Le “aziende piattaforma” possano essere considerate un trend nascente ed innovativo del mercato del lavoro globale. Per aziende come queste, che praticano modalità di lavoro agili, l’interesse verso nuovi contratti di settore è molto forte e, in alcuni casi, determinante nel definire le strategie di investimento.
Ricordiamo che le aziende piattaforma sono quelle organizzazioni che sono basate su infrastrutture sistemiche costituite da dati, progetti, obiettivi, servizi e competenze, che si articolano prevalentemente senza vincolo di spazio, tempo, mansione. Inoltre, sono aziende che considerano ciò che accade nelle piattaforme digitali come direttamente impattante sulla organizzazione del lavoro, i salari ed i costi del personale e progettano e declinano l’esperienza di lavoro primariamente su software, algoritmi e sistemi di AI, relegando gli ambienti fisici a comprimari.
Le aziende piattaforma in Italia
Nelle scorse settimane abbiamo intercettato un elenco di aziende italiane che gestiscono il personale in modalità “full remote”: sono circa 300. Non si tratta, ovviamente, di un elenco esaustivo, ma ci sembra in grado di fornire una qualche provvisoria idea circa le dimensioni e le caratteristiche del fenomeno. Con molte di loro, quindi, abbiamo parlato: abbiamo incontrato i loro CEO e Founders ed abbiamo avviato una serie di discussioni sulle necessità organizzative e contrattuali emergenti.
In estrema sintesi, possiamo dire che si tratta di aziende che offrono retribuzioni sopra la media, hanno visione di futuro, cercano e impiegano una gran varietà di competenze, ma richiedono in modo pressante un frame giuslavoristico e contrattuale che consenta loro di essere più produttive, più inclusive, più flessibili e più aperte nella gestione di una forza lavoro distribuita.
Seppur accomunabili per la tipologia di attività svolte, queste aziende non sono da considerare assimilabili alle aziende che, nei settori dell’ICT o dei servizi professionali, prediligono modalità organizzative più tradizionali ed “offline”. Piuttosto, ci sembra di poter dire che la cifra distintiva di queste aziende sia da ricercarsi davvero proprio nella pratica delle modalità di lavoro digitale ed agile[1], andando così ad associarsi ad un numeroso gruppo di startup e scaleup che sono rappresentate in Italia da InnovUp ed Italian Tech Alliance.
Ri-segmentando in questo modo il fenomeno, probabilmente stiamo parlando di qualcosa che coinvolge qualche migliaio di aziende, solo in Italia.
Perché sono necessari nuovi contratti e a cosa servono
Queste aziende, infatti, hanno sviluppato una vera e propria cultura del lavoro differente. L’attuale struttura dei contratti collettivi nazionali, pur considerando la normativa per lo smart working, finisce con l’essere un elemento “distonico” e, in qualche caso, perfino problematico: stiamo parlando di aziende che sviluppano servizi avanzati nel contesto dell’economia della conoscenza e per le quali la migliore gestione[2] delle persone è fondamentale nel processo di creazione del valore.
La grande maggioranza dei CEO e dei Founders che abbiamo incontrato non è però interessata a contratti che abbassino il costo del lavoro, quanto piuttosto a poter fruire di una diversa struttura contrattuale: articolata per obiettivi, semplice e che contempli un diverso bilanciamento tra subordinazione ed autonomia, senza dimenticare la possibilità di integrare nuovi servizi o benefici[3]. Si tratterebbe di un elemento abilitante di notevole importanza, perché consentirebbe a queste aziende di essere più agili nel fare investimenti, sviluppare progetti, anche generati autonomamente dai collaboratori, e commisurare le retribuzioni in ragione di impegno, iniziativa, coinvolgimento[4] od altri elementi caratteristici della propria specifica cultura del lavoro.
La sfida di questi nuovi contratti sarebbe quella di riuscire ad estendere, fino al limite del possibile, il concetto di subordinazione, nella direzione di maggiori: autonomia, variabilità nel riconoscimento e valutazione del successo, contendibilità delle posizioni e libertà nel gestire le attività[5].
Sarebbe, in un certo senso, un capovolgimento copernicano: gli elementi più influenti nella distribuzione degli incarichi e delle opportunità, infatti, potrebbero così diventare le competenze, hard o soft che esse siano, invece che lo status contrattuale. Di fatto, potrebbe essere questa la via per far convivere[6] in armonia forme di lavoro subordinato, parasubordinato ed autonomo.
Una possibile evoluzione dello smart working
Last, but not least, potrebbe essere anche l’occasione per far “traslocare” la normazione del cosiddetto smart-working dall’accordo individuale ad una dimensione garantita dalla contrattazione collettiva, avvicinando così i contratti italiani agli standard europei ed internazionali.
Siamo consapevoli che il settore che stiamo tratteggiando sarà radicalmente nuovo ed avrà bisogno di tempo per consolidarsi. Facendo attenzione a non guardarlo secondo la prospettiva e dal punto di vista degli attuali settori, occorrerà indubbiamente anche trovare soluzioni pragmatiche in merito alla conformità alle normative ed alle attività degli organi di controllo: un confronto continuo con la politica e le istituzioni sarà fondamentale per poter sperimentare in sicurezza, imparando poi dagli esiti.
Conclusione
Siamo propensi a credere che la transizione da un sistema in cui le persone “vanno al lavoro” ad uno in cui il “lavoro va alle persone” sia la più grande transizione dell’organizzazione del lavoro e della società degli ultimi decenni.
Avere frame contrattuali che supportino questa transizione in modo semplice ed efficace consentirà di effettuare quegli investimenti sulla infrastruttura socio-tecnica che potrebbe rendere il lavoro digitale più tutelato, più produttivo, più sicuro e meglio retribuito per lavoratori e lavoratrici.
La triplice matrice organizzativa, contrattuale e tecnologica su cui si basa il lavoro di aziende e persone, infatti, può essere decisiva per generare lavoro continuativo, di qualità e con retribuzioni adeguate anche nel settore dei servizi avanzati e dell’economia della conoscenza[7].
Se vogliamo che questa prospettiva diventi realtà, riteniamo vada spostato il fuoco dell’attenzione: non più misure ed interventi che tamponano i problemi del nostro mercato del lavoro, ma un piano organico per governare la transizione verso questo nuovo sistema di lavoro.
Una transizione che non lasci indietro nessuno.
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Note
[1] Abbiamo trovato, tra queste aziende, anche qualche associato Assintel, Asseprim e CNA.
[2] Usiamo qui il termine “gestione” per semplicità, anche se è necessario sottolineare come esso non sia concettualmente il più appropriato ed anzi spesso non si sposi affatto con l’universo valoriale mobilitato in queste nuove “culture” del lavoro che emergono nelle aziende-piattaforma.
[3] es. contratti internazionali, formazione on the job, benessere psicologico, formazione e assistenza per giovani, etc.
[4] Riducendo il peso di gerarchia ed anzianità aziendale
[5] Parliamo di “contratti”, al plurale, perché alcuni nostri interlocutori sostengono che si potrebbe anche partire da un punto di vista opposto all’indebolimento della subordinazione, ovvero dal dare maggiori tutele alle collaborazioni autonome, integrandole in modo più stabile nell’organizzazione aziendale
[6] E, forse, perfino convergere
[7] un settore strategico per il futuro delle economie sviluppate, che spesso viene dimenticato e su cui il nostro paese è in ritardo