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PNRR: perché escludere le Regioni può essere un boomerang



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Puntare a una gestione più celere del PNRR senza un coinvolgimento rilevante delle Regioni renderebbe difficile un uso efficiente delle risorse. E, inoltre, potrebbe non consentire di valutare nel migliore dei modi il carattere strategico o meno dei progetti

Pubblicato il 25 ott 2023

Massimo Colucciello

fondatore e CEO PA Advice



Investimenti digitalizzazione
(Immagine: https://pixabay.com/geralt)

Le Regioni italiane sono state per due decenni le protagoniste o, meglio, il principale anello di congiunzione tra i fondi europei stanziati a Bruxelles e le necessità e i bisogni dei territori. Escluderle dalla gestione dei fondi PNRR, vista anche l’oggettiva situazione di difficoltà, potrebbe quindi non essere la scelta migliore.

PNRR, perché escludere le Regioni non è la scelta migliore

Nel corso del tempo, le Regioni hanno saputo imparare, adattarsi e migliorarsi nella gestione di bandi, fondi e progetti. Hanno introdotto novità dal punto di vista gestionale e della rendicontazione, hanno acquisito competenze e personale, hanno sviluppato organizzazioni delicate in grado di dare risposte a problemi complessi.

Ora, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza rappresenta una sfida enorme e decisiva per il nostro Paese. Si tratta di un programma di riforme connesse a investimenti strategici che ha l’obiettivo di rilanciare la crescita e lo sviluppo dell’Italia, purtroppo non eccezionali ormai dagli anni Novanta.

Un maggiore spazio alle Regioni nella gestione dei programmi e dei fondi del Next Generation Eu può rappresentare una svolta. D’altra parte, le Regioni soffrono minori carenze di personale ed hanno inoltre a disposizione al loro interno molte delle competenze utili alla “messa a terra” del Piano europeo. La governance del PNRR è stata accentrata a Palazzo Chigi e su questo si è molto discusso. Tuttavia, al di là del piano politico, bisogna dire che il problema principale è un altro e cioè la gestione dei bandi e dei progetti in giro per il Paese. Quante persone servono per una tale sfida? Ora, è vero che le Regioni in passato hanno avuto una gestione non ottimale, ma è anche vero che ad oggi sono le istituzioni più preparate, che più hanno esperienza (anche avendo imparato dagli errori).

Oggi in questi enti esistono meccanismi e processi rodati che possono affrontare meglio di chiunque altro la sfida del PNRR. Se la carenza di personale diventa drammatica nei Comuni sotto i 10 mila abitanti, perché non sfruttare al meglio i tecnici che in tanti anni di gestione dei fondi di coesione si sono fatti le ossa? Ora, è vero che la pubblica amministrazione ha bisogno di personale, possibilmente giovane e digitale ed è anche vero che è necessario semplificare i processi e migliorare la capacità progettuale, ma le Regioni rappresentano già oggi un bacino potenziale: un maggiore loro coinvolgimento nell’attuazione del Piano europeo potrebbe oggettivamente tornare utile. Anche perché, parallelamente, il governo sta portando avanti un processo di decentramento con le autonomie locali. E forse è giusto fare lo stesso con il PNRR.

La posizione delle Regioni

Si tratta, comunque, di un’istanza che viene presentata e sostenuta da più parti, dal mondo istituzionale come dal mondo economico. Solo per rimanere alle ultime esternazioni il Presidente del Friuli-Venezia Giulia e della Conferenza delle Regioni, Massimiliano Fedriga, ha detto che “sul PNRR l’esclusione delle Regioni ha portato una carenza nelle tempistiche dovuta a una mancata programmazione strategica”, specificando poi che “se le Regioni saranno coinvolte nella maggior parte dei progetti del PNRR sono convinto che apporteremo risultati molto concreti”.

Scendendo geograficamente, ma spostandosi dal lato delle imprese, il presidente di Confindustria Emilia, Valter Caiumi, ha proposto di riattribuire le risorse non spese proprio alle Regioni. “Su PNRR e fondi in generale crediamo che se ci siano, e sappiamo che è così, parti del Paese che non riescono a investire quanto è stato loro destinato. La regola automatica, senza nessun filtro – ha detto Caiumi – deve essere quella di riattribuire subito le risorse alle Regioni che meglio hanno saputo cogliere l’opportunità di investimento”.

Un meccanismo automatico, dunque, perché in fondo non c’è ente con migliori capacità per gestire una sfida del genere.

Proseguendo più a Sud si può citare il presidente della Regione Calabria, Roberto Occhiuto, che proprio a Bruxelles (quindi in un luogo non casuale) ha espresso un concetto chiaro: “a me interessa che le risorse rimangano sui territori, che poi è lo strumento per realizzare le opere. Sia il PNRR o altro mi interessa di meno, perché non si tratta di tagli, si tratta di rimodulazione e nella mia attività di presidente della Regione – ha proseguito – faccio a volte delle rimodulazioni tra più strumenti di programmazione e molto spesso molte iniziative europee finanziate per il POR 2014-2020, vengono rimodulate sul 2021-2027”.

A fianco a questa illustrazione di come non si possa e non si debba essere eccessivamente rigidi nella gestione dei fondi (d’altra parte tra inflazione, guerra in Ucraina, tassi alti e mancanza di materie prime il mondo è profondamente cambiato da quando il Piano è stato scritto, a inizio 2021), Occhiuto ha fatto riferimento anche ad un principio basilare dell’ordinamento europeo, cioè la sussidiarietà. “Se un comune è strutturalmente incapace di provvedere a un investimento – ha spiegato – allora forse quelle risorse possono andare ad un altro comune più performante. Oppure alla regione, che ha forse una struttura tecnica amministrativa più utile a rendere quelle risorse elegibili alla spesa nei tempi previsti”.

Conclusioni

Insomma, puntare ad una gestione più celere del Piano senza un coinvolgimento rilevante delle Regioni renderebbe difficile un uso efficiente delle risorse. E, inoltre, potrebbe non consentire di valutare nel migliore dei modi il carattere strategico o meno dei progetti. Infatti, più che una visione di livello “comunale” per definire e soprattutto scegliere le priorità di un determinato territorio è necessario allargare l’inquadratura ad un piano più ampio, che potremmo definire “regionale”.

Già nell’aprile 2021 la Conferenza Stato-Regioni aveva manifestato disappunto per un mancato coinvolgimento nella fase di elaborazione del PNRR. Una protesta, forse anche per il momento storico e politico di allora, bollata come mera rivendicazione di fondi. Oggi sappiamo che non era così. E, anzi, che delle Regioni non possiamo fare a meno. E non è troppo tardi per coinvolgerle.

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