riparazione, mette a rischio il loro equilibrio finanziario. Potrebbero risultare degli esempi banali, ma non bisogna sottovalutare l’effetto domino in termini economici che questo genere di eventi, tra l’altro non sempre definibili imprevisti, possono generare.


Buoni pasto e sostegno al reddito

Gli stessi buoni pasto dal 2020 hanno assunto un valore nuovo rispetto al passato: ad oggi rappresentano uno strumento che rientra nell’ambito del welfare aziendale, utilizzato come sostegno al reddito, e che sta diventando quasi una commodity. È evidente che sia ormai un sostegno significativo per le famiglie nella gestione della spesa mensile, poiché la maggior parte dei buoni pasto viene ora spesa presso la grande distribuzione. In passato, la percentuale di utilizzo era più equamente distribuita tra bar, ristoranti, esercizi e grande distribuzione. Oggi, invece, quest’ultima ha il sopravvento: attualmente, stimiamo che vi venga utilizzato l’80% dei buoni pasto, mentre il restante 20% va negli altri canali. La percentuale naturalmente può variare a seconda delle zone geografiche. In alcune aree del nord, per esempio, storicamente la percentuale di utilizzo presso la grande distribuzione era ed è tuttora più bassa rispetto al sud.

Sono inoltre cambiate le abitudini di consumo ed è sempre più evidente che gli utenti preferiscono la possibilità di fare la spesa online o avere il cibo consegnato a casa anche quando lavorano in smart working, anche perché, se un’azienda ha per contratto l’erogazione del buono pasto, questo dovrebbe essere erogato a prescindere dalla sede o dal tipo di lavoro.

Il ruolo dello Stato

E qui deve rientrare in gioco lo Stato perché, se sono molte le aziende che stanno attivando piani di welfare personalizzati, crediamo che mettendo in campo un supporto coordinato tra privato e pubblico, di aziende e comuni, si potrebbe intervenire in maniera puntuale per supportare maggiormente le famiglie. Un dialogo costante permetterebbe per esempio di evitare l’erogazione di fringe benefit che possano essere considerati discriminatori dalle aziende o strutturalmente complicati in termini contrattuali, come per il caso dei tremila euro detassati per chi ha figli a carico. La sinergia tra pubblico e privato è, insomma, fondamentale; unendo l’espertismo e gli strumenti del secondo, alla conoscenza territoriale del primo, si può ottenere quella chiave per una soluzione vincente che già era stata sperimentata durante i mesi di lockdown.

Da qui la necessità di ragionare sull’innalzamento del valore defiscalizzato di un buono pasto per portarlo a un valore dignitoso per chi lo riceve (il buono pasto in Italia è uno dei più bassi in Europa) e sulla possibilità di aumentare in maniera significativa il buono pasto elettronico, rendendone più controllati i movimenti. In questo modo si farebbero felici aziende, dipendenti e Stato, il quale è a conoscenza delle reali sacche di povertà grigia.

L’importanza di non ripetere gli errori del passato

Ecco perché l’esperienza maturata durante e dopo il lockdown ci insegna che non si può prescindere da un accordo e un dialogo costante tra pubblico e privato. Ci scontriamo però ancora con il fatto che si continua spesso a non fare tesoro delle esperienze passate.

Un esempio molto vicino nel tempo è di questo mese, quando il governo ha disposto che venisse erogata la somma di trecentottanta euro per i cittadini con un reddito inferiore ai quindicimila euro annui. In questo caso, come spesso accade con iniziative di questo tipo, non sono state interpellate le realtà che avevano già lavorato a una struttura erogativa del genere e si è rifatto tutto da capo. Rallentando i tempi, disperdendo energie sia in termini di risorse che di energie nella realizzazione e, soprattutto, abbassando la qualità di un servizio per i cittadini.

Conclusioni

È per questo che viene da dire che la pandemia è stata un’occasione persa: in emergenza la collaborazione tra pubblico e privato aveva portato buoni risultati. A distanza di tre anni, l’emergenza sanitaria è finita ma quella dei working-poor è in crescita, pertanto si fa ancora più necessario rimettere in campo delle azioni comuni.

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