La storia del processo intentato dall’Antirust Usa insieme a 17 Stati contro Amazon potrebbe segnare un momento decisivo per l’industria tecnologica e per il diritto antitrust, stabilendo nuovi standard per la condotta delle grandi aziende tecnologiche a livello globale.
Se infatti le accuse contro il colosse dell’eCommerce dovessero essere confermate, non mancherebbero ripercussioni in Europa e a livello globale, col possibile esito di un cambiamento radicale delle regole sul commercio online.
Amazon e le pratiche commerciali al limite tra etica e legalità
Autunno 2023: si è ufficialmente aperto un nuovo capitolo del percorso evolutivo del commercio elettronico mondiale, un capitolo che potrebbe comportare un importante cambio di scenario nel settore. E quando una procedura è così importante da minare le fondamenta del mercato mondiale, sul banco degli imputati può esserci un solo nome: Amazon.
La Federal Trade Commission degli Stati Uniti, coadiuvata da 17 procuratori generali statali, ha accusato il colosso di Seattle di gravi pratiche anticoncorrenziali, mettendo in discussione le sue dinamiche di potere nel vasto e complesso mercato dell’e-commerce. Al centro della controversia vi sono le politiche di prezzo di Amazon. La FTC sostiene infatti che l’azienda abbia imposto restrizioni ai venditori sulla sua piattaforma, obbligandoli a offrire i loro prodotti a prezzi inferiori rispetto ad altri canali di vendita online. Queste azioni, se confermate, potrebbero rappresentare una grave violazione delle leggi antitrust, delineando un quadro dove Amazon usa il suo potere di mercato per manipolare i prezzi a livello più ampio. Questo non solo solleva questioni sulla libertà di mercato e sulla concorrenza ma anche preoccupazioni significative per i diritti dei consumatori, che potrebbero trovarsi di fronte a un’offerta limitata e prezzi gonfiati.
Quando tratto questo argomento, magari sui social o nelle tavole rotonde, l’obiezione principale che mi viene posta è: “Amazon è un privato, fa un contratto con il seller, e il seller se vuole star dentro deve rispettare le regole del marketplace, altrimenti è libero di non vendere su Amazon”. Il tutto, mettendo quindi in dubbio il configurarsi di un illecito concorrenziale da parte della piattaforma.
La risposta è semplice: la condotta in sé non è illegittima, hanno ragione i miei interlocutori immaginari. Ma lo diventa nel momento in cui viene posta in essere da Amazon, colosso indiscusso e padrone del mercato mondiale, azienda da cui molti ecommerce addirittura dipendono e non possono farne a meno, che sfrutta la condizione di incoercibile bisogno della piattaforma da parte dei seller, abusandone.
Cosa viene contestato ad Amazon
E la posizione si aggrava ancor di più quando dall’indagine emergono ulteriori documenti che rivelano inoltre che Amazon, dopo aver abbandonato ufficialmente la sua politica di parità dei prezzi nel 2019, ha adottato un nuovo approccio: l’impiego di algoritmi interni per monitorare e influenzare i prezzi praticati dai venditori. Questa strategia rappresenta una svolta nelle pratiche commerciali di Amazon e solleva questioni significative sull’etica nell’innovazione tecnologica. L’algoritmo, concepito per tracciare i venditori che offrono sconti fuori dalla piattaforma, non solo osservava ma potenzialmente interveniva (sì, interveniva!) nelle decisioni di prezzo dei venditori, esercitando un controllo indiretto sui prezzi del mercato online.
Il “Project Nessie”
In questo contesto, emerge anche il “Project Nessie”, un algoritmo segreto utilizzato precedentemente tra il 2015 e il 2019. Questo strumento, progettato per testare gli aumenti dei prezzi senza perdere la competitività, ha sollevato domande sulla legalità e l’etica delle pratiche di Amazon. Secondo l’FTC, “Project Nessie” non era solo un esperimento teorico; aveva lo scopo di manipolare attivamente i prezzi per massimizzare i profitti di Amazon, risultando in un incremento sostanziale dei costi per i consumatori (si parla di un miliardo di dollari di entrate). Con l’algoritmo “Nessie”, in sostanza, Amazon determinava di quanto aumentare i prezzi in modo che i concorrenti l’avrebbero seguita. Gran parte della causa, comprese le parti che descrivono cosa sia esattamente il progetto Nessie, è stata secretata, tuttavia il Wall Street Journal, ha riferito che l’algoritmo è stato in grado di monitorare quanto il potere di Amazon nel campo dell’e-commerce avrebbe indotto i concorrenti a spostare i loro prezzi e, nei casi in cui i concorrenti non avessero spostato i loro prezzi, l’algoritmo avrebbe riportato i prezzi di Amazon verso il basso.
La difesa di Amazon
Di fronte a queste pesanti accuse, Amazon ha risposto con una difesa decisa e strategica, negando qualsiasi comportamento anticoncorrenziale e sostenendo che le sue pratiche hanno in realtà stimolato la concorrenza e beneficiato consumatori e venditori. Del resto, cosa poteva sostenere di diverso per difendersi? Secondo le dichiarazioni ufficiali l’azienda si è impegnata a difendersi in tribunale, sottolineando la complessità e la “sfida interpretativa” del diritto antitrust nell’era digitale. In sostanza secondo Amazon sia le politiche che gli strumenti impiegati, inclusi quelli contestati come il “Project Nessie”, sono stati progettati per migliorare l’esperienza di acquisto dei consumatori e offrire condizioni vantaggiose per i venditori. Ecco, l’interpretazione. È questo il punto chiave. Come già detto in precedenza, questo genere di illeciti non derivano dalla condotta in sé ma tutta una serie di valutazioni sul mercato e sugli elementi che potrebbero posizionare in modo dominante un’azienda rispetto ad altre. L’interpretazione, gioca un ruolo prioritario, e le regole possono quasi essere considerate “ad personam” nei confronti dell’azienda imputata.
In questo intricato labirinto di accuse legali, etica commerciale e innovazione tecnologica, il caso di Amazon diventa non solo una questione di norme ma anche un simbolo della lotta tra l’innovazione sfrenata (in fondo gli algoritmi che controllano il mercato non sono altro che l’innovazione nel mercato stesso) e la necessità di mantenere un commercio equo e trasparente. La storia di questo processo potrebbe segnare un momento decisivo per l’industria tecnologica e per il diritto antitrust, stabilendo nuovi standard per la condotta delle grandi aziende tecnologiche a livello globale.
Le possibili ripercussioni in Ue
Se le accuse antitrust mosse contro Amazon negli Stati Uniti fossero confermate, potrebbero scatenare un’ondata di attenzione rinnovata anche da parte delle autorità regolatorie europee. La Commissione Europea, con il suo storico approccio rigoroso in materia di antitrust, potrebbe avviare indagini per determinare se le pratiche di Amazon siano in linea con le normative anticoncorrenziali dell’Unione Europea.
A differenza degli USA, l’Europa ha dimostrato una propensione a intervenire direttamente nel mercato per assicurare la concorrenza leale. Le indagini potrebbero focalizzarsi sulle politiche di prezzo di Amazon, esaminando se queste influenzino negativamente il mercato unico europeo e se costituiscano un abuso di posizione dominante ai sensi degli articoli 101 e 102 del TFUE.
Una conferma delle violazioni antitrust da parte degli USA potrebbe portare la Commissione Europea a imporre sanzioni significative ad Amazon, costringendola a modificare le sue operazioni in Europa per garantire maggiore concorrenza e trasparenza. Questi cambiamenti potrebbero includere una revisione delle politiche di prezzo e delle pratiche commerciali, influenzando direttamente i servizi offerti da Amazon, come il Fulfillment By Amazon e le politiche pubblicitarie.
L’Europa, con la sua lunga storia di interventi rigorosi contro le grandi aziende tecnologiche, offre un contesto cruciale per comprendere come potrebbe svilupparsi un’azione contro Amazon. Caso dopo caso, l’UE ha dimostrato di non esitare ad agire contro le imprese tecnologiche che limitano la concorrenza, come dimostrato dalle multe miliardarie imposte a Google, le sanzioni a Microsoft, le indagini su Apple, e le multe a Intel per pratiche anticoncorrenziali. Inoltre, se Amazon dovesse essere trovata colpevole anche in Europa, potrebbe essere obbligata a risarcire le parti lesionate, inclusi venditori indipendenti, concorrenti e consumatori, soprattutto nei paesi di common law dove la dimostrazione dell’entità del danno viene fatta più su base equitativa che altro (per intenderci: non serve sempre la prova di un effettivo danno subito).
Un esito sfavorevole per Amazon potrebbe anche rafforzare la regolamentazione e la supervisione europee sulle grandi piattaforme tecnologiche, portando a un inasprimento delle leggi antitrust e a una maggiore enfasi sulla protezione della concorrenza e dei diritti dei consumatori. E questi cambiamenti potrebbero avere un effetto a catena su tutto il settore del commercio elettronico, stimolando l’innovazione (quella vera e condivisa) e la concorrenza e creando nuove opportunità di mercato.
Conclusioni
Un esito che confermi le violazioni antitrust intatti, oltre a spingere verso una riscrittura delle regole del commercio online, stabilendo nuovi standard per le pratiche di prezzo, la concorrenza e la trasparenza, potrebbe stimolare una maggiore concorrenza nel settore influenzando i trend globali. Altre piattaforme e venditori potrebbero approfittare di un ambiente più equo per innovare e competere, offrendo ai consumatori e ai seller una maggiore varietà di scelte. A mio parere, se Amazon fosse costretta a rivedere le proprie dinamiche, questo potrebbe avere un impatto positivo sul mercato del commercio elettronico. Una maggiore enfasi sulla trasparenza e la lealtà della concorrenza potrebbe da una parte rafforzare la fiducia dei consumatori e dall’altra aiutare le piccole e medie imprese che potrebbero beneficiare di un ambiente di mercato più equo.